di Pietro Ratto Mariagrazia De Luca di Pietro Ratto Mariagrazia De Luca

Watergate: Lo scandalo che coprì lo scandalo.

Pietro Ratto, 26 gennaio 2024

Howard Hughes era un uomo eccentrico. Geniale regista e produttore cinematografico, oltre che ricchissimo uomo d’affari. Un personaggio assolutamente anti convenzionale. Che conciliava (nemmeno tanto bene), la passione per le donne con la misofobia: la paura di entrare a contatto con i germi. Ma che celava qualche segreto, legato proprio alla sua ricchezza.

Sì, perché di soldi Hughes ne faceva un sacco. Coi suoi film da incassi stellari (come Gli angeli dell’inferno e Il mio corpo ti scalderà), con la sua azienda aeronautica Hughes Aircraft, la sua compagnia cinematografica RKO Pictures o la società aerea Trans World Airlines acquisita nel 1939. E se col denaro poteva permettersi belle donne e un tenore di vita lussuoso, con quello stesso denaro poteva anche controllar la politica. Le sue aziende facevano di lui uno dei maggiori appaltatori del Ministero della Difesa americana, per esempio. Una posizione a cui Hughes non intendeva minimamente rinunciare.

Howard Huges

Il Presidente Nixon, però, non faceva altro che pensare a lui. Stessa fobia per i microbi, stessa dedizione alle droghe, stessa smania di potere. Nixon pensava a Hughes. Spesso. Non da sempre. Soprattutto dal gennaio 1957, diciamo. Da quando, cioè, l’eccentrico regista aveva prestato al fratello minore, Donald Nixon, 250 mila dollari per salvare il suo Drive-in a Whittier, in California. Il ristorante “Nixon’s” era comunque fallito nel giro di un anno. Ma quel passaggio di denaro aveva messo in serie difficoltà l’allora vicepresidente di Eisenhower. Fino al punto da fargli perdere le elezioni contro John F. Kennedy nel 1960. Perché la notizia di quel prestito, naturalmente, era venuta fuori proprio durante la campagna elettorale. E per Richard Nixon era stata una vera e propria Waterloo.

La salute di Hughes, nel frattempo, aveva cominciato a peggiorare. Quella sua sifilide, contratta in gioventù, gli martellava la testa con pensieri ossessivi e paure. Costringendolo a ritirarsi in una suite all’ultimo piano del Desert Inn di Las Vegas: un intero grattacielo acquistato e opportunamente svuotato da tutti i suoi inquilini, le cui scale il ricco e fobico imprenditore aveva preteso fossero cosparse di antibiotici. Da quell’eremo, senza più metter fuori il naso, controllava il suo impero e non solo. E Nixon lo temeva.

Nel 1968, ormai, Howard Hughes era un uomo malato. Ma continuava a visitare i pensieri di Nixon, eletto Presidente a novembre. D’altra parte, come dimenticare quella sibillina frase che l’eccentrico uomo d’affari usava ripetere al suo braccio destro, Bob Maheu, tutte le volte in cui si presentava qualche difficoltà? “Ricordati sempre Bob - gli diceva - che non c'è persona al mondo ch’io non possa comprare o distruggere”.

Lobbying. Questioni di lobbying, dopotutto. Come sempre. Appena salito al potere, Nixon era stato informato del fatto che il suo consulente finanziario - il banchiere Charles Gregory “Bebe” Rebozo - aveva ricevuto un regalino di centomila dollari in contanti. Da girare affettuosamente al Presidente. Con i migliori saluti di Howard Hughes. Maheu era andato personalmente a consegnar la bustarella a casa Rebozo. Il banchiere l’aveva agguantata furtivo, era scomparso un attimo nella stanza attigua e poi era tornato sorridente, a mani vuote. Missione compiuta, insomma.

Ma Nixon continuava a pensarci. Si chiedeva quanto potessero danneggiarlo, queste attenzioni di Hughes. Danneggiarlo politicamente, s’intende. Era chiaro. Il produttore cinematografico, in cambio, chiedeva trattamenti di favore per le sue compagnie aeree. E per la sua catena di casinò. Ma tutto questo, per Nixon, era pericoloso. Molto pericoloso.

I giornalisti del broadcast della CBS 60minutes, hanno fatto quel che Mark Felt, la gola profonda dei due reporter del Washington Post, suggeriva a proposito dello Scandalo Watergate: seguire i soldi. E i soldi di quella tangente, per lo meno una parte, portano dritti dritti alla villa di Nixon a Key Biscayne. 46 mila dollari, precisamente. Spesi tutti per renderla più bella e lussuosa. Con tanto di campo da golf e tavolo da biliardo. 

Nixon, quindi, non ci dormiva la notte. Il ricordo di quei regali lo ossessionava. 

Le cose per lui andarono ancor peggio dopo, nel 1971: alle soglie della nuova campagna elettorale. Quando venne a sapere che a capo dello staff del Comitato del candidato democratico McGovern era stato nominato Larry O’Brien. 

Apriti cielo. Larry O’Brien, proprio lui! Lobbysta numero uno di Hughes, assunto personalmente dal solito Bob Maheu almeno quattro anni prima. Sapeva, O’Brien, di quella bustarella a Rebozo? Probabilmente sì. E come avrebbe potuto utilizzare quella pericolosissima informazione, ora che lavorava per il nemico? L’interrogativo non abbandonava la mente del Presidente nemmeno un secondo, durante quella terza sfida elettorale della sua vita. Bisognava capire. Farlo seguire. Spiarlo. Soprattutto all’interno del complesso edilizio Watergate, divenuto la sede del Democratic National Committee, la principale organizzazione governativa del Partito Democratico.

Fu questo il motivo di quelle cimici disseminate per gli uffici del DNC al Watergate? Il motivo per cui cinque uomini, il 17 giugno 1972, furono spediti in quei locali dai repubblicani a fotografar documenti riservati per conto del Presidente? Fu questa la ragione dello scandalo che ne seguì e che nel giro di due anni travolse lo stesso Nixon? 

Certo: Il Presidente voleva sapere. Capire se O’Brien fosse al corrente di quel brutto affare e intendesse puntar quell’arma contro di lui. Ma questa non era forse l’unica ragione.

Il 30 luglio 1969, il Presidente Nixon aveva fatto un viaggio quanto mai inatteso (1). Era volato improvvisamente a Saigon per incontrare il leader sudvietnamita Van Thieu. La questione era molto delicata, e bisognava parlarne. A quattr’occhi. Dall’autunno precedente, infatti, Nixon aveva capito che in Vietnam la Guerra rischiava di concludersi improvvisamente. Che i due schieramenti stavano per arrivare a un accordo, a Parigi. E non poteva permetterlo. Nella maniera più assoluta. Nel corso della sua campagna elettorale, infatti, aveva promesso ai suoi elettori di risolver quella guerra, così odiata dall’opinione pubblica, una volta salito al potere. E questi adesso, con lo zampino di Lyndon Johnson e dell’URSS, stavano facendo pace da soli, senza di lui. Sottraendogli così la principale carta da giocare per sconfiggere il democratico Hubert Humphrey! Per questo motivo Nixon aveva affidato al suo capo staff Haldeman il compito di far pressione su Van Thieu - avvalendosi della collaborazione della corrispondente di guerra e attivista cinese Madame Chennault, presidentessa del Comitato delle Donne Repubblicane per Nixon e vedova di un eroe di guerra con molti contatti importanti in Oriente - per affossare i Trattati di pace facendo leva sull'ambasciatore sudvietnamita Bùi Diễm. Un notevole contributo in questo senso era giunto anche dall’immancabile Henry Kissinger, fino a poco tempo prima segretario del Governatore di New York Nelson Aldrich Rockefeller e poi passato improvvisamente dalla parte di Nixon - nonostante in più occasione lo avesse pubblicamente disprezzato - dopo che Rockefeller (2) aveva perso contro di lui le primarie del Partito Repubblicano. Era stato proprio Kissinger, da Parigi, a informare il futuro presidente dei “pericolosi” passi in avanti che le trattative di pace tra Vietnam del Nord e Vietnam del Sud stavano compiendo. E a indurre lo stesso Nixon a far sapere a Van Thieu, tramite la Chennault, che un accordo ben più vantaggioso lo avrebbe potuto ottenere soltanto bloccando il dialogo in corso e attendendo la sua salita alla Casa Bianca. Van Thieu aveva accettato, e la trattativa si era interrotta.

Naturalmente, però, Nixon non aveva alcuna soluzione in tasca, per quella terribile guerra. E il mondo intero se ne accorse appena divenne Presidente, assistendo impotente all’unica opzione venutagli in mente: l’ennesima raffica di bombardamenti su Vietnam del Nord e Cambogia. Se ne accorse anche Lyndon Johnson, che aveva capito chiaramente come il neo-Presidente avesse boicottato la pace in quelle martoriate zone a proprio esclusivo vantaggio, sacrificando ancora migliaia e migliaia di vittime (3). E se ne accorse lo stesso Van Thieu, diventato subito un individuo pericoloso, potenzialmente pronto a ricattare la nuova amministrazione statunitense. Era quello, dunque, il motivo di quel viaggio improvviso a Saigon? Offrire qualcosa al dittatore sud-vietnamita in cambio del suo silenzio? Guarda caso Van Thieu, nel 1975, si sarebbe ritirato dalla politica travolto da innumerevoli accuse di corruzione e violazione dei diritti umani, potendo però godere della protezione americana. Fino in fondo alla sua vita.

Dunque, tutto chiaro. Nel Watergate, il 17 giugno 1972, quelle spie intrufolatesi negli uffici del Partito democratico dovevano carpire informazioni riservate. Informazioni atte a tutelare Nixon da possibili minacce costituite da un O’Brien informato delle tangenti di Hughes e da un Lyndon Johnson al corrente del suo boicottaggio nei confronti della pace in Vietnam. È così? Sì, forse sì. Ma non è tutto. Quella circostanza - o meglio lo scandalo che ne derivò - doveva servire anche a qualcos’altro. A coprirne un altro, ancor più grave.

Il 24 marzo 1971 scoppiò quella che poteva rivelarsi una vera e propria bomba. Il Washington Post (4) pubblicò infatti un articolo in cui venivano citati più di mille documenti riservati, inviati alle redazioni di svariati quotidiani dal Citizens Committee to Investigate the FBI - un gruppo di attivisti nato all’inizio del 1970 - che comprovavano numerosissime violazioni del Primo Emendamento della Costituzione perpetrate dallo stesso Federal Bureau of Investigation perlomeno dal 1956. Un’operazione chiamata Counter Intelligence Program (COINTELPRO). Che nel mirino aveva le principali organizzazioni “anti-sistema”, colpite da vere e proprie azioni illegali dell’FBI. Comunisti, femministe, pacifisti, ambientalisti e associazioni come Black Power e American Indian Movement. Per decenni, in pratica, la polizia federale era stata incaricata di spiare e contrastare qualsiasi tipo di oppositore, su mandato di tutti i Presidenti americani succedutisi fino a quel momento. Spionaggio e destabilizzazione di ogni forma di dissenso. Altro che Democrazia. I documenti tiravano in ballo le azioni più turpi, da parte dell’FBI. Come le lettere inviate a Martin Luther King che lo invitavano a suicidarsi, o le sue foto in compagnia di svariate donne fatte recapitare alla moglie e ai giornali. O come la pianificazione dell’omicidio del leader dei Black Panther Fred Hampton.

Naturalmente la questione venne insabbiata dai media. E molti giornali si rifiutarono di approfondirla. Fu aperta un’indagine, sì, ma ai danni dei cittadini che avevano compiuto l’effrazione. E tutto finì lì. 

E lo scandalo Watergate? Fu un punto di svolta, secondo il filosofo Noam Chomsky che tanto si è interessato al caso. Perché per la prima volta il COINTELPRO fu usato da un Presidente contro il partito rivale. Durante una campagna elettorale, per giunta. Facendo spiare direttamente i propri antagonisti politici. 

A questo punto, i mass media americani si trovarono costretti a dover “scegliere” lo scandalo meno ingombrante. Il male minore a cui dar risalto per oscurare il peggiore. Dimostrando così, ancora una volta, di esser succubi del potere, proprio nel momento stesso in cui i due giornalisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, venivano immortalati come autentici paladini della verità.

E non è certo un caso che quel Mark Felt che guidò i due reporter alla “soluzione” dell’affaire Watergate fosse proprio a capo dello stesso Counter Intelligence Program. Depistando in tal modo la stampa, per dirigerla sul “binario giusto”. Una circostanza che, a pensarci, dà i brividi.

L’informazione di sistema, dunque, in quell’estate del 1972 si trovò a “scegliere” tra due scandali, se così si può dire.

E tra COINTELPRO e Watergate, naturalmente “scelse” il secondo.


(1) Cfr. P. Ratto, Quell’inatteso 30 luglio di 51 anni fa, Pandora TV, 30.07.2020, all’indirizzo: https://bit.ly/3SWzsOL

(2)  Cfr. P. Ratto, Rockefeller e Warburg. I grandi alleati dei Rothschild, Arianna editrice, Cesena, 2019, pagg. 131-132

(3) A scoprire queste informazioni fu lo storico John Farrel, nel 2017, perlustrando gli archivi della Richard Nixon Presidential Library e scovando gli appunti di Haldeman a riguardo. Si veda a tal proposito anche l’articolo apparso sull’ANSA il 3 gennaio 2017, all’indirizzo: https://bit.ly/3zBZLTA

(4) Cfr. l’articolo che, sullo stesso Washington Post, ricorda i tratti salienti di questa vicenda: T. Jackman, The FBI break-in that exposed J. Edgar Hoover’s misdeeds to be honored with historical marker, 1.09.2021, all’indirizzo: https://wapo.st/3DS3LBC

 
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di Enrico Sanna Mariagrazia De Luca di Enrico Sanna Mariagrazia De Luca

Roosevelt? Fece un patto con Cosa Nostra

Intervista a Sergio Gebbia

Enrico Sanna, 17 giugno 2019

Quella che segue è un’intervista che ho fatto al Brigadiere Generale dell’Arma dei Carabinieri Dr. Sergio Gebbia e si inserisce all’interno di un quadro di approfondimento storico e politico della rubrica sulle vicende tragiche che hanno funestato la nostra penisola: dalla morte di Enrico Mattei all’omicidio Moro, da Piazza Fontana alle stragi del ’92.

L’articolo rappresenta il primo tassello del mosaico che andrò a costruire prossimamente. Con esso si offre, senza, ovviamente, pretesa alcuna di essere esaustivi su un tema così importante, una ricostruzione dei rapporti fra le alte sfere americane e la Mafia siculo-americana. Questi rapporti, secondo la spiegazione di Gebbia, nascono a partire dalla prima metà degli anni Quaranta del Novecento, quindi in piena Guerra. Dal testo si intuisce, dai numerosi nomi importanti citati, un intreccio creatosi subito dopo la caduta di Benito Mussolini, fra il governo statunitense, alcune correnti della resistenza e la criminalità organizzata siciliana, ed inoltre emerge in modo evidente il legame fra la C.I.A. (nuovo apparato dell’intelligence statunitense che sostituì, proprio subito dopo la fine della Guerra, i servizi segreti O.S.S.) e Cosa Nostra (americana prima e siciliana poi).

Questo legame però, almeno, a mio avviso, basandosi sulle parole di Gebbia, non è di sudditanza di Cosa Nostra nei confronti degli USA ma, al più, di collaborazione. Si noti, per esempio, che si può leggere in questa chiave il rifiuto, da parte della mafia isolana, in disaccordo, in questo caso, con Cosa Nostra americana, di appoggiare il tentativo fallito di colpo di Stato in funzione anticomunista, da parte degli Americani. Il motivo di questo rifiuto e lo stesso tentativo di colpo di Stato dovrebbero far riflettere sulla vera condizione politica dell’Italia e sul reale volto di alcuni vertici politici del PCI negli anni del periodo stragista.

