La Gomma dell’orrore
Pietro Ratto, 13 settembre 2022
William Montagu Douglas Scott era il sesto Duca di Baccleuch. Era nato a Londra nel 1831 e aveva studiato all'Eton College e alla Christ Church di Oxford. Nel 1859 aveva sposato Lady Louisa Hamilton, da cui aveva avuto otto figli, tra i quali Herbert, nonno materno di Sara Ferguson – Duchessa di York e moglie del Principe Andrea – e John Charles, settimo Duca di Baccleuch e padre di Alice di Gloucester, consorte del Principe Henry figlio di re Giorgio V. Il trisnonno di William, terzo Duca di Baccleuch, era stato Governatore della Royal Bank di Scozia, e dalla zia della moglie Elizabeth, Anna Churchill Spencer, sarebbero discesi nientemeno che Winston Churchill e Diana Spencer, la mitica “Lady D” moglie di Carlo d'Inghilterra.
Tra i suoi tanti titoli e le sue innumerevoli onorificenze, William Scott ricopriva anche la prestigiosa carica di Presidente della Royal Horticultural Society, nata a Londra nel 1804 con la finalità di promuovere l'orticoltura in Inghilterra, grazie ai suoi cinque splendidi giardini di Wisley, Rosemoor, Harlow Carr, Hyde Hall e Bridgewater.
Nel 1875, proprio sotto la presidenza di William Montagu Douglas Scott, la Reale Società di Orticoltura intraprese un'iniziativa a dir poco spregiudicata. Un’iniziativa della quale la Corona inglese non poteva certo non essere a conoscenza. Erano quelli gli anni della Seconda Rivoluzione Industriale e del boom di richieste di gomma naturale - chiamata anche Caucciù, da Cackucku: il nome che le avevano dato le popolazioni locali - massicciamente impiegata in settori fortemente in crescita come quello automobilistico o ciclistico. La gomma naturale era stata scoperta in Brasile dai colonizzatori portoghesi, che avevano presto imparato ad estrarne il lattice dalla corteccia di un tipico albero dell’Amazzonia, ribattezzato Havea Brasiliensis. Fino al XVIII secolo, però, questa sostanza non aveva trovato un grande impiego, a causa della sua scarsa lavorabilità. Dai primi decenni del Settecento si era preso a solubilizzarla con specifici solventi, realizzando così le prime gomme per cancellare e permettendo l'impermeabilizzazione di determinati tessuti.
Dal 1834 il Caucciù aveva cominciato a subire un processo chiamato vulcanizzazione, scoperto e brevettato da Charles Goodyear nel 1834, consistente nella sua fusione chimica a caldo con lo zolfo. Soltanto grazie a questa trasformazione (di cui la società di pneumatici omonoma avrebbe subito ottenuto l’esclusiva), la gomma naturale poteva infatti acquisir quelle proprietà di elasticità e di resistenza così determinanti per il suo largo impiego industriale.
Il Duca e i suoi collaboratori, consapevoli dei grandissimi vantaggi che un eventuale monopolio della gomma poteva assicurare, in quel 1875 organizzarono quindi una subdola spedizione in Brasile. Il loro fiuto per gli affari, d'altra parte, era più che evidente. Di lì a poco, infatti, sarebbe esplosa la famosa Febbre del Caucciù, concretizzatasi in un'imponente impennata della domanda mondiale di gomma naturale brasiliana, con conseguente aumento dello sfruttamento sistematico e organizzato delle popolazioni locali. Gli indios, infatti, venivano costretti alla raccolta del prezioso liquido in condizioni letteralmente disumane. Obbligati a contrarre ingenti prestiti per pagarsi il viaggio dalle loro remote abitazioni alle foreste di Havea e per acquistar gli strumenti necessari all’estrazione e alla lavorazione del prodotto, i caucheros si rivelavano facilmente insolvibili, venendo così ridotti in schiavitù e subendo violenze e torture ogni qual volta si azzardavano a non consegnare ai loro padroni almeno dieci chili di gomma al mese.
Quando la febbre del Caucciù divampò, lo sfruttamento dei nativi crebbe esponenzialmente. Fu d'altra parte il console irlandese a Rio de Janeiro, Roger Casement, a scoprir nel 1913 che soltanto tra il 1889 e il 1901 erano stati torturati, violentati e fatti morire di fame almeno trentamila indios. Nell'occhio del ciclone finì così la Peruvian Amazon Company, società per azioni anglo-peruviana quotata alla Borsa di Londra e controllata dall'imprenditore Julio Cèsar Arana, nel cui Consiglio di Amministrazione sedevano anche aristocratici come il baronetto John Lister-Kaye (grande amico di re Edoardo VII) e banchieri come Henry M. Read, che gestiva il ramo londinese della Bank of Mexico (1). Riferendosi all’area di estrazione di Caucciù di Putumayo (una giungla situata nella zona meridionale della Colombia, a confine con Brasile, Ecuador e Perù), nel suo Blue Book Casement denunciò i crimini terrificanti perpetrati nei confronti degli indios da milizie private assoldate tra gli stessi nativi dalla Compagnia di Arana, che poteva contare su un sistema feudale in virtù di cui i colonizzatori governavano regni autonomi difesi da milizie di loro proprietà, così da esercitare un potere arbitrario e assoluto, finalizzato ad al proprio arricchimento personale. Imponenti metropoli come la brasiliana Manaus o la peruviana Iquitos fecero la loro fortuna, ampliandosi e arricchendosi a dismisura proprio sul commercio della gomma vegetale. Feroci guerre tra peruviani e colombiani sconvolsero per decenni quelle zone un tempo incontaminate, con enormi profitti per società come la Peruvian Amazon Company di Arana e i suoi potenti soci britannici.