Gebbia continua poi ripercorrendo, per sommi capi ma con un’analisi allo stesso tempo drammatica e interessante, le tappe che hanno portato ai più grandi scandali del nostro Paese (vedi il caso IOR).

Termino questa introduzione, in primo luogo, invitando i lettori al ragionamento e a porsi domande, a chiedersi il perché di vicende funeste e fenomeni criminali che hanno devastato e ancora tengono sotto scacco il nostro Paese e, in secondo luogo, con un ringraziamento al Generale Sergio Gebbia per la sua cortesia nell’avermi concesso la seguente intervista.

 

Dottor Gebbia cos’è ” Cosa Nostra” e quando nasce? 

 Cosa Nostra è un’organizzazione criminale su base territoriale che nasce a Palermo nell’ottobre del 1957 come esito di un summit di boss mafiosi siculo americani tenutosi presso l’Hotel des Palmes.

 Chi furono i principali esponenti di spicco delle famiglie mafiose che parteciparono alla riunione? E per quali motivi fu organizzata? 

A presiedere i siciliani c’era Genco Russo, succeduto a Calogero Vizzini ( defunto nel 54). Dagli Stati Uniti Lucky Luciano, Joe Bonanno, Joseph Palermo, tutti membri del Sindacato Nazionale del Crimine, sigla dopo di allora caduta in disuso. Si decise di investire quasi ogni energia nel traffico degli stupefacenti, e di eliminare Albert Anastasia, uomo irragionevole e poco incline al compromesso. Il congresso ebbe anche una madrina, che era la raffinata vedova di Peppino Badalamenti, vecchio zio di Don Tanò, che aveva fatto fortuna negli USA col proibizionismo. Lei, da sola, rappresentava l’intera sua famiglia mafiosa, mettendo in ombra il capo ufficiale, Cesare Manzella.

 Quando e perché nascono i primi legami fra Cosa Nostra e gli alti vertici del potere Statunitense? 

 Negli Stati Uniti, sotto la seconda presidenza Roosevelt, l’amministrazione democratica aveva traccheggiato abbondantemente con i mafiosi siculo americani, detentori di un cospicuo pacchetto di voti elettorali. Prima di invadere la Sicilia fu studiato con Luciano un accurato piano per consentire ad ogni boss locale di diventare, al momento dell’invasione, il supporter e alle volte il sindaco più fidato delle truppe alleate. Dopo l’8 settembre ’43, l’altro supporter fu trovato nell’Arma dei Carabinieri, che così, sotto la benedizione americana, si trovò ad essere alleata della mafia per mantenere lo statu quo antea in favore dei latifondisti e a danno dei contadini che volevano la distribuzione delle terre a chi realmente le lavorava. Un fascistone della prima ora come il bandito Giuliano non ci pensò due volte ad uccidere i carabinieri che lo avevano sorpreso con una bara piena di grano che trasportava per venderlo alla borsa nera.

 Cosa successe a Giuliano dopo questo tragico episodio? 

Si rifugiò dal principe Pignatelli di Cerchiara, in Calabria, ed entrò nei sommozzatori della X MAS. Il principe Junio Valerio Borghese lo usò anche per organizzare l’incontro che ebbe all’aeroporto militare di Castelvetrano con Roosevelt, ansioso di accordarsi segretamente con lui per evitare che questi entrasse con i suoi mini sommergibili sperimentali nel porto di New York e ripetesse l’impresa di Durand de la Penne ad Alessandria d’Egitto. In cambio, quando i partigiani occuparono Milano e Mussolini fuggì verso la Svizzera venendo però assassinato da un sicario di Sandro Pertini, Borghese si chiuse coi suoi nel Castello Sforzesco e si consegnò agli americani, che lo alloggiarono lussuosamente negli Stati Uniti finché non fu loro utile per il golpe fallito, con finalità anticomuniste. Un'iniziativa in cui Cosa Nostra americana, favorevole, mandò Buscetta a Catania per ottenere da Luciano Liggio il placet di Cosa Nostra siciliana, che non fu concesso.

 Perché non ci fu l’avallo dei mafiosi isolani?

Nel frattempo i mafiosi siciliani erano tutti diventati democristiani di ferro, e ritenevano ottusa la valutazione della CIA sulla pericolosità del PCI, infarcito come era di massoni opportunisti come Giorgio Napolitano, che infatti era andato a rassicurarli tutti, loggia per loggia, negli States.

 Il traffico di stupefacenti, proprio in quegli stessi anni, rappresenta un grosso affare per Cosa Nostra. Come vengono reinvestiti i soldi così guadagnati? 

 I proventi del traffico di stupefacenti, nonché quelli tradizionali legati al pizzo e agli appalti di opere pubbliche, vennero in gran parte investiti nello IOR del Vaticano, anche se a volte i conti non tornavano, e questo costò la vita a Roberto Calvi. Dopo di allora, pronubo Marcello dell’Utri - che essendo gay non poteva fare carriera all’interno di Cosa Nostra, così come il figlio di Michele Greco - gli investimenti verranno diversificati e nuove sponde saranno prima il finanziere Rapisarda e poi Berlusconi, destinatario finale dell’enorme quantità di miliardi che la Regione Sicilia pagò alla famiglia Salvo per rilevare la proprietà delle esattorie. Milano 2 nasce con quei soldi.

 Questi fatti sembrano mettere fuori gioco la DC. Che ruolo hanno giocato Andreotti e Cossiga in queste complesse vicende?

 Il legame con la DC di Andreotti va in fumo quando questi tenta di frenare le velleità stragiste di Riina e Bagarella, e Berlusconi - sospettato già dalla squadra mobile di Milano di essere il riciclatore dei riscatti pagati per liberare i sequestrati da Liggio - capisce che la macchina del consenso fin lì usata da lui, sopratutto in favore dell’amico Bettino, può essere mobilitata direttamente in proprio favore.

Complice Mani Pulite, nata assolutamente per caso (ad onta dei sociologi), tramonta la prima Repubblica, e nasce la Seconda, che si serve di una polizia speciale creata da Subranni (cugini Salvo) e Mori (CIA), il "ROS GESTAPO" dei carabinieri, che non a caso tratta con Provenzano il quale, in cambio dell’impunità, consegna Riina e poi Bagarella, chiudendo la fase stragista per tornare ai consueti traccheggi con il potere. Sarebbe illuminante controllare tutte le proprietà immobiliari dei carabinieri coinvolti e quanto siano ad essi costate rispetto al prezzo di mercato.

 Dove trovare in tutto ciò la “longa manus” di Washington e di uno degli uomini, all’epoca, più potenti del mondo come Kissinger? E quali sono stati i referenti, fra i partiti italiani, degli USA? Come inquadrare in questo contesto, inoltre, eventi catalizzatori come quelli del periodo stragista o come Mani Pulite e figure come Moro e Cossiga? 

 Dei partiti tradizionali il più filoamericano ed il più colluso con la mafia fu quello repubblicano, e allo stesso Spadolini, di poche pretese, toccò un appartamento con vista sullo stretto. Certo che Cossiga sapeva, ma non si è mai messo in tasca una lira. Il suo era un anticomunismo e un filo-atlantismo "dell’animo". Aldo Moro era un altro disinteressato e, a parte qualche debolezza per una cantante che viveva in Lombardia, non gliene conosco altre. Kissinger è stato uno dei grandi registi - da oltre oceano - di tutto, più per i suoi legami con la finanza ebraica di Wall Street che non per anticomunismo ideologico. Berlusconi, a un certo punto, ha voluto fare di testa sua, come Rapisarda prima di lui, ed è finito a cambiare i pannoloni ai vecchi dell’ospizio. Credeva davvero che gli si potesse perdonare di cercare l’alleanza con la Russia di Putin, nel modo che tradizionalmente, da che mondo è mondo, tutti i potenti utilizzano, cioè riempiendogli il letto di belle ragazze? Ci siamo scordati che Lloyd George e Clemenceau erano due satiri da fare impallidire lo stesso Mussolini? Ribadisco l’assoluta casualità di Mani Pulite, ma i partiti tradizionali, figli di ideologie ottocentesche, erano comunque destinati a tramontare.

 Che parte hanno recitato invece i nostri servizi segreti? 

 I nostri servizi, come sempre da quando esistono, hanno fatto abbondantemente la loro parte, genericamente in chiave filo-statunitense, ma va riconosciuta al SISMI una indipendenza d’azione che merita rispetto e che, fin dai tempi del colonnello Giovannone a tutt’oggi, ci ha consentito di essere un’isola felice rispetto al dilagare del terrorismo islamico. Tuttavia, come ho suggerito prima per i carabinieri, io un’indagine conoscitiva sulle proprietà immobiliari prima e dopo esserci entrati dentro, la farei. Ciò vale anche per tutti gli appartenenti alla GdF, che hanno sempre la fortuna di sposare donne ricche.

 Che cosa sapevano Falcone e Borsellino di tutti questi loschi e sporchi affari? 

 Falcone e Borsellino sapevano? Credo di si. Ma il loro peccato più grave è quello di avere tentato di scoperchiare il verminaio.

 Termino domandandoLe che futuro si prospetta per il nostro Paese 

 Cosa ci riserva il futuro? Temo un Cairo al posto di Berlusconi, ed un Giletti al posto di Bruno Vespa ogni sera. Come per il Milazzismo, sperimentato in Sicilia dai Salvo e dall’avvocato Guarrasi, anche questa volta il laboratorio è nell’isola, nel microcosmo del comune di Mezzojuso. Io mi opporrò dando il via ad un nuovo partito politico che si chiamerà Governo del Pelo, da non confondere con il Governo del Popolo, con il quale mi pongo in concorrenza.

 


L'intervista originaria, datata 17 giugno 2019, è presente sul blog di Enrico Sanna, Mysterion

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di Michael Habicht Mariagrazia De Luca di Michael Habicht Mariagrazia De Luca

The coins of the Popess

Michael Habicht, december 17th 2018

Introduction

 I would like to present the article in a somewhat unusual way, instead of describing the method that finally produced the result, I will present the generally accepted methods of history and archaeology first and then apply them to material many readers will not yet have heard off.

 

Coins and historical sources

 Coins usually bear witness to the real existence of the person who had the right to issue coins. In the Middle Age this regalia was strict and only few people had the right (the emperor, kings, the pope, some noblemen and clerical people).

Coins are often the only hard fact for the existence, especially in crisis, when the arts are on the ground:

Several military emperors of the 3rd Cent. AD are mostly attested by coins only. Their real existence has not been questioned by experts.

The existence of a person can further be corroborated by records from the past as well as the fact that other scientists also supports the hypothesis. The combination of coins and historical records are highly convincing.

Out of such evidence, I will develop in the article a theory that takes the social situation of the age in account as well as the psychology. A proposed theory must be realistic for the social situation of the time period. The theory can also be tested, if there are absolute certain default criteria. In addition the psychological aspects should be realistic too.

 

The coins of the Popes in the 9th Century

 During the time of Pope Leo III, papacy became dependent from the Carolingian Empire. Leo III did not only crowned Charlemagne at Christmas day of the year 800 AD, but also adapted the Frankish Denier (Denaro) as currency for the papal state (Berman 1993).

The papal state now minted silver coins as combination issue: One side for the pope, the other for the emperor. Thus we have an interesting combination of pope and parallel ruling emperor.

As forunner of the signature, monograms were used at that time, the most famous monogram is the one of Charlemagne. Also the popes adapted the monogram to sign official documents. Popes and emperor also used their monogram on the coins.

 

 Papal Monograms

 The papal monograms found on the coins are an essential part of the presented theory. We know from the combined coins: Leo III signing as LEO P combined with Emperor Charlemagne.

Very similar, only distinguished by one letter and a different style we have another combination: Leo IV signing as LEO PA in combination with the name and monogram of Emperor Lothair I.

Most interesting are the coins of Pope Benedict III. They are known in numismatics to be combined with two successive emperors, Lothair I and Louis II. Thus it must be assumed that Benedict III was the successor of Pope Leo IV.

The combination of Benedict III and Emperor Lothair I is most remarkable. According to official chronology, Lothair I had abdicated in early summer 855 and retreated to the monastery of Prün. There he died 29th September 855. Thus, such a combination coin type should not exist at all. But they do and are considered to be authentic in numismatic (Corpus Numorum Italicorum. Vol. XV - Roma, Parte I 1934; Berman 1993)

According to official papal chronology, Benedict III was elected in a popular vote as new Pope the very same day, which is rather suspicious. Furthermore, Anastasius shall have attempted a coup-d’état against Benedict III with the political support of Emperor Lothair I. Thus, is rather unlikely as the emperor was no longer in power in autumn 855.

The coins of Benedict III and Louis II attest, that Benedict III was Pope in the year 855, at least until late autumn, as he signed the privileges given to the monastery of Corbie, dated 7th October 855. This is odd to, as just new elected and not even formally crowned new Pope he signed a document, giving far reaching privileges (they must have been negotiated months in advance, and furthermore, once again emperor Lothair I is mentioned in the document).

All this information strongly points to the possibility that Benedict III was Pope already in 854 or even since late 853 AD. This assumption is supported by the fact that his predecessor Leo IV is only firmly attested with dates in the Liber Pontificalis until 853. The death of Leo IV was recorded 16th July but without a year. It was not before the early 17th Century when the Jesuits produced a printed new edition of the Pontificates that the year 855 was amended for Leo IV.

Next, we have the odd combination between a Pope Johannes and Emperor Louis II. The style of the coin (all the details of the letter, the overall design) clearly speaks in favour of placing them in the 850s. In addition, the complex ligature of the name Johannes is distinctly different to the known monogram of the later Pope Johannes VIII (872-882). The later Johannes VIII used not only a different monogram, the coins attributed to him with certainty are quite different in style (they are certain because they are combined with the Emperor Charles II the Bald).

Nevertheless, the coins of the ‘earlier Johannes’ were attributed by numismatists to the later Pope Johannes VIII, not with good arguments at all but due to sheer necessity. According to official papal chronology there is no Pope Johannes in the mid-850s. At least not someone who is acceptable for the Church.

It is quite obvious that something is wrong with the dating of the pontificates and that there is a Pope Johannes attested.

Is it possible to support the existence of a proposed Pope Johannes in this time by historical sources of other nature (chronicles, letters)?

The answer is: Yes, we can.

 

A Pope Johannes in the mid-850s

 The identification of a Pope Johannes in the 850s is further corroborated by historical sources: The chronicle of Conrad Botho "Chronicon Brunsvicensium picturatum diaclecto saxonica conscriptum" (Botho 1489) reports for the year 856 that a Pope Johannes had crowned the new Emperor Louis II, who had inherited the crown from his father Lothair I in summer 855.

A letter of the famous Anastasius Bibliothecarius, officially published and accepted as authentic is the Codex Vat. Reg. 1046 (Perels and Laehr 1928). The title used by Anastasius in the letter head is: DOMINO COANGELICO IOHANNI SUMMO PONTIFICI ET UNIVERSALI PAPAE ANASTASIUS  EXIGUUS.

Anastasius addresses a Pope Johannes who is Pontifex Maximus. Anastasius used this title until 858 AD. Then he was promoted and from 858 to 868 he was abbot and signed: Anastasius Exigius Abbas Monasteri Sanctae Dei Genetricis Maria Virginies siti Trans Tiberim.

After 868, Anastasius finally is the librarian of the Pope, now he always signed: Anastasius Sanctae Romanae Ecclesiae Bibliothecarius.

Thus it is most likely, that the letter to Pope Johannes must have been written between c. 855 and 858 the latest. The content of the letter also supports this dating, as it refers to the council of Frankfurt, held in 794 AD. In the 850s this council was important for the Frankish Empire and the papacy alike. The letter was wrongly filed under the later Pope Johannes VIII (872-882), but then, the Frankish Empire just had disintegrated and the content of the letter would have been massively outdated.

The Magdeburger Zenturien, a Renaissance chronicle also reports that Æthelwulf of Wessex had visited Pope Johannes Anglicus in Rome before he left to visit Charles II the Bald, King of Western Francia (Flacius et al. 1559). According to Joan Morris, the visit must have taken place before summer 856.

Later, the donations of Aethelwulf to Johannes Anglicus were redistributed to other popes. But the forgeries were not coordinated, and some reports attributed them to Leo IV, others to Benedict III.

Elisabeth Gössmann regarded this contradiction as further evidence for a manipulation to make Pope Johannes disappear (Gössmann 1994, 252).

 

Johannes Anglicus?

 The name Johannes Anglicus probably sound familiar to many readers. The pope is the most famous pontiff of the middle age, perhaps of all time. What makes this pope so famous is the wrong sex of the Vicar of Christ. Chroniclers of the high Middle Age reported that this pope was actually a woman and therefore removed from the official papal lists.

Presenting the case to an educated, scientific audience: This is the moment, when many realize the tremendous impact of the result achieved so far. Especially the female part of the audience now celebrates ‘Pope Joan’, the icon of feminism and gender equality as historical reality. Most of the media covering the story in autumn 2018 did not raise any evidence against this identification of Johannes as Pope Joan (Whelan 2018; Yazbek and Lincolins 2018; Solly 2018; Podbregar 2018; Fischer 2018; Bussolati 2018).

 

Martinus Polonius

 Also known as Martin von Troppau was a Dominican and bishop. His chronicle Chronicon Pontificum et Imperatorum was the most famous one during the middle age and was frequently quoted (Von Troppau 2014). He noted for Johannes Anglicus:

Post hunc Leonem Johannes Anglicus natione Maguntinus sedit annis II, mensibus V, diebus IIII or, et mortuus est Rome, et cessavit papatus mense I. Hic, ut asseritur, femina fuit, … Nec ponitur in catalogo sanctorum pontificum propter muliebris sexum quantum ad hoc deformitatem.

Translation: After Leo (IV), Johannes Anglicus, born in Mainz, seat (on the Holy See) for 2 years 5 months and 4 days, he died in Rome and the seat was vacant for one month, it is said she was a woman. … She was not added to the list of Popes because of the deformation of the female sex.

 

From real to legend

 His account triggered a huge follow-up debates by other chroniclers, intellectuals and clergymen and goes until today (Kerner and Hebers 2010; Boccaccio 1374; Gössmann 1994; Stanford 2009; Habicht 2018). By the late Middle Age and the early Renaissance the existence of Pope Joan was generally accepted, sometimes with some reservation.

Also the Protestants firmly believed in the existence of Pope Joan, but with negative intentions. She was regarded as ‘evidence’ of the morally rotten nature of papacy. Only then, Pope Joan became unbearable as historical reality for the Catholic Church. As part of the counter-reformation, it was decided to declare Pope Joan a legend and remove evidence.

The study of Pietro Ratto in 2014 show exemplary how this manuscript manipulation was done with the chronicle of Bartolomeo Platina (Ratto 2014).

Friedrich Spanheim actually saw a letter to Anastasius with the order to supress the pontificate of Pope Joan and remove her from the records (Stanford 2009, 34; Spanheim 1725; Spanheim 1736). Today this letter is gone missing (or made missing by the church). Spanheim and other theologians of the 17th

Century strongly complained and protested against the removal of Johannes Anglicus from the Liber Pontificalis in 1602 (Morris 1985, 61–62).

 

Manipulations of the Liber Pontificalis

 Instead of reading the printed edition of the Liber Pontificalis, the theologian Joan Morris studied the original manuscripts instead (Morris 1985).

For the edited version of the Liber Pontificalis, the copy from Salerno, now in the Vatican is used. This is remarkable, as it is not the oldest version.

As the original is lost, the Paris Version (Paris, Bibliothèque National de France, Manuscrit Latin 5140) from the 11th Century is the oldest copy (and well preserved).

It is quite obvious, why some scientist avoids the Paris Version of the Liber Pontificalis. It describes the lives and deeds of the Popes in chronological order: The life of Pope Leo IV reaches the year 853, then it breaks off in the middle of a word. The rest of the well-preserved page remained empty.

On the next side, the life of an ‘unnamed Pope’ follows. The life of Benedict III is missing entirely. A medieval reader assumed, that the life of the ‘unnamed Pope’ must be Benedict III and wrote with red ink “Benedictus”. But in the text, the ‘unnamed Pope’ conducted the funeral of Benedict. The later reader recognized that he was wrong and now added the new title “Nicolaus”, assuming that It must be Pope Nicholas I (858-867).

But a close inspection of the manuscript reveals that one ‘l’ in the middle of Nico-l-aus was written by another hand and in black. Morris assumed with good reasons, that the title was changed and the remaining ‘l’ actually originates from Johannes Ang-l-icus...

The described life of the ‘unnamed Pope’ closely resembles the story of Pope Joan later reported by Martinus Polonius, down to detail of her life and character.

The character of an intended manipulation becomes even more obvious, if one consults the later copy of the Liber Pontificalis in the Vatican from Salerno (Vatican Lat. 3464): The Live of Leo IV is normal until c. 853, then a fill-in-the-gap story which has little to do with the life of a pope was put in. The death day of Leo IV is given (17th July) but the year is missing (it was added later in the 17th Century when Popess Joan was removed to 855.

Then, a very short biography of Benedict III follows, only consisting of very general and unspecific nature. It gives the impression to be invented (and some experts in the past even speculated that Benedict III never existed and was only invented to cover-up Popess Joan). Coins attest the real existence of Benedict III as they attest Joan. But a pontificate lasting several years (official 855-858) seems unrealistic.

Vatican Lat. 3464 even recycled the life of the unknown Pope as the ‘beginning’ of the vita of Nicholas I. The character of the ‘unnamed Pope’ fits to Popess Joan in every aspect but is high unfitting to the quite different Nicholas I (according to Joan Morris, and I concur). In addition, if the described life of the ‘unnamed Pope’ really would be Nicholas I, the Pope and Emperor Louis II would have an affair with homosexual character (Habicht and Spycher 2018). But it makes much more sense, to attribute the vita to Popess Joan.

 Various evidence clearly indicates a removed pontificate in the mid-850s. Let us resume:

 

- Coins of a Pope Johannes, contemporary evidence from her pontificate.

- Chronicle from 871 (Paris Lat. 5516) with hints of removed content

- A now lost letter to Anastasius Bibliothecarius to remove Johannes Anglicus, the female Pope, dated around 870.

- A manipulated Liber Pontificalis (Paris Lat. 5140) from the 11th Cent.

- The later account of Martinus Polonius from 1277, confirming the existence of the female Pope.

- Reports of chroniclers that a Pope Johannes crowned Louis II in 856

- Accounts that Johannes Anglicus received Æthelwulf of Wessex in 856

 

Some of the evidence predate even the Pornocracy-theory presented by the official ecclesiastical ‘history’.

Morris suspected that Martinus Polonius may have seen the Paris manuscript in an already manipulated condition but he also knew the story of the female Pope assumed in this period. Martinus may have placed Popess Joan just minimally off the real succession. If one consults his work with the knowledge presented above, the placing of Popess Joan after Leo IV is understandable, as the ‘unnamed Pope’ follows directly after Leo IV. Martinus tells you clearly ‘after Leo’ and described the life of Joan. The next entry is odd: for the year 851 he switches back to Leo IV. Benedict III is not recorded with any deeds worthy of reporting in this chronicle.

Later, most chronicler assumed too, that Pope Joan (alias Johannes Anglicus) directly followed after Leo IV. This might be a most fatal minimal error, as this placing causes problems explaining the historical records for Joan and finding the chronological gap of two and a half year. The legend-theory supporters used this mismatch to claim that Popess Joan must be a fiction.

 

The legend-theory debunked

The denial of Pope Joan as real figure of history became standard theory for church history during the 19th Century. Defiant against all good arguments, the legend theory is constantly repeated. Only few experts have challenged this politically motivated decision.

The arguments of the defenders of the legend theory are swallow and easy to debunk as utter rubbish. Their main arguments are:

 

- The first reports on Pope Joan shall be 400 years after her legendary pontificate, starting in the 12th Century. They don’t tell you the fact, that the monopoly on books by the church did fall around 1200 AD. Before that, the clergy de-facto controlled the official records. But the coins (contemporary to her pontificate), the letters and the copies of the manipulated Liber Pontificalis all predate the 12th Century. The first historical documents with signs of manipulation (a chronicle in Paris Lat. 5516) is dated by his first owner not later than 871 AD (Morris 1985, 58–59).

 

- Another produced story is the urban legend that a papal whore named Johanna during the time of Pornocracy (10th Cent.) shall be the base of the legend. There are no hard facts supporting this invented story and the mentioned earliest evidence predate the Pornocracy. The fact that opposing variations of the legend-theory are in existence also speak for their invented nature.

 

- The stupidity of argumentation is continued until today if one reads the entries for Pope Joan on Wikipedia, where some conservatives try to control this official position, allegedly held by all ‘respectable scientists’ and ‘respectable journals’. Discussing the facts is totally refused.

The existence of a female Pope undermines the official dogma that only man can be priest and as there was never a Popess is therefore ‘mandatory’. By challenging this modern fake news produced by the Church, the Church would be forced to change her politics. Demographic developments (the lack of male priests, gender equality legislation and the acceptance of the church basis) will see in near future the woman ordination as priests almost for certain. In 20 years the second female Pope might be reality.

 

(Per la versione in italiano, si veda: Michael Habicht, Le monete della Papessa)

 


References

Berman, Allen G. 1993. Papal Numismatic History. The Emancipation of the Papal State. second Ed. South Salem: Attic Books, Ltd.

Boccaccio, Giovanni. 1374. “De Iohanna Anglica Papa.” In De Claris Mulieribus. Klett.

Botho, Conrad. 1489. Chronicon Brunsvicensium Picturatum Diaclecto Saxonica Conscriptum [p. 299]. Edited by Gottfried Wilhelm Leibniz. 1711th ed.

Bussolati, Mariella. 2018. “La Papessa Giovanna Potrebbe Non Essere Una Leggenda: Lo Provano Alcune Antiche Monete.” Business Insider Italy.

Corpus Numorum Italicorum. Vol. XV - Roma, Parte I. 1934.

Fischer, Jan. 2018. “Die Verheimlichte Päpstin.” Mysteries Magazine 6: 14–22.

Flacius, Matthias, Johann Wigand, Mattheus Judix, and Martin Köppe. 1559. Ecclesiastica Historia (Sog. Magdeburger Centurien), Cent. IX, Cap. X [Column.500-502].

Gössmann, Elisabeth. 1994. Mulier Papa, Der Skandal Eines Weiblichen Papstes. Zur Rezeptionsgeschichte Der Gestalt Der Päpstin Johanna. München: Iudicium-Verlag.

Habicht, Michael E. 2018. Päpstin Johanna. Ein Vertuschtes Pontifikat Eine Frau Oder Eine Fiktive Legende? 1st ed. Berlin: epubli.

Habicht, Michael E., and Marguerite Spycher. 2018. Pope Joan: The Covered-up Pontificate of a Woman or a Fictional Legend? 2nd ed. Berlin: epubli.

Kerner, Max, and Klaus Hebers. 2010. Die Päpstin Johanna. Biographie Einer Legende. Köln, Weimar, Wien: Böhlau Verlag.

Morris, Joan. 1985. Pope John VIII, an English Woman, Alias Pope Joan. London.

Perels, E., and G. Laehr. 1928. “Anastasii Bibliothecarii Epistolae Sive Praefationes” In Monumenta Germanicae Historia Epistolae 7: Epistolae Karolini Aevi (V), 416. Berlin: Weidemann.

Podbregar, Nadja. 2018. “Gab Es Päpstin Johanna Doch?” Wissenschaft.De.

Ratto, Pietro. 2014. Le Pagine Strappate. 1st ed. Saint Vincent, Italia: Elmi’s World.

Solly, Meilan. 2018. “Why the Legend of Medieval Pope Joan Persists” Smithsonian Magazine.

Spanheim, Friedrich. 1725. Merckwürdige Historie Der Päbstin Johanna. Aus d. Herrn von Spanheim Latein. Diss. von d. Herrn Lenfant Gezogen, u. von Demselben Nebst Verschiedenen Anmerkungen Des Herrn Des Vignoles in Frantzösischer Sprache.

Spanheim, Friedrich. 1736. Histoire de La Papesse Jeanne. Troisième. Den Haag.

Stanford, Peter. 2009. Die Wahre Geschichte Der Päpstin Johanna. Berlin: Aufbau Verlag.

Von Troppau, Martin. 2014. Chronicon Pontificum et Imperatorum. Edited by Anna-Dorothee Von den Brincken.

Whelan, Ed. 2018. “Researchers Find Physical Evidence for the Existence of a Female Pope.” Ancient Origins.

Yazbek, Letícia, and Thiago Lincolins. 2018. “Arqueólogos Apresentam Provas de Que Uma Mulher Foi Papa.” Aventuras Na Historia. 

 

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di Michael Habicht Mariagrazia De Luca di Michael Habicht Mariagrazia De Luca

Le monete della Papessa

Michael Habicht, 17 dicembre 2018

Introduzione

Vorrei presentare l'articolo in un modo un po' insolito. Invece di descrivere il metodo che ha prodotto il risultato finale, presenterò prima i metodi generalmente accettati in ambito storiografico e archeologico e poi li applicherò al materiale che molti lettori non avranno ancora preso in considerazione.

Monete e fonti storiche

Le monete, di solito, testimoniano la reale esistenza della persona che ha il diritto di emetterle. Nel Medioevo questa regalia era severa e solo poche persone esercitavano questo diritto (l'imperatore, il re, il papa, alcuni nobili e chierici).

Le monete sono spesso l'unica prova per dimostrare l'esistenza di queste persone, specialmente se è messa in dubbio, quando gli altri tipi di documenti mancano. L'esistenza di diversi imperatori militari del III secolo è spesso attestata solo grazie a monete. E non è stata messa in discussione dagli esperti.

L'esistenza storica di una persona può inoltre essere corroborata da documenti del passato e dal fatto che anche altri scienziati supportino l'ipotesi. La combinazione di monete e documenti storici è molto convincente.

Al di là di queste prove, svilupperò nell'articolo una teoria che prende in considerazione la situazione sociale dell'epoca allo studio e la psicologia. Una teoria proposta deve essere realistica in riferimento alla situazione sociale di quel determinato periodo. La teoria può anche essere testata, se esistono determinati criteri predefiniti. Anche gli aspetti psicologici presi in considerazone debbono essere realistici.

Le monete dei Papi nell'IX secolo

Durante il tempo di Papa Leone III, il papato divenne dipendente dall'impero carolingio. Leone III non solo incoronò Carlo Magno nel giorno di Natale dell'anno 800 dC, ma adottò anche il denaro franco (Denaro) come moneta dello Stato pontificio (Berman 1993).

Questo Stato, da quel momento in poi, coniò monete d'argento con questa combinazione: un lato della moneta per il papa, l'altro per l'imperatore. Possiamo quindi contare su un'interessante combinazione di papa e imperatore, contemporaneamente al potere.

Come firma, in quel periodo venivano utilizzati monogrammi. il monogramma più famoso è quello di Carlo Magno. Anche i papi, per firmare documenti ufficiali, adattarono il monogramma. E i monogrammi di papi e imperatori venivano utilizzati anche sulle monete.

Monogrammi papali

I monogrammi papali trovati sulle monete sono una parte essenziale della teoria qui presentata. Sappiamo dalle monete combinate, per esempio, che Leone III firmava come LEO P, in combinazione con l'Imperatore Carlo Magno.

Molto simile, distinta solo da una lettera e da uno stile diverso, abbiamo un'altra combinazione: Leo IV che firma come LEO PA in combinazione con il nome e il monogramma dell'Imperatore Lotario I.

Più interessanti sono le monete di Papa Benedetto III. Sono conosciute in numismatica per essere combinate con due successivi imperatori, Lotario I e Ludovico II. Pertanto, si deve presumere che Benedetto III sia stato il successore di Papa Leone IV.