La Royal Horticultural Society, quindi, lo sapeva. Aveva capito che di lì a poco sarebbe scoppiata, a livello mondiale, quella fortissima richiesta di gomma. E, dopo lunghe pianificazioni, nel 1875 incaricò il giovane esploratore Henry Alexander Wickham (1846-1928) di raccoglier quanti più semi di Havea fosse in grado, accampando la scusa di utilizzarli per una ricerca scientifica commissionata dalla regina Vittoria in persona. Wickham ne accumulò quindi ben settantamila, trafugati dalla zona di Santarém. Si procurò in qualche modo una licenza di esportazione e si imbarcò, col suo carico di refurtiva, su una nave a vapore che risaliva il Rio delle Amazzoni. Consegnandoli ai Giardini botanici reali Kew Gardens di Londra il 15 giugno 1876, direttamente nelle mani del direttore, e illustre botanico, Sir Joseph Dalton Hooker, intimo amico di Charles Darwin. E portando così a compimento quella che l'Ayapua Boat Museum di Iquitos ancora oggi definisce "il più grande atto di biopirateria del XIX secolo, e forse di tutta la Storia".
Di quei settantamila semi, soltanto 2.700 o 2.800 al massimo giunsero a germinazione, a causa del lungo viaggio a cui furono sottoposti. Inviate in diverse colonie britanniche del Sud-est asiatico come Ceylon e Singapore, le cui condizioni climatiche risultavano paragonabili a quelle brasiliane, quelle piantine diedero luogo a immense distese di alberi della gomma, capaci di rubare al Brasile - nel corso dei decenni successivi - il monopolio del Caucciù, estratto in Oriente con logiche più di stampo industriale - e quindi commercialmente molto più efficaci - di quelle che caratterizzavano invece la produzione di lattice in Brasile.
L’impatto ambientale di questa operazione di contrabbando? Tremendo. Ad oggi, il 90% della produzione mondiale di gomma si verifica in Oriente, in quelle stesse zone in cui, ai tempi di Wickham, venne trapiantata. Causando, in questi ultimi due secoli, colossali e sempre crescenti deforestazioni messe in atto proprio per far fronte a una richiesta di gomma in costante e febbrile aumento. Milioni e milioni di ettari, nel sud-est asiatico, continuano a venir bruciati per far posto alle piantagioni di Caucciù e alle abitazioni degli operai che ci lavorano.
In una spirale di orrore, di discriminazione e di degrado ambientale tragica e senza fine.
(1) Cfr. M. Torres, V. Cathro, M. A. Gonzalez-Perez, Dead Firms: Causes and Effects of Cross-Border Corporate Insolvency, Emerald, Bingley, 2016, pag. 39.
La condanna a morte
Globalizzazione buona, Globalizzazione cattiva...
Pietro Ratto, 25 maggio 2019
Uno degli aspetti della cosiddetta Globalizzazione, in merito a cui sembrano trovarsi d’accordo quasi tutti gli storici, consiste in quella forte impennata che questo fenomeno conobbe dall’inizio degli anni Settanta del Novecento. Lo riconoscono in molti. Lo decreta perfino Wikipedia che, come sappiamo, la verità ce l’ha in tasca. Anzi: l’ha imbrigliata direttamente “in rete”. Dispensandocela, per giunta, in regime di autentico e incontrastato monopolio, alla faccia di una millantata Enciclopedia libera.
Ebbene, chiediamocelo. Perché? Perché proprio in quella fase? Perché proprio i nostri cari, amatissimi Anni Settanta?
Beh, c’è una cosa che voglio dire. Una cosa su cui ho riflettuto parecchio e che ho approfondito in diversi libri, incluso il mio ultimo “Rockefeller - Warburg”.
Ma, per parlarne, ci tocca fare un passo indietro.
Ce li ricordiamo quei tre signori ricchi e influenti drammaticamente morti sul Titanic, in quella tremenda notte conficcata a forza tra il 14 e il 15 aprile del 1912? Li abbiamo presenti, sì? Ecco: secondo me, quei tre morirono proprio per questo. Quella tremenda sentenza di morte, abbattutasi inesorabile sulle rispettabili vite di Isidor Straus, Jakob Astor e Benjamin Guggenheim, il tribunale dei grandi banchieri occidentali la pronunciò proprio in riferimento a una colpa fin troppo grave, per quei tempi. Straus, Astor e Guggenheim si resero infatti colpevoli di “Tentata globalizzazione”.