La combinazione di Benedetto III e dell'imperatore Lotario I è la più notevole. Secondo la cronologia ufficiale, Lotario abdicò all'inizio dell'estate 855, ritirandosi nel monastero di Prün. Lì morì il 29 settembre 855. Quindi, un tale tipo di moneta combinata non dovrebbe esistere affatto. Nonostante questo, in ambito numismatico, monete riportanti una tale combinazione sono considerate autentiche (Corpus Numorum Italicorum, Vol. XV - Roma, Parte I 1934, Berman 1993)

Secondo la cronologia papale ufficiale, Benedetto III è stato eletto papa con acclamazione popolare lo stesso giorno in cui morì Lotario e salì al potere Ludovico, cosa piuttosto difficile da credere. Inoltre ci viene tramandato che Anastasio bibliotecario tentò un "colpo di stato" contro Benedetto III con il sostegno politico dell'imperatore Lotario I. È quindi piuttosto improbabile che quell'imperatore non fosse più al potere già dall'autunno 855.

Le monete di Benedetto III e di Ludovico II attestano che Benedetto III fu Papa nell'anno 855 almeno fino al tardo autunno, quando firmò i privilegi, concessi al monastero di Corbie, datati 7 ottobre 855. Ciò è strano. Un papa appena eletto, nemmeno ancora formalmente incoronato, che firma un documento che concede così ampi privilegi (che, in quanto tali, dovrebbero essere stati negoziati con mesi di anticipo. Per giunta, ancora una volta, in quel documento l'imperatore Lotario I viene menzionato).

Tutte queste informazioni sottolineano con forza la possibilità che Benedetto III sia stato Papa già nell'854 o addirittura dalla fine dell'853 d.C. Questa ipotesi è supportata dal fatto che l'esistenza del suo predecessore Leone IV nel Liber Pontificalis è attestata soltanto fino al 853. La morte di Leone IV è stata ivi registrata il 16 luglio ma senza un anno. Soltanto nel XVII secolo, quando i gesuiti produssero una nuova edizione stampata del Liber Pontificalis, relativamente a Leone IV fu aggiunto, a quel "16 luglio", l'anno 855.

Ma non basta. E' giunta a noi una moneta riportante la strana combinazione tra un "Papa Johannes" e l'Imperatore Ludovico II. Lo stile di quella moneta (ogni i dettaglio delle lettere, il design generale) parla chiaramente a favore della sua collocazione negli anni '50. Inoltre, la complessa legatura del nome Johannes è distintamente diversa dal monogramma conosciuto relativo al futuro Papa Giovanni VIII (872-882). Il successivo Giovanni VIII, infatti, usò non solo un monogramma diverso, ma le monete stesse attribuite a lui con certezza sono molto differenti nello stile (e sono certamente sue a causa della combinazione con l'imperatore Carlo II il Calvo).

Ciononostante, le monete del "precedente Johannes" furono attribuite dai numismatici al futuro Papa Giovanni VIII, e senza certo buoni argomenti, bensì per pura necessità. Secondo la cronologia papale ufficiale non c'è alcun Papa Johannes a metà degli anni '50. Per lo meno, nessuno che risulti accettabile dalla Chiesa.

È abbastanza ovvio che qualcosa non vada nella datazione dei pontificati e che risulti chiaramente un Papa Johannes attestato da quella moneta.

È possibile sostenere l'esistenza di un Papa proposto in questo periodo da fonti storiche di altra natura (cronache, lettere)?

La risposta è: sì, è possibile.

Un Papa Johannes a metà degli anni '50

L'identificazione di un "papa Johannes" negli anni '50 è ulteriormente corroborata da fonti storiche: la cronaca di Conrad Botho "Chronicon Brunsvicensium picturatum diaclecto saxonica conscriptum" (Botho 1489) riferisce per l'anno 856 che un Papa Johannes aveva incoronato il nuovo imperatore Ludovico II, il quale aveva ereditato la corona da suo padre Lotario I nell'estate 855.

Una lettera del famoso Anastasio Bibliotecario, ufficialmente pubblicata e accettata come autentica, è il Codex Vat. Reg. 1046 (Perels e Laehr 1928). Il titolo utilizzato da Anastasio nella lettera è: DOMINO COANGELICO IOHANNI SUMMO PONTIFICI ET UNIVERSALI PAPAE ANASTASIUS EXIGUUS. Anastasio si riferisce quindi a un Papa Johannes che è Pontifex Maximus.

Anastasio usò questo titolo fino all'858 d.C. Successivamente fu "promosso" e, dall'858 all'868, divenne abate prendendo a firmarsi: Anastasio Exigius Abbas Monasteri Sanctae Dei Genetricis Maria Virginies siti Trans Tiberim.

Dopo l'868, Anastasio è finalmente il bibliotecario del Papa. Da lì in avanti, quindi, si firma: Anastasio Sanctae Romanae Ecclesiae Bibliothecarius.

Quindi è molto probabile che la lettera a papa Johannes debba essere stata scritta tra l' 855 e la fine dell'858.

Il contenuto della lettera supporta questa datazione, in quanto si riferisce al Concilio di Francoforte, tenutosi nel 794 d.C. Negli anni '50 questo Concilio era importante per l'impero franco e per il papato. La lettera venne erroneamente archiviata sotto il futuro papa Giovanni VIII (872-882), ma con la successiva disintegrazione dell'impero franco il contenuto di quella lettera avrebbe decisamente perso importanza.

Il Magdeburger Zenturien, una cronaca rinascimentale, riporta anche che Æthelwulf of Wessex aveva visitato il Papa Johannes Anglicus a Roma prima di partire per far visita a Carlo II il Calvo, re della Francia occidentale (Flacius et al., 1559). Secondo Joan Morris, la visita ebbe luogo prima dell'estate 856.

Successivamente, le donazioni di Aethelwulf a Johannes Anglicus furono ridistribuite ad altri papi. Ma le falsificazioni non erano coordinate, di conseguenza alcune cronache le attribuivano a Leone IV, altri a Benedetto III.

Elisabeth Gössmann considerava questa contraddizione un'ulteriore prova di una manipolazione atta a far scomparire "papa Johannes" (Gössmann 1994, 252).

Johannes Anglicus?

Il nome Johannes Anglicus probabilmente risulta familiare a molti lettori. Il papa è il pontefice più famoso del medioevo, forse di tutti i tempi. Ciò che rende famoso questo Papa è il sesso sbagliato del Vicario di Cristo. Cronisti dell'alto Medioevo hanno riferito che questo papa era in realtà una donna e che, quindi, venne rimosso dalle liste papali ufficiali.

Potrebbe essere questo il momento migliore per presentare in maniera scientifica questo caso a un pubblico colto. In questo momento in cui molti realizzano l'enorme impatto del risultato raggiunto finora. Soprattutto la parte femminile del pubblico che celebra ora la "Papessa Giovanna", icona del femminismo e dell'uguaglianza di genere, come realtà storica. La maggior parte dei media che coprono la storia in quest'autunno del 2018, non sanno portare alcuna prova scientifica contro l'identificazione di Johannes con la Papessa Giovanna (Whelan 2018, Yazbek e Lincolins 2018, Solly 2018, Podbregar 2018, Fischer 2018, Bussolati 2018).

Martino Polono

Conosciuto anche come Martin von Troppau, era un domenicano e vescovo. La sua cronaca Chronicon Pontificum et Imperatorum fu la più famosa e citata, durante il Medioevo (Von Troppau 2014). Martino ha attestato l'esistenza storica di Johannes Anglicus:

Post hunc Leonem Johannes Anglicus natione Maguntinus sedit annis II, mensibus V, diebus IIII o, et mortuus est Roma, et cessavit papatus mense I. Hic, ut asseritur, femina fuit, ... Nec ponitur in catalogo sanctorum pontificum propter muliebris sexum quantum ad hoc deformitatem. (Dopo Leo (IV), Johannes Anglicus, nato a Mainz, sedette (sul soglio pontificio) per 2 anni 5 mesi e 4 giorni, morì a Roma e il seggio fu vacante per un mese, si dice che fosse una donna ... Non è stata aggiunta alla lista dei Papi a causa di questa sua difformità, essendo di sesso femminile).

Dalla realtà alla leggenda

Il resoconto di Martino scatenò un enorme dibattito tra cronisti, intellettuali ed ecclesiastici durato fino ad oggi (Kerner ed Hebers 2010, Boccaccio 1374, Gössmann 1994, Stanford 2009, Habicht 2018). Nel tardo Medioevo e nel primo Rinascimento, l'esistenza della Papessa Giovanna era generalmente accettata, a volte con qualche riserva. Anche i protestanti credevano fermamente nell'esistenza di una papessa Giovanna, ma con intenzioni negative. Era considerata come "prova" della natura moralmente corrotta del papato.

Solo a quel punto la Papessa come realtà storica divenne, per la Chiesa Cattolica, una presenza insopportabile. In piena Controriforma, si decise quindi di dichiarare "Leggenda" la storia della papessa e di rimuoverne le prove.

Lo studio del 2014 di Pietro Ratto mostra in modo esemplare come questa manipolazione di manoscritti sia stata fatta con la cronaca di Bartolomeo Platina (Ratto 2014).

Friedrich Spanheim poté esaminare effettivamente una lettera indirizzata ad Anastasio, recante l'ordine di sopprimere il pontificato della papessa Giovanna e di rimuoverla dai registri (Stanford 2009, 34; Spanheim 1725; Spanheim 1736). Oggi questa lettera è scomparsa (o è stata dispersa dalla Chiesa). Spanheim e altri teologi del XVII secolo si lamentarono e protestarono con forza contro la rimozione di Johannes Anglicus dal Liber Pontificalis, nel 1602 (Morris 1985, 61-62).

Le manipolazioni del Liber Pontificalis

Invece di leggere l'edizione stampata del Liber Pontificalis, il teologo Joan Morris studiò i manoscritti originali (Morris 1985).

La versione pubblicata del Liber è infatti la Copia di Salerno, ora in Vaticano. Ciò è notevole, in quanto quella non è la versione più antica.

Ad oggi, essendo andate perdute le edizioni precedenti, la versione più antica esistente è la Copia di Parigi (Parigi, Bibliothèque National de France, Manuscrit Latin 5140), risalente all'XI secolo.

È abbastanza ovvio il motivo per cui alcuni studiosi evitino la versione di Parigi del Liber Pontificalis. Essa descrive le vite e gli atti dei Papi in ordine cronologico. E in essa la vita di Papa Leone IV si ferma all'anno 853, interrompendosi nel mezzo di una parola. Il resto della pagina, ben conservata, è vuoto. Sul lato successivo, segue la vita di un "Papa senza nome". Quella di Benedetto III manca completamente.

Un lettore medievale stabilì che quel "Papa senza nome" dovesse essere Benedetto III e vi scrisse quindi, con inchiostro rosso, "Benedictus". Ma nel testo si racconta che il "Papa senza nome" celebrò i funerali di Benedetto. Un lettore successivo riconobbe quindi l'errore, e corresse il titolo scrivendovi "Nicolaus", supponendo che si dovesse trattare di papa Nicola I (858-867). Ma un attento esame del manoscritto rivela che una "l" nel mezzo di Nico-l-aus è stato scritto da un'altra mano, e in nero. Morris ipotizzò, con fondate ragioni, che il titolo fosse stato appunto corretto e che quella "l" fosse effettivamente quel che restava del nome Johannes Ang-l-icus... La vita riportata da quella pagina a proposito di questo "papa senza nome", per giunta, ricorda parecchio la storia della Papessa Giovanna raccontata in seguito da Martino Polono, fino ai dettagli della sua vita e della sua personalità.

Il carattere di una manipolazione intenzionale diventa ancora più evidente se si consulta la copia successiva del Liber Pontificalis in Vaticano, quella appunto proveniente da Salerno (Vaticano Lat 3464). La vita di Leone IV appare anche qui normale fino all'853, poi vi è inserita una storia che sembra avere la funzione di riempire lo spazio vuoto, avendo poco a che fare con la vita di un papa. Il giorno della morte di Leone IV è annotato (17 luglio) ma manca l'anno (risulta aggiunto più tardi, nel XVII secolo, quando appunto la Papessa Giovanna venne rimossa dall'855.

Segue poi una brevissima biografia di Benedetto III, scritta in modo molto generico e sommario, dando l'impressione di esser stata inventata (alcuni esperti, in passato, hanno persino ipotizzato che Benedetto III non sia mai esistito e che sia stato inventato solo per nascondere la Papessa). Le monete attestano la reale esistenza di Benedetto III, così come attestano quella di Johannes. Ma un pontificato della durata di diversi anni (ufficialmente verificatosi tra l'855 e l'858) appare irrealistico.

La Vaticano Lat. 3464 ricicla persino la vita del "Papa sconosciuto" inserendola nella parte "iniziale" della vita di Nicola I. Il personaggio del "Papa senza nome" si adatta alla Papessa Giovanna in ogni aspetto, ed è fortemente in disaccordo con il molto diverso Nicola I (e ciò, secondo l'opinione di Joan Morris, con la quale concordo). Inoltre, se la vita descritta a proposito del "Papa senza nome" fosse davvero quella di Nicola I, il Papa e l'imperatore Ludovico II avrebbero una relazione con un personaggio omosessuale (Habicht e Spycher 2018).

Ma naturalmente ha molto più senso attribuire la vita a Giovanna.

Varie prove indicano chiaramente un pontificato rimosso a metà degli anni '50. Le riassumiamo:

- Monete di un Papa "Johannes", come testimonianze coeve del suo pontificato.

- Cronaca dell'871 (Parigi Lat. 5516) con accenni a contenuti rimossi.

- Una lettera, ormai perduta, indirizzata ad Anastasio Bibliotecario per rimuovere la figura di Johannes Anglicus, il Papa femmina, datata intorno all'870.

- Un Liber Pontificalis (Parigi Lat. 5140) manipolato dall'XI secolo.

- L'ultimo racconto di Martino Polono, risalente al 1277, a conferma dell'esistenza del papa femmina.

- Cronache di cronisti che testimoniano di un papa Johannes che incoronò Ludovico II nell'856.

- Prove storiche che attestano che un Johannes Anglicus ricevette Æthelwulf of Wessex nell'856.

Alcune delle prove testimoniano addirittura la teoria della Pornocrazia presentata dalla "storia" ecclesiastica ufficiale.

Morris sospettava che Martino Polono potesse aver visto il manoscritto di Parigi in una condizione già manipolata, ma che conoscesse anche la storia della donna eletta in quel periodo. Martino potrebbe non aver collocato la Papessa nell'esatta successione. Se si consulta la sua opera alla luce degli elementi presentati sopra, la collocazione della Papessa Giovanna dopo Leone IV è comprensibile, poiché il "Papa senza nome" segue direttamente Leone IV. Martino scrive chiaramente: "dopo Leo" e descrive la vita di Giovanna. L'informazione successiva è strana: in riferimento all'anno 851 torna a Leone IV. Benedetto III non è registrato con atti degni di cronaca in questo documento.

Più tardi, la maggior parte dei cronisti asserì che Giovanna (alias Johannes Anglicus) fosse succeduta direttamente a Leone IV. Questo potrebbe essere un piccolo errore fatale, poiché questa collocazione causa problemi a spiegare le testimonianze storiche di Giovanna e a rintracciare il divario cronologico di due anni e mezzo. I sostenitori della teoria della leggenda hanno usato questo problema per affermare che la Papessa Giovanna fosse una finzione.

La teoria delle leggende smentita

La negazione della papessa Giovanna come vera figura storica divenne teoria standard per la Storia della chiesa durante il XIX secolo. Pur contro tutti i buoni argomenti, la teoria della leggenda è costantemente ribadita. Solo pochi esperti hanno contestato questa decisione politica.

Gli argomenti dei difensori della teoria della leggenda sono acriticamente assimilati e facili da smascherare come pura spazzatura.