Il primo, coi suoi grandi magazzini stracolmi di mercanzie cinesi; il secondo, con le sue lussuose catene di hotel; il terzo, con le sue gigantesche miniere d’argento: tutti e tre, in un modo o nell’altro, facevano grandi affari con l’estero. Accumulavano enormi fortune trattando coi businessman d’oltreoceano. Avevano in mente un mondo senza confini, attraversato in lungo e in largo da commerci liberi da barriere e dogane. Erano avanti, quei tre. Troppo avanti per quel manipolo di vecchi banchieri pronti mandare in onda l’ennesima puntata del solito protezionismo. Un protezionismo, per giunta, pilotato da quella Banca centrale nuova di zecca che, proprio in quel momento, stavano progettando. Parliamo della potente Federal Riserve, certo. La banca che avrebbero presto imbracciato e spianato contro di loro, contro i commercianti più ricchi, così da sancire il sorpasso definitivo della finanza nei confronti dell’imprenditoria libera. E che avrebbe permesso ai Rockefeller, ai Warburg, ai Morgan e compagnia bella, di dominar l’economia americana, rafforzando a più non posso quel dollaro della cui emissione erano ormai pronti ad accaparrarsi il monopolio.
Bene. Il passo, adesso, facciamolo in avanti.
1962. In un’America ormai completamente in mano alle grandi dinastie di banchieri, il Segretario al Tesoro Dillon lancia l’allarme. Emorragia di risorse auree americane all’estero. Bisogna fermarla. L’anno successivo, la risposta di J. F. Kennedy: la Interest Equalization Tax. Che porta alle stelle, a Wall Street, il valore del denaro per gli investitori esteri. Una catastrofe, per questi ultimi. Che ripiegano immediatamente sui mercati europei avvantaggiando i banchieri del Vecchio Continente, Rothschild in testa.
E’ a quel punto, che si decide di trattare. Gli apparentamenti, i matrimoni dinastici, non bastano più. Bisogna agire di concerto, tutti insieme, in piena osservanza di un famoso motto del potentissimo David Rockefeller: “La concorrenza è il peccato”.
A prender l’iniziativa è Siegmund Warburg, che vuole sbarcare negli States con la sua S.M.Warburg e non ha nessuna intenzione di rinunciare a quella mole di investimenti a cui è abituato in Europa e che si aspetta di raddoppiare oltreoceano. E allora? Beh, allora quella vecchia idea dei tre buonanima adesso serve. Va ritirata fuori dal baule. Va riciclata, tanto più adesso. Ora che la tecnologia, le infrastrutture e la grande rete di alleanze sancita a colpi di sposalizi e partecipazioni azionarie funzionano da dio. Ora che cinquant’anni di gestione privata della Fed e di intrecci sempre più stretti tra questa e World Bank hanno dato i loro frutti di potere e ricchezza. Siegmund, quindi, organizza un primo incontro, in quello stesso 1963, coi vertici di Chrysler e Chase Manhattan. Il concetto è semplice. Spartirsi la torta e smetter di farsi guerra. Aggirar gli ostacoli, le barriere. Nell’interesse di tutti.
Ed eccoli allora, tutti quanti, attorno a un tavolo. I Rothschild, i Warburg, i Rockefeller, i Mellon, i Morgan, i Du Pont, gli Harriman. E’ il 1968. Rockefeller versa di suo cinque milioni di dollari, gli altri fanno la loro parte. E in questo modo nasce la AEA Investors, che sta per American European Associates. Un nome, un programma. Un vero e proprio pioniere del private equity, che oggi vanta un assets di 11 miliardi di dollari.
Tutto è pronto, o quasi. Manca ancora quell’unità monetaria, da realizzar nel Vecchio Continente, che possa dar vita a una grande Banca Centrale Europea. Un’istituzione portentosa. Che, nelle mani di quei vecchi finanzieri, così esperti nel crear reti di alleanze e di interessi, possa poi proficuamente “sintonizzarsi” con la cara vecchia Fed. Tutto è pronto, o quasi. Per la BCE ci vuole ancora tempo, sì. Ma quella globalizzazione cattiva che i nostri magnati hanno in mente, fatta di liberismo sfrenato, di deregolamentazione, di delocalizzazioni e di sottrazione di sovranità nazionali, così lontana dal sogno buono di libertà e di abbattimento di barriere che tre signori finiti congelati in mezzo all’oceano nutrivano nei loro cuori, beh: quella globalizzazione lì, adesso, può finalmente decollare.
Cfr. P. Ratto, I Rothschild e gli Altri, Macro, 2015 e P. Ratto, Rockefeller e Warburg. I grandi alleati dei Rothschild, Macro, 2019
Appunti sulla vicenda della fornitura italiana di armi ai curdi
Pietro Ratto, 30 agosto 2014
13 marzo 1994
La magistratura sequestra, nello Stretto di Otranto, un formidabile carico di armi di contrabbando stipate sulla Jadran Express e ufficialmente destinate alla Guerra nei Balcani. Viene arrestato il magnate e politico russo Alexander Zhukov - nipote del Generale Georgy Khuzov (1896-1974), eroe della Battaglia di Stalingrado - che risulta gestire il traffico.