Le loro principali argomentazioni sono:

- Le prime notizie sulla Papessa Giovanna risalgono a 400 anni dopo il suo leggendario pontificato, a partire dal XII secolo. Non ti dicono che il monopolio sui libri della chiesa si è interrotto proprio intorno al 1200 d.C. Prima di allora, il clero controllava di fatto i registri ufficiali. Ma le monete (contemporanee al suo pontificato), le lettere e le copie del Liber Pontificalis manipolato, sono tutte anteriori al XII secolo. I primi documenti storici riportanti segni di manipolazione (una cronaca a Parigi lat. 5516) sono datati dal primo proprietario non più tardi dell'871 d.C. (Morris 1985, 58-59).

- Un'altra storia prodotta è la leggenda metropolitana secondo cui una prostituta papale di nome Johanna, durante il cosiddetto periodo della Pornocrazia (X secolo) fosse alla base della leggenda. Non ci sono fatti concreti a sostegno di questa storia inventata e la prima prova menzionata risale a prima della suddetta Pornocrazia. Il fatto poi che esistano opposte varianti della Teoria della leggenda dimostra la loro stessa natura di invenzioni.

- La sciocchezza delle suddette argomentazioni si è protratta fino ad oggi. Basta leggere le voci Papessa Giovanna inserite su Wikipedia, dalle cui pagine alcuni conservatori cercano di imporre questa posizione ufficiale, presumibilmente sostenuta da tutti gli "scienziati rispettabili" e da tutte le "riviste rispettabili". Mettere in discussione i fatti è assolutamente fuori questione. L'esistenza di un Papa femmina mina il dogma ufficiale secondo cui solo l'uomo può essere sacerdote e affermare che non ci sia mai stata una Papessa diventa quindi "inevitabile".

Per sfidare questa falsa notizia moderna prodotta dalla Chiesa, quest'ultima sarebbe costretta a cambiare la sua stessa politica.

Gli sviluppi demografici (la mancanza di sacerdoti maschi, la legislazione sull'uguaglianza di genere e la sua accettazione da parte della "base" della comunità cristiana) danno quasi per certa, nel prossimo futuro, l'ordinazione sacerdotale delle donne.

Tra vent'anni anni la seconda donna papa potrebbe essere realtà.

(English version: Michael Habicht, The coins of Popess)

Il libro "Le monete della Papessa" del prof. Michael Habicht (archeologo ed egittologo svizzero assurto agli onori delle cronache per il suo recente e importante ritrovamento di una moneta del secolo IX, riportante il monogramma IOHANIS abbinato a quello dell'imperatore Ludovico II), è in via di pubblicazione - in esclusiva in l'Italia - per i tipi di Bibliotheka edizioni, all'interno della collana editoriale Distorica diretta da Pietro Ratto.


Riferimenti bibliografici

Berman, Allen G. 1993. Papal Numismatic History. The Emancipation of the Papal State. second Ed. South Salem: Attic Books, Ltd.

Boccaccio, Giovanni. 1374. “De Iohanna Anglica Papa.” In De Claris Mulieribus. Klett.

Botho, Conrad. 1489. Chronicon Brunsvicensium Picturatum Diaclecto Saxonica Conscriptum [p. 299]. Edited by Gottfried Wilhelm Leibniz. 1711th ed.

Bussolati, Mariella. 2018. “La Papessa Giovanna Potrebbe Non Essere Una Leggenda: Lo Provano Alcune Antiche Monete.” Business Insider Italy.

Corpus Numorum Italicorum. Vol. XV - Roma, Parte I. 1934.

Fischer, Jan. 2018. “Die Verheimlichte Päpstin.” Mysteries Magazine 6: 14–22.

Flacius, Matthias, Johann Wigand, Mattheus Judix, and Martin Köppe. 1559. Ecclesiastica Historia (Sog. Magdeburger Centurien), Cent. IX, Cap. X [Column.500-502].

Gössmann, Elisabeth. 1994. Mulier Papa, Der Skandal Eines Weiblichen Papstes. Zur Rezeptionsgeschichte Der Gestalt Der Päpstin Johanna. München: Iudicium-Verlag.

Habicht, Michael E. 2018. Päpstin Johanna. Ein Vertuschtes Pontifikat Eine Frau Oder Eine Fiktive Legende? 1st ed. Berlin: epubli.

Habicht, Michael E., and Marguerite Spycher. 2018. Pope Joan: The Covered-up Pontificate of a Woman or a Fictional Legend? 2nd ed. Berlin: epubli.

Kerner, Max, and Klaus Hebers. 2010. Die Päpstin Johanna. Biographie Einer Legende. Köln, Weimar, Wien: Böhlau Verlag.

Morris, Joan. 1985. Pope John VIII, an English Woman, Alias Pope Joan. London.

Perels, E., and G. Laehr. 1928. “Anastasii Bibliothecarii Epistolae Sive Praefationes” In Monumenta Germanicae Historia Epistolae 7: Epistolae Karolini Aevi (V), 416. Berlin: Weidemann.

Podbregar, Nadja. 2018. “Gab Es Päpstin Johanna Doch?” Wissenschaft.De.

Ratto, Pietro. 2014. Le Pagine Strappate. 1st ed. Saint Vincent, Italia: Elmi’s World.

Solly, Meilan. 2018. “Why the Legend of Medieval Pope Joan Persists” Smithsonian Magazine.

Spanheim, Friedrich. 1725. Merckwürdige Historie Der Päbstin Johanna. Aus d. Herrn von Spanheim Latein. Diss. von d. Herrn Lenfant Gezogen, u. von Demselben Nebst Verschiedenen Anmerkungen Des Herrn Des Vignoles in Frantzösischer Sprache.

Spanheim, Friedrich. 1736. Histoire de La Papesse Jeanne. Troisième. Den Haag.

Stanford, Peter. 2009. Die Wahre Geschichte Der Päpstin Johanna. Berlin: Aufbau Verlag.

Von Troppau, Martin. 2014. Chronicon Pontificum et Imperatorum. Edited by Anna-Dorothee Von den Brincken.

Whelan, Ed. 2018. “Researchers Find Physical Evidence for the Existence of a Female Pope.” Ancient Origins.

Yazbek, Letícia, and Thiago Lincolins. 2018. “Arqueólogos Apresentam Provas de Que Uma Mulher Foi Papa.” Aventuras Na Historia. 

 

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Fratello Olocausto

Pietro Ratto, 27 gennaio 2017

“.. se questa ebraica razza straniera è lasciata troppo libera di sé, diventa subito persecutrice, vessatrice, tiranna, ladra e devastatrice dei paesi dove si stabilisce. E per ciò fu tante volte perseguitata, vessata, tiranneggiata, rubata e devastata anch'essa dai Popoli esasperati. Laonde, per impedire che questa razza perseguiti o sia perseguitata, sono necessari i freni sapienti e leggi speciali a sua non meno che nostra difesa e salute.”

 

Quante volte ci siamo imbattuti in discorsi come questi, a proposito della piaga dell’antisemitismo e dell’orrenda politica razziale nazionalsocialista che se ne fece interprete, dall’ascesa al potere di Hitler in poi.

Un pregiudizio granitico, glaciale, che non conosce dubbio o ravvedimento. Che con quella criminale certezza assoluta, così tipica degli ignoranti, stigmatizza un’intera classe, in questo caso un’intera “razza”, scorgendo e denunciando in essa contorni e caratteristiche essenziali di chi, irreparabilmente, opera il male.

Il problema però, questa volta, è un tantino diverso. Perché ad attaccare con questa acredine e questa violenza quegli “ebrei, eterni fanciulloni insolenti, caparbii, sporchi, ladri, bugiardi, ignoranti, seccatori e flagello dei vicini e dei lontani”, manifestando con orgoglio quella “ripugnanza che la civiltà cristiana sempre sentì e sente contro la razza ebrea”, non sono i nazisti, non è Hitler [...]


L'intero saggio è consultabile in: P. Ratto La Storia dei vincitori e i suoi miti, Dissensi edizioni, Viareggio, 2018

 

Maggiori informazioni sul nuovo libro di Pietro Ratto,

La storia dei vincitori e i suoi miti.

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Le Taxae Camaerae

Un contributo allo studio storico

Mac Dèi Ricchi, 1 ottobre 2016

I difensori della Chiesa a tutti i costi

La condanna delle idee non conformi a quanto interessa al potere dominante è un'occupazione che ha attraversato il tempo e i luoghi della nostra Terra. La vicenda delle “Taxae Camaerae” è un esempio di questa censura dai modi mutevoli e portata avanti da persone tra le più insospettabili.

Con questo titolo ci si riferisce a un tariffario in uso della Chiesa e con il quale alcuni papi, in particolare quelli del XVI secolo, avrebbero concesso l'assoluzione per una serie non indifferente di peccati. Usiamo “non indifferente” perché il problema è non solo la quantità di peccati che potevano essere assolti, ma anche la loro natura: tra i più gravi vi erano anche omicidi e matrimoni tra consanguinei.

Le Taxae Camaerae costituirebbero, quindi, una testimonianza sconvolgente contro la credibilità morale della Chiesa, tanto da costringere giornalisti famosi a scrivere anche su Internet per mettere in guardia i lettori da quella che sarebbe una delle "maggiori bufale anticattoliche". Per giustificare questa affermazione, gli apologeti cattolici si appellano ad una serie di pagine che si trovano nell'Internet Archive, sotto un sito dal nome.. Apologetica.org. Pagine scritte da persone di cui non si conoscono le competenze in materia, tanto sembrano anonime. Se poi si prova a testare la validità di quanto asseriscono, allora le sorprese sono ancora maggiori.

Svolgendo una ricerca indipendente si scopre che la polemica sulle Taxae Camaerae era assai vivace nel mondo anglosassone dei secoli scorsi, e vide, ovviamente, contrapposti i protestanti ai cattolici. L'elenco di autori che si cimentarono nel difendere le proprie tesi sembra infatti molto nutrito, ma di tutti questi studiosi gli autori del sito Apologetica.org citano solo una minima parte. Soprattutto evitano di riportare le considerazioni dei protestanti, i più attivi nel raccogliere i documenti originari e divulgarli.

Leggendo le invettive dei cattolici, tra i quali si pone ovviamente Apologetica.org, sembra che la polemica delle Taxae sia invece alimentata dai protestanti per infangare l'operato dei papi, soprattutto quello di Leone X (1513-1521). Ma, al solito, la faccenda non è proprio così.

 

Un teologo contro il papa

 Un accusatore della Chiesa di Roma per la venalità con cui questa dispensava le sue assoluzioni, era proprio un teologo cattolico, tale Claude D'Espence. Apologetica.org, con l'intenzione di ribattere punto per punto e difendere la Chiesa di Roma, non può fare a meno di considerarlo per smontarne il valore della testimonianza.

Questo teologo infatti non era una "bocca cucita". Se leggiamo la sua biografia scopriamo che aveva messo in dubbio i racconti della Leggenda Aurea, il famoso testo medievale che raccontava la vita di molti santi}; e venne sospettato di aver redatto un libro anonimo sul culto delle immagini, non ben visto dai colleghi dell'epoca.

Nonostante questi trascorsi, la sua qualità d'oratore gli valse l'appoggio dei potenti dell'epoca e per poco non venne nominato da papa Paolo IV cardinale a Roma. Inoltre partecipò anche alla preparazione del Concilio di Trento.

Siamo quindi di fronte a un teologo cattolico la cui opinione sulle Taxae Camaerae è importante, in quanto non era certamente interessato a denigrare, a mezzo di essa, la Chiesa in sé se non per redarguirla. D'Espence era tanto fedele alla Chiesa, quanto avversario delle idee dei protestanti, ma, con questi, condivideva l'avversione per le Taxae tanto da sentenziare “Che una volta tanto Roma si vergogni e smetta di divulgare per denaro cataloghi criminali di così bassa lega”.

Con queste parole il nostro teologo testimonia che:

 - esisteva una pubblicazione in cui venivano assicurate, in cambio di denaro, l'assoluzione dei peccati e l'immunità, in modo che il "peccatore" potesse, a grandi linee, ritornare nella società come se "niente fosse stato"; partecipando quindi di tutti i diritti o i privilegi di una persona “non peccatrice”;

 - questo libro era utilizzato dai ministri della Chiesa che, tramite i compensi previsti, traevano molto guadagno;

 - D'Espence riteneva che il libro fosse una vergogna per la Chiesa di Roma e che avesse contribuito all'allontanamento dei fedeli nei paesi, come la Germania o la Svizzera, dove di conseguenza più forte era l'adesione alla religione protestante;

 - la Chiesa di Roma fosse responsabile della divulgazione di tale libro con cui assicurava la pratica dell'assoluzione e l'immunità in cambio di soldi.

 Apologetica.org cerca di ridimensionare queste accuse ma commette una grande omissione, ovvero di non aver rivelato che il libro di D'Espence era stato censurato dall’Inquisizione spagnola proprio nelle parti in cui scriveva delle Taxae Camaerae.

Tutto questo ci dimostra che l'Inquisizione non permetteva alcun dissenso, neanche se proveniva da membri qualificati della Chiesa stessa. In più, per il caso in esame, si comprende che oltre alla questione delle Taxae, nelle critiche non potevano essere citati i nomi dei papi e degli uffici papali (nel nostro caso la Cancelleria Apostolica).

Per allontanare qualsiasi accusa contro le Taxae, tra i vari sotterfugi usati dagli apologeti cattolici vi è anche quello di configurarle come semplici elenchi di compensi per quelli che scrivevano i documenti di assoluzione. Senza scomodare i protestanti che anche su questo hanno ribattuto a dovere, è il nostro teologo che contesta questa e altre interpretazioni, definendole sottigliezze per negare l'avidità all'origine delle tasse papali. Le parole di D'Espence sono decise e forti, e rendono nel migliore dei modi la situazione vergognosa creata dall'abuso delle imposte gestite dagli organi amministrativi, tanto sordidi da essere paragonati a delle grandi “stalle” e che erano sotto la guida proprio del papa.

 

La versione di Pepe Rodriguez e quella di Wikipedia

 La diatriba sulle Taxae Camaerae è piuttosto antica e ha ripreso vitalità, almeno nel mondo cattolico, con la pubblicazione di una sua versione da parte dello spagnolo Pepe Rodriguez.

Attribuendo la falsità a tutte le testimonianze che denigrano la Chiesa, e quindi anche a questa di Rodriguez, Apologetica.org conclude, come sostiene il titolo di una delle sue pagine, che la sua ricerca sarebbe "la storia vera di una menzogna".

Con i nostri approfondimenti pensiamo di aver chiarito che lo studio di Apologetica.org è assolutamente carente, di parte, e metodologicamente sbagliato. Per cui le sue conclusioni lo sono altrettanto.

Con questo non ne discende che quanto divulgato da Pepe Rodriguez vada automaticamente preso per vero. Quello che invece preme evidenziare è che la veridicità della sua lista non è necessaria per testimoniare la storicità della Taxae Camaerae e dell’abuso che di esse ne fecero i papi del XVI secolo, soprattutto quelli appartenenti al casato dei Medici.

Quindi tutte le accuse fatte dallo studioso cattolico Vittorio Messori e dai redattori di Apologetica.org contro chi rimarca le azioni immorali della Chiesa basandosi sulle Taxae Camaerae, sono prive di ogni fondamento.