1996
I giudici della Procura di Tempio dispongono la distruzione dell’arsenale, stipato momentaneamente nell’isola di Santo Stefano. Ma Zhukov viene prosciolto, nonostante siano accertate le sue responsabilità, per i soliti cavilli giurisdizionali (il capitano della Jadran, infatti, dichiara bellamente che il traffico proveniva dalla Russia e non era destinato all’Italia), e se ne torna tranquillo in Russia, dove due anni dopo verrà insignito dell’Ordine al Merito per la Patria e, nel 2004, diverrà addirittura Vicepremier della Federazione Russa, al fianco del Primo Ministro Khristenko. E l’intera inchiesta viene archiviata su pressione del Governo, per “inderogabili e superiori esigenze di sicurezza nazionale”
2006
La Procura di Torino riapre le indagini e conferma la sentenza che prevede la distruzione dell’intero carico di armi.
19 maggio 2011
Nonostante le disposizioni della magistratura, nella notte viene imbarcata una parte dei 30 mila fucili mitragliatori AK-47, 32 milioni di proiettili, 400 missili terra-aria anticarro Spigot AT-4 con 50 postazioni di tiro, 5mila razzi Katiuscia da 122 millimetri, 10 mila razzi anticarro Rpg, fino a quel momento conservati nell’isola e mai distrutti. Il giorno dopo, il carico sbarca a Civitavecchia, dopo aver viaggiato su un traghetto che trasportava 725 persone completamente all’oscuro di tutto. Tra esse, 122 bambini e 87 anziani. Nella bolla d’accompagnamento il carico occulto risulta: “pezzi di ricambio”.
Il carico procede verso il poligono di Santa Severa, poi si volatilizza. Scatta una nuova indagine giudiziaria ma, ancora una volta in nome della ragion di Stato, la vicenda viene improvvisamente chiusa. Due anni prima, per giunta, il governo Berlusconi aveva promulgato un Decreto Legge (mai successivamente ratificato in Parlamento e, dunque, decaduto), che prevedeva l’equiparazione del carico di armi a “Beni dello Stato”. In quanto tali, secondo il governo le armi erano diventate di colpo “utilizzabili”. Così, Berlusconi ne concede una buona parte ai ribelli che in Libia lottano contro l’ex amico Gheddafi. In cambio, rinnovo delle forniture di gas e petrolio nonché appalti miliardari per realizzare nuove infrastrutture ed autostrade in Libia. Su tutta la questione viene di nuovo calata l’inquietante coltre del Segreto di Stato.
2014
Il Premier Matteo Renzi, alla guida di quella stessa sinistra che - come recentemente ha ricordato anche Gino Strada - nel 2003 sfilava per le strade con le bandiere arcobaleno manifestando contro la partecipazione dell’Italia nella Guerra in Iraq, decide di vendere quel che resta del formidabile stock di armi di contrabbando ai guerriglieri curdi, per combattere l’Isis, lo spauracchio terroristico del momento.
Naturalmente, tutto ciò in piena e reiterata violazione delle ripetute intimazioni della magistratura, che da vent’anni ha stabilito la distruzione dell’intero arsenale.
Cfr. : La Nuova Sardegna, 6 aprile 2013 e Il Fatto quotidiano, 21 agosto, 2014
Una Chiesa a tutti i costi
Pietro Ratto, 18 febbraio 2013 (e successivi aggiornamenti)
Il 31 maggio 1871 il neonato Stato italiano approvava la famosa Legge delle Guarentigie. In preda ai sensi di colpa per l'annessione del Lazio da parte della monarchia dei Savoia, il Parlamento italiano cercava così di porre rimedio a quella che per molti era una conquista scandalosa, con una serie di "garanzie" atte a tutelare quei diritti che Pio IX reputava irrimediabilmente usurpati e che, in qualche modo, andavano comunque riconosciuti all'ultimo Papa Re. L'articolo 4 di questa nuova legge, in particolare, riconosceva al Pontefice un contributo annuale di 3 milioni e 225 mila lire che, in pratica, andavano a coprire la spesa che ogni anno l'ex Stato Pontificio sosteneva per mantenere la corte papale. Lo sdegnoso rifiuto con cui tale Legge fu accolta da Papa Mastai Ferretti - riassunto nel testo dell'enciclica Ubi Nos (che due settimane prima dell'approvazione del suddetto atto legislativo si affrettava a sottolineare l'inscindibilità del potere spirituale da quello temporale) e nella celebre formula Non expedit con cui, tre anni dopo, Pio IX vietava ai fedeli la partecipazione alla vita politica italiana - è cosa ben nota a tutti.
Nonostante i Papi successivi si siano adoperati ad attenuare progressivamente questo boicottaggio, ufficialmente l'atteggiamento di sostanziale non riconoscimento della neonata Italia si protrasse fino al ventennio fascista.