Ma l'opera dei difensori della Chiesa contro le Taxae non si è espressa solo in siti dedicati, perché con l'avvento di Wikipedia quello che normalmente si trova nei libri o nel Web finisce prima o dopo in qualche pagina di questa immensa enciclopedia. Non poteva quindi mancare una pagina dedicata alle Taxae Camaerae, anche se malamente titolata nello stesso modo utilizzato da Pepe Rodriguez ("Taxa Camarae"). Purtroppo quella pagina diventa un ulteriore esempio per mettere in guardia chi fa uso in maniera indiscriminata del Web. Infatti la bibliografia che riproduce è semplicemente estrapolata dal sito Apologetica.org, che è limitata e di parte}. Il contenuto è carente nei principi basilari che riguardano la verificabilità delle notizie. Riporta infatti più che altro notizie che derivano da Apologetica.org e le conclusioni sono completamente in simbiosi con quelle tratte da questo sito tanto impegnato ad evitare la "calunnia" alla Chiesa. Vengono chiamati in causa i pareri dei cosiddetti "storici", senza però mai qualificarli, inserendo affermazioni tanto generiche che danno adito al sospetto che si sia voluto passare per certezze delle opinioni personali.

Invece che rincorrere l'ipse dixit, sappiamo che una valida componente dell'informazione corretta è quella delle fonti che devono essere note e accessibili a tutti. Purtroppo questa è una pecca della pagina di Wikipedia in esame, persino nel momento in cui dovrebbe citare i nomi delle persone che fanno affermazioni impegnative. Tanto entusiasmo in chi pensava di redigere una pagina esaustiva per Wikipedia, andava quantomeno equilibrato con adeguati approfondimenti, come dovrebbe fare chiunque ha a cuore la verità, sebbene a volte sia più indigesta di quella che ci piace assaporare.

Solo allora non esisteranno più "apologeti" né verranno bollati come "anticlericali" quelli che scoprono qualcosa di diverso da quanto propaganda la Chiesa, escludendoli automaticamente da quella indefinita elite di studiosi chiamati "storici".

 


Per un approfondimento, cfr. M. Dèi Ricchi, Le immagini del mistero - Le Taxae Camaerae, 2016, Deiricchi.it

Vedi anche P. Rodriguez, La Taxa camarae del Papa Leon X, 1997, Pepe-rodriguez.com

 

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Olocausto animale

Pietro Ratto, 15 febbraio 2016

Il termine olocausto si ricollega alla cultura ebraica sin dalle prime pratiche religiose di sacrificio rituale. Si tratta di un vocabolo greco coniato in riferimento ai sacrifici, prevalentemente animali, che gli ebrei tributavano a Dio. Un termine che letteralmente allude al fatto che la vittima venisse interamente bruciata nelle fiamme.

Proprio per questo, una certa parte dell'intellighenzia ebraica ha sempre criticato l'uso di questo vocabolo a proposito del genocidio operato dal nazionalsocialismo nei confronti degli ebrei, proponendo di sostituirlo invece con la parola Shoah, che significa catastrofe. E' il caso, per esempio, di Bruno Bettelheim, il quale ha sottolineato la connotazione religiosa che il termine in questione possiede sin dai suoi primi utilizzi, biasimandone di conseguenza l'uso dissacrante da parte degli storici. Il concetto di olocausto, in questo senso, andrebbe quindi distinto da quello di genocidio, tutt'altro che sconosciuto alle dodici tribù di Israele, per lo meno stando alla loro storia narrata sulla Bibbia¹. Si vedano, ad esempio, alcune descrizioni vetero-testamentarie di  massacri come quello di Madian, descritto in Numeri, 31², o di Basan in Deuteronomio 3, 5-7³, o ancora quello di Rabba in II Samuele, 12, 29⁴.

Ma quali furono le proporzioni del massacro presso gli ebrei di questi sempre troppo dimenticati animali? Alla luce di una lettura attenta delle sezioni dedicate alla questione, presenti all'interno della Bibbia, è possibile risalire con una certa precisione alla fenomenologia di questi olocausti, relativamente al numero e al tipo di animali sacrificati nelle varie fasi della giornata, del mese e dell'anno.

Qui di seguito, un resoconto di quanto minuziosamente prescritto da Dio a Mosè, riportato in Numeri, 28.

A ciò vanno naturalmente aggiunti i sacrifici "occasionali" come quello riparatore nei confronti di un peccato commesso "per errore" (che richiedeva la morte di una giovenca e di un capro), e un peccato commesso "di proposito", che prevedeva che il peccatore stesso venisse "sterminato"


 

(1) Cfr. il documentario di Andrew Gallimore, Il Genocidio, parte 1 (Il Nemico), La Storia siamo noi, 2005

(2)  1 Il Signore disse a Mosè: 2 «Compi la vendetta degli Israeliti contro i Madianiti, poi sarai riunito ai tuoi antenati». 3 Mosè disse al popolo: «Mobilitate fra di voi uomini per la guerra e marcino contro Madian per eseguire la vendetta del Signore su Madian. 4 Manderete in guerra mille uomini per tribù di tutte le tribù d'Israele». 5 Così furono forniti, dalle migliaia d'Israele, mille uomini per tribù, cioè dodicimila uomini armati per la guerra. 6 Mosè mandò in guerra quei mille uomini per tribù e con loro Pincas, figlio del sacerdote Eleazaro, il quale portava gli oggetti sacri e aveva in mano le trombe dell'acclamazione. 7 Marciarono dunque contro Madian come il Signore aveva ordinato a Mosè, e uccisero tutti i maschi. 8 Uccisero anche, oltre i loro caduti, i re di Madian Evi, Rekem, Sur, Ur e Reba cioè cinque re di Madian; uccisero anche di spada Balaam figlio di Beor. 9 Gli Israeliti fecero prigioniere le donne di Madian e i loro fanciulli e depredarono tutto il loro bestiame, tutti i loro greggi e ogni loro bene; 10 appiccarono il fuoco a tutte le città che quelli abitavano e a tutti i loro attendamenti 11 e presero tutto il bottino e tutta la preda, gente e bestiame. 12 Poi condussero i prigionieri, la preda e il bottino a Mosè, al sacerdote Eleazaro e alla comunità degli Israeliti, accampati nelle steppe di Moab, presso il Giordano di fronte a Gerico.
13 Mosè, il sacerdote Eleazaro e tutti i principi della comunità uscirono loro incontro fuori dell'accampamento. 14 Mosè si adirò contro i comandanti dell'esercito, capi di migliaia e capi di centinaia, che tornavano da quella spedizione di guerra. 15 Mosè disse loro: «Avete lasciato in vita tutte le femmine? 16 Proprio loro, per suggerimento di Balaam, hanno insegnato agli Israeliti l'infedeltà verso il Signore, nella faccenda di Peor, per cui venne il flagello nella comunità del Signore. 17 Ora uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna che si è unita con un uomo; 18 ma tutte le fanciulle che non si sono unite con uomini, conservatele in vita per voi. 19 Voi poi accampatevi per sette giorni fuori del campo; chiunque ha ucciso qualcuno e chiunque ha toccato un cadavere si purifichi il terzo e il settimo giorno; questo per voi e per i vostri prigionieri. 20 Purificherete anche ogni veste, ogni oggetto di pelle, ogni lavoro di pelo di capra e ogni oggetto di legno».
21 Il sacerdote Eleazaro disse ai soldati che erano andati in guerra: «Questo è l'ordine della legge che il Signore ha prescritto a Mosè: 22 L'oro, l'argento, il rame, il ferro, lo stagno e il piombo, 23 quanto può sopportare il fuoco, lo farete passare per il fuoco e sarà reso puro; ma sarà purificato anche con l'acqua della purificazione; quanto non può sopportare il fuoco, lo farete passare per l'acqua. 24 Vi laverete le vesti il settimo giorno e sarete puri; poi potrete entrare nell'accampamento».
25 Il Signore disse a Mosè: 26 «Tu, con il sacerdote Eleazaro e con i capi dei casati della comunità, fa' il censimento di tutta la preda che è stata fatta: della gente e del bestiame; 27 dividi la preda fra i combattenti che sono andati in guerra e tutta la comunità. 28 Dalla parte spettante ai soldati che sono andati in guerra preleverai un contributo per il Signore: cioè l'uno per cinquecento delle persone e del grosso bestiame, degli asini e del bestiame minuto. 29 Lo prenderete sulla metà di loro spettanza e lo darai al sacerdote Eleazaro come offerta da fare con il rito di elevazione in onore del Signore. 30 Della metà che spetta agli Israeliti prenderai l'uno per cinquanta delle persone del grosso bestiame, degli asini e del bestiame minuto; lo darai ai leviti, che hanno la custodia della Dimora del Signore».
31 Mosè e il sacerdote Eleazaro fecero come il Signore aveva ordinato a Mosè. 32 Ora il bottino, cioè tutto ciò che rimaneva della preda fatta da coloro che erano stati in guerra, consisteva in seicentosettantacinquemila capi di bestiame minuto, 33 settantaduemila capi di grosso bestiame, 34 sessantunmila asini 35 e trentaduemila persone, ossia donne che non si erano unite con uomini. 36 La metà, cioè la parte di quelli che erano andati in guerra, fu di trecentotrentasettemilacinquecento capi di bestiame minuto, 37 dei quali seicentosettantacinque per il tributo al Signore; 38 trentaseimila capi di grosso bestiame, dei quali settantadue per l'offerta al Signore; 39 trentamilacinquecento asini, dei quali sessantuno per l'offerta al Signore, 40 e sedicimila persone, delle quali trentadue per l'offerta al Signore. 41 Mosè diede al sacerdote Eleazaro il contributo dell'offerta prelevata per il Signore, come il Signore gli aveva ordinato. 42 La metà che spettava agli Israeliti, dopo che Mosè ebbe fatto la spartizione con gli uomini andati in guerra, 43 la metà spettante alla comunità fu di trecentotrentasettemilacinquecento capi di bestiame minuto, 44 trentaseimila capi di grosso bestiame, 45 trentamilacinquecento asini 46 e sedicimila persone. 47 Da questa metà che spettava agli Israeliti, Mosè prese l'uno per cinquanta degli uomini e degli animali e li diede ai leviti che hanno la custodia della Dimora del Signore, come il Signore aveva ordinato a Mosè. 48 I comandanti delle migliaia dell'esercito, capi di migliaia e capi di centinaia, si avvicinarono a Mosè e gli dissero: 49 «I tuoi servi hanno fatto il computo dei soldati che erano sotto i nostri ordini e non ne manca neppure uno. 50 Per questo portiamo, in offerta al Signore, ognuno quello che ha trovato di oggetti d'oro: bracciali, braccialetti, anelli, pendenti, collane, per il rito espiatorio per le nostre persone davanti al Signore». 51 Mosè e il sacerdote Eleazaro presero dalle loro mani quell'oro, tutti gli oggetti lavorati.
52 Tutto l'oro dell'offerta, che essi consacrarono al Signore con il rito dell'elevazione, da parte dei capi di migliaia e dei capi di centinaia, pesava sedicimilasettecentocinquanta sicli. 53 Gli uomini dell'esercito si tennero il bottino che ognuno aveva fatto per conto suo. 54 Mosè e il sacerdote Eleazaro presero l'oro dei capi di migliaia e di centinaia e lo portarono nella tenda del convegno come memoriale per gli Israeliti davanti al Signore.

 

(3) 5 Tutte queste erano città fortificate con alte mura, porte e sbarre, oltre a moltissime borgate rurali. 6  Noi le votammo allo sterminio, proprio come avevamo fatto a Sihon re di Esbon, votando ogni città alla distruzione, uomini, donne e fanciulli. 7 E prendemmo per noi come preda tutti gli animali domestici e le spoglie delle città.

 

(4) Che nella versione non ancora edulcorata dalle attuali traduzioni recita: 29  Pertanto Davide raccolse tutto il popolo e andò a Rabba e combatté contro di essa e la catturò. 30  E prese la corona di Malcam dal suo capo, il peso della quale era di un talento d’oro, insieme a pietre preziose; e fu sulla testa di Davide. E le spoglie della città che portò via erano moltissime. 31  E fece uscire il popolo che era in essa e mise i loro corpi sotto delle seghe, degli erpici di ferro e delle scuri di ferro, e lo fece gettare in fornaci da mattoni. E faceva così a tutte le città dei figli di Ammon. Infine Davide e tutto il popolo tornarono a Gerusalemme. (Cfr, ad esempio La Sacra Bibbia nell'originaria traduzione del Diodati).


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Spiando Serena

Pietro Ratto, 4 settembre 2015

Ecco, guarda.. Qui sembra davvero felice. Fa il suo lavoro, quello che ama. Deve aver appena compiuto ventinove anni. Sembra molto soddisfatta, col suo pass al collo! Ha appena ottenuto un ingaggio per Press TV, la nota televisione iraniana. Certo, è stato difficile lasciare il Michigan.. I suoi bimbi: Alì, di quattro anni, Ajmal, di due.. Ha dovuto salutarli in tutta fretta, abbracciando stretto stretto il marito Ibrihim, per poi fiondarsi sul primo aereo per Istanbul.. Però lo vedi che è felice, no? Fa ciò per cui è nata. Fa la giornalista. E lo fa sul serio, perché è una reporter di quelle vere, di quelle che la verità la cercano.. Che la verità la raccontano.. Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio, ama sempre dire Serena.

La “giornalista” Serena.. Serena Shim.
E’ bellissima, vero? Uno strano mix di Occidente ed Oriente, con quegli occhi sinceri, aperti, che riflettono tutto il calore del Libano, la sua terra d’origine..

Da questa foto la si intuisce meglio, tutta la sua soddisfazione. Così rilassatamente appoggiata alla telecamera, con quel microfono in mano e quel sorriso tra l’orgoglioso e il divertito, di chi fa quel che sa fare, di chi fa ciò che è…

Qui è al lavoro, guarda..

Il velo le pesa parecchio, lo si capisce chiaramente, ma lo porta con eleganza e rispetto. Come dici? I suoi occhi? Sì, forse sono un po’ più tristi, hai ragione. Proprio come i suoi biondi capelli anche il suo sguardo, in effetti, pare leggermente velato.. La malinconia? La nostalgia?

La lontananza da Ibrihim?

No, accidenti: forse è paura!Guarda questa foto: sembra proprio paura, la sua! Serena qui ti guarda dritto dentro l’anima.. Comunica ansia, disagio.. Facci caso.. Dietro di lei mitragliette, fucili.. Uomini in uniforme che sembrano controllarla, che – quasi minacciosi – paiono spiarne movimenti e parole.. Serena Shim non è per nulla tranquilla, qui, è vero.. Che si sia pentita, così lontana dai suoi piccoli..?

E poi c’è questa. Qui il terrore glielo si legge negli occhi.

E’ il telegiornale del 17 ottobre del 2014. L’annunciatrice le ha appena chiesto, a bruciapelo, perché mai i servizi segreti turchi l’accusino di colpo di essere una spia siriana. Lei si difende come può, ma è spaventata a morte. Dice di saper bene che la Turchia passa per la più grande prigione di giornalisti del mondo. Dice che ha sempre fatto il suo lavoro con coscienza ed onestà, nel pieno rispetto della verità… E formula un’ipotesi. Proprio con quello sguardo atterrito che vedi, proprio con quelle labbra spalancate che hai sotto gli occhi… Proprio nel momento in cui è stata immortalata qui, Serena sostiene di esser stata la prima ad accorgersi del marcio che ruota attorno a quella guerra. Quella sporca guerra che l’hanno spedita a documentare, nel pieno della battaglia di Kobane. Perché, vedi, un tempo le guerre facevano schifo, sì. Ma almeno capivi chi combattesse contro chi. E capivi più o meno il perché. Ma questa roba, davvero, è tutta marcia. Incomprensibile, schifosa e marcia. E questa immagine, ti dicevo, è la fotografia di una denuncia.

La voce si fa stridula e tremolante.. Serena, qui, sta dicendo in diretta di esser stata la prima (lei, per etica professionale, usa il plurale: dice “noi”. Anzi, per esser precisi dice: “Siamo stati tra i primi, se non i primi”) ad accorgersi del marcio. Perché lei li ha visti, quegli uomini dell’ISIS, passare il confine turco ed entrare in Siria a bordo dei camion del WFO. Sì, sì: hai capito bene. La WFO: World Food Organization. L’organizzazione delle Nazioni Unite che si batte per sconfiggere la fame nel mondo, insomma. E che, a quanto pare, già che c’è ogni tanto sui suoi camion dà un passaggio a qualche terrorista.. Lei li ha visti sbarcare in Siria, quei terroristi, al confine con la Turchia, in prossimità della città di Suruç, proprio dove si trova il suo hotel. Li ha visti e riconosciuti. E qui glielo sta proprio dicendo. Lo denuncia in diretta, l’ingenua! Perché lei è una giornalista vera, capisci? Serena sa bene che non dovrebbero minacciarla.. Che anzi, al contrario, dovrebbero premiarla, per uno scoop così.
Invece lo dice chiaro, Serena Shim: “Ho paura..”