Fu infatti il Duce, l'11 febbraio 1929, il primo ad ottenere una regolamentazione dei rapporti tra i due Stati attraverso i famosi Patti Lateranensi, firmati proprio il giorno in cui ricorreva il settantunesimo anniversario dell'apparizione della Madonna a Lourdes. Costituiti da tre accordi ben precisi (un Trattato internazionale che di fatto sanciva la nascita del nuovo Stato della Città del Vaticano sulla scena internazionale, un Concordato che stabiliva i rapporti futuri tra la nuova nazione e lo Stato Italiano ed una Convenzione finanziaria che affrontava il problema delle relazioni tra Italia e Vaticano dal punto di vista prettamente economico), questi accordi servivano alla Chiesa per chiudere i conti con la nostra nazione ed al Duce per ingraziarsi la componente cattolica del Paese, la stragrande maggioranza dei cittadini italiani, in vista dell'imminente Plebiscito del mese successivo, con cui egli avrebbe dimostrato al mondo intero come il popolo fosse tutto dalla sua parte.
La Convenzione è la parte dei Patti che ci interessa maggiormente. Il 13 maggio 1929 Mussolini faticò non poco, nel suo lunghissimo discorso alla Camera, per convincere i suoi colleghi circa l'opportunità di firmare questi accordi e, soprattutto, di esporre la casse dello Stato ad un tale salasso.
In effetti l'art. 1 della suddetta Convenzione stabiliva che l'Italia avrebbe corrisposto, a titolo di risarcimento per tutte le annualità stabilite dalla Legge del 1871 ma mai effettivamente riscosse dalla Santa Sede, 750 milioni di lire in contanti più un ulteriore miliardo in Titoli di Stato al tasso di interesse del 5% con cedola al 30 giugno di ogni anno.
La cifra era davvero enorme e difficile da giustificare, anche solo per il fatto che il motivo per cui il Vaticano non aveva ricevuto fino a quel momento il rimborso previsto quasi sessant'anni prima come guarentigia, andava cercato unicamente nel rifiuto dei vari Papi nei confronti di ciò che, per principio, reputavano un contentino. Inoltre, a conti fatti, il "debito" accumulato nei confronti del Vaticano - a causa della sua prescrizione via via accumulatasi - corrispondeva ormai, più o meno, ad un centesimo della somma stabilita dalla Convenzione. Già, era una cifra enorme. Al giorno d'oggi, secondo l'ISTAT, equivarrebbe a circa un miliardo e mezzo di euro, ma quella del Duce era un'epoca in cui un impiegato guadagnava 200-300 lire al mese. Tenendo conto di questo dato, la cifra pattuita in quel lontano 11 febbraio tra Monsignor Gasparri (che una volta siglato l'accordo scoppiò in un pianto di gioia) e Benito Mussolini (visibilmente accigliato e preoccupato dell'inaspettata presenza dell'Istituto Luce, i cui filmati il Duce volle poi visionare e correggere accuratamente prima della divulgazione), potrebbe corrispondere a cinque/sei miliardi di euro attuali.
Alla Camera il Duce spiegò: "I provvedimenti che si stanno predisponendo presso il ministero delle Finanze sono tali che si potrà far fronte agli impegni assunti senza aumentare il debito pubblico e senza ricorrere al mercato. Vi spiego come. Quanto al miliardo di titoli del debito pubblico 5% al portatore il Governo, mediante un'operazione di Tesoro, si farà cedere i titoli stessi dalla Cassa depositi e prestiti, che ne ha dei mucchi e che li preleverà dalle proprie disponibilità patrimoniali senza menomamente toccare né le riserve, né il patrimonio dei diversi istituti da essa amministrati. Lo Stato, a sua volta, si obbliga, ciò che costituisce la maggiore delle garanzie, a restituirli alla Cassa medesima in un periodo non superiore ad un decennio, con l'acquistarne sul mercato per non meno di 100 milioni all'anno di valore nominale. A tale scopo, nel bilancio dell'esercizio prossimo e dei successivi, sarà stanziata la somma occorrente sia per gli acquisti, sia per gli interessi corrispondenti delle relative cedole semestrali, per l'ammontare nel primo anno di 50 milioni, per decrescere poi di cinque milioni all'anno." In realtà la Cassa Depositi e Prestiti - istituto finanziario nato nel 1850 con il compito di raccogliere risparmi privati per finanziare Enti pubblici, che negli ultimi cinque anni aveva cominciato ad emettere i famosi Buoni fruttiferi postali - emise subito uno speciale certificato, firmato dal Ministro delle Finanze Antonio Mosconi, da cui progressivamente venivano detratti i valori nominali dei titoli pian piano restituiti dal Governo. In realtà, però, Mussolini non riuscì a restituire alla Cassa più di 210 milioni di lire. I restanti 790, come previsto da molti, finirono nel Gran Libro del Debito Pubblico sotto la voce Prestito del Littorio. Quest'ultimo era in realtà un nuovo titolo del Debito Consolidato creato ad hoc nel 1926 per limitare i danni della famosa operazione propagandistica Quota 90 con cui il Duce riuscì a rivalutare la lira riportandola ai livelli di cambio con la sterlina a cui si trovava nel 1914. In questo titolo erano confluiti "15.209 milioni di B.O.T." quasi in scadenza, "1.148 milioni di B.T.P. quinquennali e 4.000 milioni di B.T.P. settennali, per un totale di 20.357 milioni che, in virtù dei prezzi di conversione per i vari tipi di titoli citati e dei versamenti in contanti per circa 3,5 miliardi di lire, avevano portato le sottoscrizioni del prestito ad oltrepassare i 27,5 miliardi" la cui scadenza era stata incredibilmente prorogata e stabilita d'imperio all'anno 1956. Una conversione forzosa che era stata stabilita con Decreto Legge ed accolta senza particolari proteste da parte dell'opinione pubblica perché "interpretata come un sacrificio chiesto al risparmio privato per concorrere al salvataggio della lira e quindi delle pubbliche finanze, nella previsione che i costi immediati dell'operazione saranno poi compensati dai vantaggi che essa assicurerà in futuro".¹
Insomma, quei 790 milioni lo Stato non era riuscito a restituirli più alla Cassa, seppur regolarmente incassati dalla Santa Sede.
Come sono stati investiti dal Vaticano i soldi del Duce? Soltanto a titolo di esempio, da un articolo del Guardian del 22 gennaio 2013, ripreso lo stesso giorno da Repubblica, risulta che attualmente, tramite il ricorso ad una società off-shore (che amministra 650 milioni di euro) chiamata British Grolux Investment - società di cui il Guardian non è in alcun modo riuscito a scoprire l'effettivo titolare ma che vanta come principali azionisti (rigorosamente cattolici) l'Amministratore delegato della Barclays Bank John Varley e l'ex responsabile della Leopold Joseph RobinHerbert - il Vaticano gestisca un impero immobiliare a Londra (ma ce ne sono altri a Parigi, a Coventry e, logicamente, in Italia. Basti pensare che il 20% degli immobili presenti nella nostra penisola sono di proprietà del clero), costruito proprio con i fondi ottenuti dai Patti Lateranensi. Impero che, per quanto concerne la capitale britannica, comprende edifici di gran valore come quello che ospita la ricchissima Banca d'investimento Altium Capital o il lussuosissimo locale di Bond Street in cui si trova la famosa gioielleria Bulgari. Ma c'è di più. La società off-shore sarebbe nata dalla fusione di altre due, controllate dalla svizzera Profima, che attualmente ha sede presso la Banca JP Morgan di New York e che, a sorpresa, risulta gestita dal Vaticano già dagli anni Quaranta, proprio per investire al meglio la montagna di denaro consegnata alla Chiesa da Mussolini. La cosa non è di poco conto, dato che i servizi segreti britannici, durante la Seconda Guerra mondiale, avevano formalmente accusato la Profima di "attività ostile agli interessi degli Alleati". Nel mirino degli 007 britannici dell'epoca, l'avvocato Bernardino Nogara, chiamato dallo stesso Pio XI ad amministrare ed investire i soldi regalati dal Duce, accusato di accaparrare quote azionarie di banche italiane per riciclare denaro dietro il paravento di una banca che risultava svizzera e, quindi, neutrale rispetto al conflitto. (A tal proposito si veda anche l'approfondimento dell'UAAR)
Tornando ai fatti, le regalie economiche nei confronti della Santa Sede non finivano qui. Con l'art.6 del Trattato il Duce si impegnava a fornire al Vaticano un'adeguata dotazione di acqua in proprietà. Impegno, questo, che i Papi avrebbero preso molto sul serio, dato che dalla sua nascita ad oggi la Città del Vaticano non ha mai pagato la bolletta dell'acqua e l' ACEA, la società che dal 1937 gestisce l'acquedotto romano, da subito si è trovata a vantare un credito di milioni e milioni nei confronti dello Stato Pontificio. Pur realizzando consumi idrici annuali da favola (qualcosa come 5 milioni di metri cubi - ma il dato è in crescita di anno in anno - che, ripartiti sui circa ottocento abitanti del mini-Stato costituiscono un consumo pro-capite che è quarantuno volte quello italiano), il Vaticano lascia tranquillamente l'Italia nell'imbarazzo di dover coprire periodicamente il proprio consumo d'acqua. Nel '99, l'anno del passaggio dell' ACEA da municipalizzata a SpA, era toccato al Governo D'Alema sborsare 44 miliardi di lire per coprire il buco. Il versamento successivo all' ACEA fu fatto dal Governo Berlusconi nel 2004-5, per un totale di 25 milioni di euro. E non basta. Fino al 2005 lo Stato della Chiesa non aveva mai provveduto a dotarsi nemmeno di un impianto di depurazione, rovesciando i suoi scarichi direttamente nel Tevere. Per questo motivo, contestualmente, Berlusconi provvide a far costruire l'impianto necessario con ulteriore esborso di 4 milioni di euro (Cfr. DM 23 aprile 2004). Soldi che, naturalmente, la Città del Vaticano non ha mai restituito ed a cui, dal 2005 in poi, si sommano anche le spese annuali di depurazione, anch'esse spudoratamente lasciate alle finanze italiane.