Non ho foto più recenti, di lei. C’è questa, se vuoi. Ma è uno schifo.

E’ la sua macchina, o quel che ne resta. Risale al 19 ottobre, due giorni dopo la sua denuncia suicida in Tv.. Stava tornando in hotel alla fine della sua giornata di lavoro. Un camion l’ha travolta. Ha travolto lei e chi si trovava al volante della sua automobile. Il camionista Şükrü Salan, invece, lì per lì è scappato. Poi si è costituito e lo hanno interrogato. Tutto qui. Guarda bene.. Lo vedi, la postazione è sorvegliata dai soldati. La mamma di Serena, Judith Poe, ricorda che non hanno fatto avvicinare nessun altro, nemmeno dei vigili o dei poliziotti. C’era solo l’esercito, intorno alle lamiere contorte dell’auto di Serena. Intorno al suo cadavere di mamma ventinovenne.

Ecco, questa è Judy Irish. Messa male, vero? Era lei al volante dell’auto. Si tratta della cameraman, ma anche della cugina, di Serena Shim. Pare che subito dopo lo schianto, mentre ancora il camionista si dava alla macchia, Judy sia stata portata in ospedale d’urgenza. Serena, invece, no. Il suo corpo è sparito nel nulla per giorni. Le indagini? Sì, le hanno fatte in Turchia. Il risultato ufficiale è che tutta la colpa è di Judy. Andava troppo veloce, hanno dichiarato.

 

E gli Stati Uniti? Niente. Nessuna indagine, nessuna inchiesta. Normalmente, quando muore in giro uno dei loro fanno un casino…! Niente. Niente di niente. Qualche giornale si è limitato a parlare di morte sospetta. La madre di Serena ha fatto il diavolo a quattro. Su Twitter, su YouTube… Serena è morta per la verità. L’hanno uccisa perché sapeva troppo! Ma niente. Niente di niente.

Ibrihim, il marito di Serena, è stato avvisato ufficialmente solo una settimana dopo. Lo ha chiamato l’Ambasciata USA. Nel frattempo Serena era già stata seppellita. Il 22 ottobre era già sotto terra. Sepolta a Beirut, la sua città d’origine.

Ecco, non ho altro da dirti. Non ho altre immagini di lei.
Mi viene in mente soltanto più questo. Quando accendi la Tv, quando leggi i giornali, ogni tanto pensa a Serena. Chissà.. Potrebbe magari venirti qualche dubbio su quello che ti raccontano.
Soprattutto, su quello che non ti raccontano.


Cfr. anche, a tal proposito, P. Ratto, Solo per il Petrolio su IN-CONTRO/STORIA, al capitolo Una guerra a tutto gas. Perché l’ISIS?


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Le Shoah senza Memoria

Pietro Ratto, 27 gennaio 2015

C'è un genocidio di serie A e molti genocidi di serie B. Una Shoah che in nessun modo può venir ridiscussa e che va costantemente richiamata alla memoria, e decine di altre Shoah che chiunque, soprattutto chi le ha orchestrate, può mettere in discussione, ridimensionare, perfino negare, senza rischiare di perdere il posto di lavoro, la cattedra o, addirittura, la libertà. Decine di genocidi che, al contrario del cosiddetto Olocausto, sembra quanto mai consigliabile dimenticare.

La tabella che segue vuole invece rinfrescare la memoria di un mondo che soffre di amnesia pilotata, un mondo sempre più globalizzato e sempre più concorde nel rimuovere gli orrori scomodi e ribadire continuamente quelli meno scomodi.

La tabella che segue ci riporta alla memoria alcuni di questi genocidi di serie B.

  

Pietro Ratto, 27 gennaio 2015: "Giornata della Memoria"

 

(*) Il notiziario delle ore 12 dell'emittente radiofonica tedesca S2 Aktuelle, il 10 ottobre 1996 riportava la seguente notizia: «Sacerdoti e suore anglicani, ma soprattutto cattolici, sono gravemente accusati di aver preso parte attiva all’assassinio di indigeni. In particolare, il comportamento d’un religioso cattolico ha tenuto desto per mesi l’interesse della pubblica opinione, non solo nella capitale ruandese Kigali. Era parroco nella chiesa della Sacra Famiglia, ed è accusato di aver ucciso dei tutsi nei modi più atroci. Sono rimaste incontestate deposizione di testimoni secondo cui il religioso, col revolver alla cintola, fiancheggiava bande saccheggiatrici di Hutu. Nella sua parrocchia, in effetti, era avvenuta una sanguinosa strage di Tutsi che avevano cercato scampo in quel tempio. Perfino oggi, due anni dopo, vi sono molti cattolici a Kigali che, per la complicità a loro avviso dimostrata d’una parte dei sacerdoti, non mettono più piede nelle chiese della città. Quasi non v’è chiesa nel Rwanda in cui fuggitivi e profughi - donne, bambini, vecchi - non siano stati brutalmente picchiati e massacrati al cospetto della croce. Vi sono testimonianze in base alle quali i religiosi hanno rivelato i nascondigli dei Tutsi, lasciandoli in balìa delle milizie Hutu armate di machete.

Nel frattempo, si son date prove schiaccianti del fatto che, durante il genocidio in Rwanda, anche monache cattoliche si sono macchiate di gravi colpe. In questo contesto, si fa costante menzione di due benedettine, rifugiatesi intanto in un monastero belga per sottrarsi al corso della giustizia ruandese. Secondo testimonianze concordi di superstiti, una aveva chiamato i sicari hutu, introducendoli da migliaia di tutsi che avevano cercato rifugio nel suo convento. Con la forza, i morituri erano stati cacciati dal chiostro e tosto soppressi in presenza della suora. Anche la seconda benedettina aveva collaborato direttamente con le bande assassine delle milizie hutu; anche di questa suora testimoni oculari affermano che avesse assistito freddamente, senza reagire in alcun modo, a come i nemici venivano macellati. Alle due donne si contesta addirittura (in base a precise testimonianze) di aver fornito ai killer il petrolio con cui le vittime vennero bruciate vive»

Dal canto suo, la BBC, nel corso del suo notiziario BBC News del 19 aprile 1998, diffondeva: "A court in Rwanda has sentenced two Roman Catholic priests to death for their role in the genocide of 1994, in which up to a million Tutsis and moderate Hutus were killed. Pope John Paul said the priests must be made to account for their actions. Different sections of the Rwandan church have beeen widely accused of playing an active role in the genocide of 1994"

Si veda anche: K. H. Deschner, Opfer des christlichen Glaubens Teil 2, Schwarze Seele


(1) Cfr. H. Ellerbe, The Dark Side of Chritian History, Morningstar Books, 1995 o N. Cohn, Europe’s Inner Demons: An Inquiry Inspired by the Grat Witch Hunt, Frogmore, 1976

 (2) K. H. Deschner, Opus Diaboli, Reinbek, Hamburg 1987

 (3) Cfr. D. Stannard, American Holocaust, Oxford University Press 1992 o L. Parinetto, Il ritorno del Diavolo, Mimesis, 1996

 (4) Si veda ad esempio, il documentario di D. Read The Burning Times, 1990. Probabilmente, a questo proposito, sarebbe più corretto parlare di sterminio che di genocidio. Bisogna però tener presente che anche gran parte degli ebrei coinvolti dalla Soluzione finale della Germania di Hitler erano della stessa nazionalità dei loro persecutori. Inoltre, secondo autorevolissimi padri della Chiesa come S. Agostino, gli eretici e - in generale coloro che disprezzano Dio - sono da considerarsi un popolo a parte: il popolo della Città del Diavolo, contrapposto a quello della Città di Dio.

A questi dati, infine, bisognerebbe aggiungere quelli relativi alle vittime delle Crociate. Ma a proposito di ciò non esistono stime ufficiali, anche se molti storici parlano di diversi milioni. Hans Wollschläger, nel suo Le Crociate armate su Gerusalemme, arriva a quantificarle in 22 milioni. Tra queste, anche migliaia di ebrei.

 (5) S. Dubnow, Storia degli ebrei in Russia e Polonia, Jewish Society, Philadelphia, 1916

 (6) Anche qui, alcuni studiosi (per esempio R. Secher), parlano di genocidio. Più adeguato, forse, considerarlo uno sterminio, oppure una violenta repressione rivoluzionaria? Fatto sta che le vittime erano di connotazione marcatamente cattolica e che la loro ribellione fu fomentata dai vertici del cosiddetto Clero refrattario.

Cfr. R. Secher, Il genocidio vandeano, Effedieffe, 1989, oppure l'intervento di Jean-Francois Revel su Le Point n. 728 (18 agosto 1988)

 (7) Cfr. D. Stannard, American Holocaust, Oxford University Press 1992

 (8) Cfr. P. Forbath, The River Congo: The Discovery, Exploration and Exploitation of the World's Most Dramatic Rivers, Harper, 1977

 (9) Cfr. N. Werth - S. Courtois, Libro nero del Comunismo: crimini, terrore, repressione, Mondadori, 1998

 (10) Cfr. J. Brent, Inside the Stalin Archives, Atlas & Company, 2008

 (11) Cfr. StatoPotenza.ue

 (12) Sulle reali proporzioni e la natura stessa di tutta questa controversa vicenda, cfr. P. Ratto, Alex è in galera, su questo stesso sito

 

 

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I messaggi segreti nel Rinascimento

La geniale crittografia di Leon Battista Alberti

Pietro Ratto, 20 ottobre 2013

I codici segreti sono sempre stati di importanza fondamentale, per la comunicazione di messaggi riservati, sin dall’antichità. Era in effetti questione della massima importanza scambiare informazioni riservate con Stati alleati senza che il nemico potesse intercettarle. Svariati codici crittografati risultano già elaborati ed ampiamente utilizzai nell'Antico Egitto e lo storico romano Svetonio, nella sua Vita dei Cesari, riporta ad esempio il seguente codice segreto, utilizzato da Giulio Cesare in persona:

Una frase come "partiremo all'alba" con questo tipo di semplice cifratura, ignorando l'apostrofo, si sarebbe tradotta :

MUOQFOBHLUGGUGVU

Quella riportata da Svetonio era un tipico esempio di crittografia mono-alfabetica (ossia ricavata su un solo alfabeto), per altro basata sullo spostamento di posizione tra le lettere del codice in chiaro e quelle del codice cifrato.

Nel Medioevo non si contano i Principi ed i Sovrani che fanno ampio uso di agenti segreti al fine di carpire informazioni preziose per poter ottenere vantaggi sui propri rivali. Spesso questo ruolo era rivestito da insospettabili cantori e musici, che avevano più di altri l'opportunità di girare il mondo e che, quindi, si prestavano volentieri a questo genere di servizio nei confronti dei potenti. Pietro II d'Aragona (1174-1213), ad esempio, aveva scelto come agente segreto il trovatore Raimon de Miraval, vissuto a cavallo tra il XII ed il XIII secolo, mentre un'importante spia di Enrico VIII d'Inghilterra (1491-1547) era nientemeno che il musicista fiammingo Pierre Alamire (1470-1536). Durante la Guerra dei Cent'anni svolse un notevole e ben retribuito lavoro lo 007 Frank de Hale di Aquitania, di professione siniscalco, incaricato dagli inglesi si racimolare più informazioni possibile sulle intenzioni e le strategie segrete dei nemici francesi.

Fondamentale, quindi, elaborare sempre nuovi e più sofisticati meccanismi di cifratura delle comunicazioni riservate. L'ambasciatore spagnolo a Londra Rodrigo de Puebla, per esempio, aveva escogitato un sistema di crittografia basato sulla sostituzione di parole con numeri. Per esempio, 136 significava "Inghilterra", 97 voleva dire "truppe" e 39 semplicemente "non". Con questo codice cifrato Isabella di Castiglia (1451-1504) scrisse una famosa lettera nel 1491¹.

 

Un importantissimo contributo all'evoluzione della crittografia fu quello del grande Leon Battista Alberti (1404-1472), architetto, urbanista, pittore, scultore, matematico e crittografo. A questo autentico genio genovese dobbiamo, tra l’altro, la messa a punto definitiva della Prospettiva. Per non parlare del suo Definitor, un incredibile sistema per codificare immagini in termini alfanumerici così da poterle traslare o ricopiare (anche a fini scultorei, per passare da un modello ad una sua fedele rappresentazione scolpita).

Il Definitor di L. B. Alberti

Un disco ed un’asta graduati, a cui era appeso un filo a piombo. Tramite questo congegno era possibile codificare ogni punto del modello attraverso coordinate polari ed assiali per poi riprodurlo, ad esempio scolpendolo nel marmo

 Un autentico assaggio della moderna digitalizzazione.

Quanto alla crittografia, Leon Battista Alberti partì dalla constatazione secondo cui ogni lingua possiede una sua particolare configurazione di lettere che si presentano più frequentemente di altre (in Italiano le prime quattro vocali). Tale caratteristica, detta statistica, si ripropone in qualsiasi frase di una certa lunghezza. Alberti capì che ciò poteva rendere piuttosto debole qualsiasi cifratura. Comprese quindi l’importanza di ricorrere a codici poli-alfabetici. Inoltre si rese conto che i  meccanismi atti a produrre messaggi in codice avevano il difetto di risultare spesso troppo statici, di non rinnovarsi, vanificando così il loro  stesso utilizzo non appena scoperti. Escogitò, allora, l’idea di progettare una crittografia poli-alfabetica e dinamica, capace di cambiare continuamente².

 

Su commissione di Papa Pio II (1405-1464) nel 1466 l'Alberti costruì una macchina in legno dotata di due ruote concentriche. In quella più esterna incise le lettere in chiaro, disposte in 23 caselle, aggiungendo i primi quattro numeri nelle ultime quattro caselle e tralasciando due lettere poco frequenti, la h e la q. Nella ruota più interna dispose l’alfabeto cifrato, inserendo 23 lettere ma omettendo la V, equiparata alla U.

 Resa graficamente, il meccanismo si presentava così:

L’idea geniale di Alberti, però, consisteva nell'utilizzo di una permutazione del codice cifrato e di una "coppia di azzeramento" costituita da un carattere del codice in chiaro ed uno del codice cifrato, entrambe precedentemente concordate tra mittente e destinatario.

Ecco un esempio: 

Supponendo che mittente e ricevente avessero concordato la seguente permutazione:

 CDABEFGHKILMNZOPQRSUTYX

 e la seguente coppia di azzeramento:

(a, L)

 che comportava un'iniziale traslazione della suddetta permutazione, partendo dalla L collocata sotto la a.

La macchina di Alberti, quindi, cominciava a lavorare sulle seguenti accoppiate:

Posta la stringa considerata sopra a titolo di esempio (“partiremoallalba”), vi venivano inseriti a caso qua e là uno o più numeri da 1 a 4, per esempio:

part2irem4oall3alb2a

Poi si iniziava a codificare tutte le lettere fino al primo numero, incluso (2):

XLCAH

successivamente si spostava la lettera di azzeramento L sotto il 2 in modo da variare la corrispondenza dei codici in questo modo:

La nuova coppia di azzeramento era a quel punto (a, Z). Continuando a cifrare, fino al secondo numero incluso, si aveva:

... TBRXN

poi, si eseguiva nuovamente l’azzeramento, questa volta con la Z sotto il numero 4, così come indicato

La nuova coppia di azzeramento era (a, O). Si procedeva con la cifratura:

 ... AOXXN

 poi, il nuovo azzeramento, questa volta con la O sotto il numero 3, così come indicato

Nuova coppia di azzeramento: (a, Q). Poi, ancora la cifratura:

 ... QDRM

 e il nuovo azzeramento, questa volta con la Q sotto il numero 2, così come indicato

in modo da codificare l'ultima lettera, la a, che diventava:

 ... U

La sequenza crittografata completa era quindi:

 XLCAHTBRXNAOXXNQDRMU

Il ricevente, a quel punto, decodificava questa stringa partendo dall’azzeramento inizialmente convenuto (a, L) e risalendo in tal modo al messaggio originale, opportunamente “scremato” dei numeri³.