L'art 6 del Trattato del 1929 prevedeva inoltre la costruzione, naturalmente sempre a spese dell'Italia, di una stazione ferroviaria vaticana e la realizzazione di tutti i collegamenti telefonici e telegrafici di Santa Romana Chiesa con gli altri Stati. Il tutto entro un anno dall'entrata in vigore dell'accordo stesso.
Incredibilmente, infine, l'art. 30 riconfermava il pagamento della congrua, lo stipendio riconosciuto a tutti gli ecclesiastici dalla Legge 3036 del 1866, che aveva istituito appositamente un Fondo per il Culto (attivo ancora oggi, con il nome di Fondo per gli Edifici di Culto, attualmente gestito dal Ministero degli Interni e più volte nel mirino della magistratura a causa di una gestione spesso non immune da corruzione), proprio in risarcimento di tutti i beni ecclesiastici via via confiscati dall'Italia al Papa. Risarcimento, come abbiamo visto, ampiamente coperto dalla somma contestualmente prevista dalla Convenzione.
Quando il fascismo cadde, la nuova Repubblica italiana uscita dalla Seconda Guerra mondiale e dal discusso Referendum Istituzionale del 2 giugno 1946 sentì il bisogno di riconfermare i Patti stipulati da quello stesso Mussolini contro cui era nata, con l'approvazione di tutti gli schieramenti politici, incluso il PCI di Palmiro Togliatti. L'incomprensibile posizione assunta dall'apparentemente anticlericale e - per antonomasia - antifascista Partito Comunista si spiega alla luce del millenario connubio tra l'Italia ed il Cattolicesimo che, evidentemente, non risparmia nessuna ideologia e nessuna forza politica. Di fatto, la riconferma dei Patti Lateranensi prevista dall'art.7 della Costituzione italiana aveva uno scopo ben preciso. Blindare definitivamente gli accordi con la Chiesa in modo da evitare qualsiasi rischio di abrogazione per iniziativa popolare. Come si sa, infatti, nessun referendum può venire accolto nei confronti della nostra Costituzione. L'art. 7 prevede infatti che l'unica forma di modifica degli accordi del 1929 debba venir accettata da ambo le parti in causa. Dunque non può che esser frutto di una concertazione tra i due Stati che, di fatto, taglia fuori la volontà diretta del popolo italiano. Ciò venne chiarito una volta per tutte da una sentenza del 1978 della stessa Corte Costituzionale.
Il meccanismo dell'otto per mille
In effetti le cose rimasero come ai tempi del Duce fino al 1984, quando il socialista Bettino Craxi, Presidente del Consiglio dall'anno precedente, convocò i rappresentanti della Santa Sede per rinegoziare i Patti. Tra le varie modifiche, dal punto di vista economico spiccava la sostituzione della congrua con il nuovo meccanismo dell' 8 per mille elaborato da Giulio Tremonti. Tale dispositivo prevede all'art. 47 che ogni contribuente possa devolvere l'8 per mille del proprio gettito fiscale alla Chiesa Cattolica - e negli anni successivi, grazie a successivi accordi con altre confessioni religiose, anche all'Assemblea di Dio, a Metodisti e Valdesi, alla Chiesa Luterana ed alle Comunità ebraiche, anche se importanti religioni come l'islamismo restano assolutamente fuori dalla rosa di quelle "finanziabili", mentre Buddisti, Induisti e Testimoni di Geova sono riusciti ad entrare nel giro solo nel 2014, dopo una quindicina d'anni di attesa - oppure allo Stato italiano. Il contribuente può anche non esprimere alcuna scelta, ma in questo caso il suo 8 per mille verrà comunque ripartito tra le varie confessioni religiose previste, secondo la percentuale di preferenze accordate da chi ha invece effettuato una scelta. In sintesi, per quanto solo il 42% degli italiani che pagano le tasse esprima una preferenza precisa nei confronti di una certa chiesa, dato che l'89% di questi dichiara la propria volontà di devolvere il proprio 8 per mille alla chiesa cattolica, l'89% dell'8 per mille dell'intero gettito fiscale nazionale finisce in Vaticano.
Questo meccanismo perverso, da molti ritenuto una truffa, lascerebbe se non altro fuori da questa ripartizione ben poco imparziale l'8 per mille di chi ha dichiarato espressamente la propria volontà di devolverlo allo Stato. Ma nel 2009 è trapelato che anche questa porzione di gettito verrebbe spesa per la manutenzione degli edifici di culto cattolico². Per non parlare dell'uso ancor più "disinvolto" e silenzioso (da notare, infatti, come i vari Governi non osino mai incoraggiare o sponsorizzare questo tipo di scelta), delle quote destinate allo Stato. Fu infatti Enrico Letta, in qualità di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, a denunciare nel 2006 l'impiego di centinaia di milioni di contributi - ufficialmente da destinare ad opere umanitarie come "interventi per la fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati e conservazione dei beni culturali" - utilizzati invece per finanziare le operazioni militari italiane in Iraq. Lo stesso Letta che poi, in veste di Presidente del Consiglio, utilizzò trentacinque milioni dell'ultimo gettito destinato dai contribuenti allo Stato nientemeno che per sbloccare i pagamenti delle imprese che vantavano debiti nei confronti dell'Amministrazione pubblica. Più altri venti milioni spesi in incentivi per il risparmio energetico.