 Un sistema, quello dell'Alberti, in grado di proteggere efficacemente la segretezza del messaggio riservato, dato che, non conoscendo permutazione e coppia di azzeramento concordati da mittente e destinatario, il malcapitato decriptatore si trovava a dover affrontare un numero di tentativi pari a 23! x 23

 


(1) Si veda a tal proposito E. J. Valero, Spie delatori e agenti segreti nel Medioevo, in Storica, Edizioni RBA Italia, Num. 53, luglio 2013

 

(2) Cfr. L. B. Alberti, Opuscoli morali, Libro VI: La Cifra, Cosimo Bartoli Editore, Venezia, 1568, Archivi Vaticani. Cfr. anche F. Eugeni e D. Eugeni, Il codice di Leon Battista Alberti, in Ratio Mathematica, Eiris, Num. 7, 1994, pag. 179

 

(3) Cfr. anche D. Vecchioni, Spie. Storie degli 007 dall'antichità all'era moderna, Olimpia, 2007 e S. Singh, Codici & Segreti. La storia affascinante dei messaggi cifrati dall'antico Egitto a Internet, Rizzoli, 2001

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La Rivoluzione del Kaiser

Pietro Ratto, 25 agosto 2012

1.  I SOLDI DEL REICH

16 novembre 1917. I compagni Polivanov e Zalkind, alti funzionari del Commissariato per gli Affari Esteri dell'appena nato regime bolscevico, firmano un documento indirizzato al Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, Lenin. Sul documento si legge: "Secondo la risoluzione presa alla riunione dei commissari del popolo compagni Lenin, Trotskij, Podvojskij, Dybenko, Volodarskij, abbiamo eseguito quanto segue:

1) nell’archivio del ministero della Giustizia dall’incartamento sul “tradimento” dei compagni Lenin, Zinoviev, Kamenev, Kollontaj, ecc. abbiamo tolto l’ordine della banca imperiale germanica n. 7433 del 2 marzo 1917 con l’autorizzazione di un pagamento ai compagni Lenin, Zinoviev, Kamenev, Trotskij, Sumenson, Kozlovskij, ecc. per la propaganda di pace in Russia.

2) Sono stati controllati tutti i registri della Nya Banken di Stoccolma contenenti i conti dei compagni Lenin, Trotskij, Zinoviev, ecc., aperti dietro l’ordine della banca imperiale germanica n. 2754".

Vladimir Il'ič Ul'janov, soprannominato LENIN, artefice della Rivoluzione d'Ottobre

Poche righe piuttosto inquietanti, che alludono a tradimenti e a bonifici bancari tedeschi. La questione, in realtà, non è sconosciuta. Da tempo si parla di finanziamenti germanici volti a "convincere" la Russia ad uscire dal conflitto permettendo così all'esercito tedesco di concentrarsi sul fronte più "caldo", quello occidentale, che vedeva impegnati gli uomini del Kaiser contro l'odiata Francia.

Non è cosa nuova, ma Lenin aveva sempre negato. Non poteva davvero ammettere un qualche accordo, tanto più di matrice economica, tra l'imperialismo borghese e militarista tedesco e il pacifismo bolscevico. Ora, però, ricevute bancarie ed estratti conto rinvenuti da alcuni giornalisti del periodico tedesco Der Spiegel negli archivi militari russi e tedeschi ed in quelli di alcune banche svizzere toglierebbero ogni dubbio.

Certo, quel rocambolesco rientro in Russia, completatosi il 3 aprile 1917, di un Lenin fino a quel momento esule in Svizzera, aveva fatto discutere per anni gli studiosi. Ben protetto all'interno di un vagone piombato partito da Zurigo e transitato per tutta la Germania sotto gli occhi di centinaia di consenzienti soldati tedeschi, il futuro animatore della Rivoluzione di Ottobre si era preso il lusso - insieme al compagno Karl Radek - di spostarsi in terra nemica e di ritornare nella sua patria al fine di dare il via alla propaganda bolscevica con le sue famose Tesi di Aprile. James Joice, a proposito di questa sua avventurosa rimpatriata, avrebbe definito Lenin una "sorta di cavallo di Troia" della rivoluzione.

Karl Radek (1885-1939)

Rivoluzionario della prima ora, finirà i suoi giorni in un campo di lavoro, ucciso dalle purghe staliniste.

Il 17 di quel mese un telegramma era partito da Stoccolma. Il capo dei servizi segreti tedeschi avvisava Berlino: "L’ingresso di Lenin in Russia è riuscito.

Sta lavorando esattamente come richiesto".

Ad organizzare e finanziare il viaggio di Lenin fu un personaggio alquanto enigmatico, tal Parvus Helphand, per l'anagrafe Alexander Israel Helphand, democratico socialista russo-tedesco che, secondo lo storico George Vernadsky (Cfr. Lenin, il dittatore rosso, Yale university Press, del 1932), fece da intermediario tra la Germania e Lenin trasferendo diversi milioni di rubli dall'una all'altra parte. 

A finanziare e portare in Russia Trotskij, invece, ci pesò la banca J.P Morgan di Rockefeller così come rivela Harold Nicolson nel suo Dwight Morrow del 1935. La J.P Morgan, che finanziò in più occasioni i rivoluzionari russi così come la stessa Federal Reserve Bank (Cfr. Robert Maddox, La guerra sconosciuta con la Russia, Presidio Press, 1977), pagò tutte le spese della permanenza in esilio, in un hotel di lusso a New York, di Trotskij e famiglia. Poi organizzò il suo rientro a Mosca del 26 marzo 1917 - provvedendo anche a liberarlo quando, il 13 aprile, venne intercettato ed arrestato ad Halifax dai servizi segreti canadesi, grazie a forti pressioni dal primo ministro inglese Lloyd George sul politico canadese McKenzie King, che grazie al suo interessamento fu poi nominato Direttore del Dipartimento di Ricerca della Rockefeller Fondation, incarico da 30 mila dollari ll'anno, ottenendo in seguito la carica di Primo ministro - avviando così la Rivoluzione.

Eustace Mullins - nel suo discusso The new Order, Ezra Pound Institute, 1985 - sostiene che a Wall Street, al numero 120 della Broadway, nei primi anni Venti fosse stata collocata una sede della Federal Reserve specificamente finalizzata al finanziamento dei Partito bolscevico, impegnato nella difficile costruzione dell'URSS.

 

Lenin prezzolato dai servizi segreti germanici e dalle banche americane per dar corso ad un Rivoluzione comunista atta a togliere di mezzo la Russia dal conflitto. Le prove che i giornalisti dello Spiegel citano paiono proprio impietose. Se ne evince che per ben quattro anni il solo Ministero degli Esteri tedesco versò nelle casse sovietiche 26 milioni di marchi (circa 75 milioni di euro attuali). Ma i finanziamenti totali furono molto più ingenti, e si concretizzarono in armamenti, esplosivi e, naturalmente, molti, molti soldi. Anzi, il periodico tedesco sostiene che già nel settembre 1914, a guerra appena iniziata, "due personaggi particolarmente influenti" avessero ricevuto dal Kaiser un anticipo di 50 mila marchi d'oro per mettere in piedi in Russia un'insurrezione che, una volta verificatasi, avrebbe ottenuto un'ulteriore copertura tedesca di altri due milioni di marchi.

Il Kaiser Guglielmo II

(1859-1941)

Da sinistra (e da storici come Vladimir Buldakov o Roy Medvedev), la questione viene minimizzata. La cosa si sapeva già, dicono i sostenitori di Lenin, affermando che il padre della Rivoluzione di Ottobre non stipulò alcun accordo coi tedeschi e che si trattò soltanto di una momentanea "convergenza di interessi", che permise al capo dei bolscevichi di "sfruttare" i proventi del capitalismo occidentale a vantaggio del comunismo. In altre parole: la politica non ha nulla a che fare con la morale.

Ma non la vedono così, come una semplice operazione di opportunismo politico giustificato dalla "Ragion di Stato", studiosi come Viktor Kuznetsov, che nel suo libro Il mistero del rivolgimento d’ottobre. Lenin e la congiura tedesco-bolscevica, cita documenti incontrovertibili, anche se sconosciuti più ai russi che agli storici occidentali e parla di un vero e proprio "peccato originale" della Rivoluzione leninista.

Scandalo o no? In fin dei conti tutto dipende dall'idea di politica in cui crediamo.

 

2. LE BANCHE E LA GRANDE GUERRA

 Ma è davvero quello l'unico obiettivo nei confronti della Russia, farla uscire dal conflitto? Si tratta davvero di mire esclusivamente militari, da parte delle sole forze dell'Alleanza? Può aver, l'Imperatore Guglielmo II, concepito e messo in atto da solo tutto ciò? Lo studioso e giornalista Gian Paolo Pucciarelli nel suo Il ruolo delle banche Internazionali all'origine del primo conflitto mondiale ci fornisce un quadro ben più inquietante della situazione, a partire dai decenni precedenti a quel fatidico 1914. Pucciarelli parte da un articolo pubblicato sul Quarterly Journal of Economics di Washington nell'aprile 1887, in cui ad un certo punto si legge: "Le finanze europee sono a tal punto compromesse dall'indebitamento generale che i governi dovrebbero chiedersi se una guerra, malgrado i suoi orrori, non sia preferibile al mantenimento di una precaria e costosa pace". Una guerra, insomma, come unica soluzione per far fronte al gigantesco e non più sostenibile debito pubblico accumulato fino a quel momento da tutte le potenze europee. Pucciarelli sottolinea come tale debito fosse il risultato dei complessi meccanismi adottati dal Sistema Bancario Internazionale al fine di indebitare fortemente i vari governi per poi dichiararne l'insolvenza, nel momento in cui i prelievi fiscali interni non si fossero rivelati più in grado di far fronte ai prestiti bancari ottenuti.

Il tesissimo clima politico internazionale di inizio secolo, poi - evidenziato anche dai continui "incidenti diplomatici" dell'epoca e dalla diffusa consuetudine di inserire in ogni governo europeo la carica di Ministro della Guerra, per altro puntualmente affidata a un generale - fece il resto. Un contesto come quello, d'altra parte, necessitava di continue spese per nuovi armamenti, al cui ricorso, spesso, le stesse banche centrali obbligavano i rispettivi Stati, a garanzia dei prestiti erogati.

La stessa soluzione indicata dal Sistema Bancario Internazionale, quella che consisteva in una guerra in grado di permettere alle nazioni vittoriose di porre rimedio ad una crisi altrimenti irrisolvibile, per le banche centrali si sarebbe tradotta in un doppio profitto: gli interessi derivanti dai prestiti per gli armamenti e quelli poi maturati grazie ai fondi per la successiva ricostruzione delle città, sventrate dalle bombe.

Alla guida di tutto, ancora una volta, l'onnipotente famiglia dei banchieri Rothschild, la cui agenzia londinese aveva realizzato un'importante alleanza con il sovrano inglese Giorgio V a discapito del Kaiser Guglielmo II, tra altro nipote dell'ex sovrano britannico Edoardo VII. Alleanza che, per giunta, da tempo esercitava forte influenza anche sugli Stati Uniti, con la Banca di Inghilterra in grado di influire sull'economia americana tramite i Morgan ed i Rockefeller, veri e propri agenti della Rothschild House di Londra.

Amschel Mayer Rothschild (1744 - 1812)

Fu lui a fondare l'omonima dinastia di banchieri ebrei, collocando i suoi figli maschi in altrettante agenzie istituite nelle più importanti capitali d'Europa.

Inghilterra contro Germania (per motivi coloniali e rivalità sui mari), Germania contro Francia (in virtù del feroce revanscismo nutrito da entrambi i Paesi dai tempi della Guerra Franco-Prussiana). Inghilterra contro Impero Ottomano (per i ricchissimi giacimenti petroliferi in Medio oriente, ancora in mano ai turchi - si veda a tal proposito il saggio Solo per il Petrolio pubblicato su questo stesso sito). 

Per quanto poi attiene alla nostra nazione, Pucciarelli ci ricorda come l'Italia si trovasse letteralmente nelle mani dei Rothschild, dato che, secondo diversi storici, i soldi dei banchieri tedeschi avevano finanziato il suo stesso processo di Unificazione. Ma a completare in modo davvero inquietante questo difficile quadro internazionale Pucciarelli introduce il tema della Russia. Secondo lo studioso, infatti, il progetto di una rivoluzione bolscevica con conseguente regime sovietico atto, prima con Lenin e poi con Stalin, a sopprimere ogni legge di mercato abbattendo la proprietà privata e il libero commercio e vietando la nascita di qualsiasi realtà imprenditoriale, sarebbe stato concepito dalle alte sfere della finanza occidentale proprio al fine di isolare per molti decenni l'ex impero zarista, altrimenti troppo competitivo, sui mercati internazionali, a causa dei prezzi molto bassi in grado di praticare per via della sua bassissima domanda interna di carburanti (in contrasto con i ricchissimi giacimenti petroliferi presenti nel proprio sottosuolo, come nel caso dell'ambitissimo sito di Baku), causata dalla sua forte arretratezza in campo industriale.

Il piano dei Rothschild e del Sistema Bancario internazionale, insomma, per Pucciarelli prevedeva tra gli obiettivi immediati "il crollo del regime zarista, il sequestro del tesoro dei Romanov (conservato nelle casse della Rothschild Bank dopo la messa in mora di Nicola II) e l'eliminazione di un pericoloso concorrente (lo stesso Zar), nella corsa al Petrolio nel Golfo Persico". 

Un piano, insomma, per rastrellare più ricchezze a breve termine e per garantire l'uscita di scena del forte concorrente russo per molti decenni a venire.

Nicola II Romanov,

ultimo Zar di Russia, ucciso dai bolscevichi a Ekaterinburg il 17 luglio 1918

 

In effetti già lo zar Alessandro II aveva contratto debiti con Casa Rothschild per finanziarsi la guerra contro l'Impero Ottomano, nel 1877. L'anno precedente i potenti banchieri, grazie al loro acquisto per conto della Corona inglese della quota egiziana della Società per il Canale di Suez (50% dell'intero pacchetto azionario), avevano creato speciali istituti - poi definiti Accepting Houses -  atti a gestire il mercato delle obbligazioni emesse per Stati debitori (come nel fortunatissimo caso dei 132 miliardi di marchi d'oro, pari a 32 miliardi di dollari, delle spese di guerra al cui risarcimento sarebbe stata condannata la Germania nel 1919). Alessandro II non era però riuscito a saldare il debito, originando così una spirale di indebitamento, che aveva coinvolto anche i suoi successori Alessandro III e Nicola II, dovuta a continui ricorsi ai banchieri tedeschi in cambio del finanziamento di nuovi armamenti e di nuove guerre, come lo sfortunato conflitto contro il Giappone. Ma ad ogni scadenza gli zar risultavano sempre più insolventi, necessitando di nuovi e più ingenti prestiti - a garanzia dei quali il tesoro dei Romanov fu appunto versato nelle casse della Rothschild House - nel contesto di quello che Pucciarelli definisce "il gigantesco tranello di cui sarebbero state vittime lo stesso Zar ed il popolo russo".

Tranello culminato con la Rivoluzione d'Ottobre e la conseguente uscita di scena dell'ingombrante impero Russo, per molti e molti anni, dallo scenario dei mercati internazionali.

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