Dal 2014 la destinazione ufficiale di questo tipo di gettito è stata aggiornata e allargata anche alle opere di edilizia scolastica.
Quanto alla quota che annualmente finisce nelle casse del Vaticano (tra l'altro con tre/quattro anni di ritardo: il gettito 2012, ad esempio, è stato distribuito alle varie confessioni nel 2015), va sottolineato che nel 2010 si è oltrepassata la soglia del miliardo di euro. In pratica la Chiesa Cattolica percepisce ogni anno quasi quanto stabilito dalla Convenzione del 1929 per coprire i precedenti sessant'anni di cosiddetto "debito".
Sono sufficienti questi soldi a coprire le spese del Vaticano, la retribuzione del clero, ecc?
La tabella sottostante mostra l'effettivo costo degli stipendi di tutti i vescovi e cardinali del mondo (mantenuti dallo Stato italiano) e di quello dei sacerdoti residenti in Italia.
Il reddito annuale degli ecclesiastici
Vedi anche Claudio Rendina, La santa casta della Chiesa, Roma, Newton Compton, 2009, p. 241. Quanto ai sacerdoti, lo stipendio dipende dall’anzianità, dal numero di parrocchiani (al parroco viene riconosciuto un contributo di euro 0.07 per parrocchiano, al vice-parroco un contributo di 0,036), ecc. Il dato va calcolato tenendo conto dell’età media dei preti, costantemente in crescita.
Il gettito complessivo nazionale dell'8 per mille sembra coprire in gran parte le spese di mantenimento del clero, destinando una cifra pari circa al 27% per spese di altra natura (quelle riservate ad esempio a malati, a poveri e al Terzo Mondo richiamate dalla propaganda vaticana diffusa annualmente in Italia nelle settimane precedenti la data di scadenza di presentazione della Dichiarazione dei Redditi).
In realtà, però, questo miliardo di euro non è che una piccola percentuale dei soldi pubblici che finiscono nelle casse del Vaticano.
Ecco un provvisorio elenco delle effettive spese sostenute annualmente dall'Italia in favore della Città del Vaticano.
Spese (o mancate entrate) per lo Stato italiano
Dati in euro relativi all’anno 2010
Si veda a tal proposito il testo dell' inchiesta di Paolo Mondani, intitolata Il Boccone del prete, Report, puntata del 30 maggio 2010.
Quanto al dato sull'IMU, per quanto non risulti calcolabile con precisione, viene rapportato alla precedente Tassa sugli immobili tenendo conto della recente rilevazione Confesercenti che - relativamente all’IMU 2012 - ha calcolato per le imprese italiane un aumento del 49, 4 % rispetto appunto alla vecchia ICI.
Tale conteggio, però, non tiene conto di tutti i finanziamenti statali a scuole ed enti religiosi, considerando i quali, secondo l' UAAR si arriverebbe a superare quota 6 miliardi e 277 milioni di euro.
E' appena il caso di far notare che uno Stato realmente laico devolverebbe questi soldi ai propri cittadini disoccupati o colpiti da calamità naturali, come nel caso del terremoto de L'Aquila, ad esempio.
Una catastrofe i cui danni - stimati in circa 2,5 miliardi di euro - potrebbero venir prontamente risarciti con circa un terzo di quanto lo Stato italiano spende per la Chiesa in un solo anno³.
Circa le novità del Concordato del 1984 va detto infine che esso prevede anche che l'insegnamento della Religione Cattolica passi da obbligatorio a facoltativo, istituendo l'ora alternativa a quella di religione per tutti gli studenti interessati. Ebbene, a parte il fatto che tale opzione fatica ancora oggi ad essere attivata nelle scuole italiane proprio per evitare di far perdere posti di lavoro agli insegnanti IRC (acronimo che, si badi bene, sta per Insegnamento della Religione Cattolica, stando quindi a significare che il relativo programma ministeriale - per altro stabilito dalla Chiesa - prevede esclusivamente lo studio della dottrina cattolica e che, di conseguenza, i docenti di religione che decidano di includere nei loro programmi didattici anche riferimenti ad altre confessioni religiose lo facciano di propria iniziativa), va sottolineato che i circa venticinquemila docenti italiani che attualmente insegnano Religione nelle scuole, selezionati e formati dalla Chiesa, vengono comunque assunti e pagati dallo Stato italiano, su precisa indicazione delle Curie.
L'euro vaticano
Un capitolo a parte è quello del conio dell'euro da parte della Città del Vaticano. Come è noto, il più piccolo Stato della Terra non fa parte dell'Unione europea ma ha assunto ugualmente l'euro-valuta sul suo territorio.
Ciò, grazie alla Convenzione monetaria tra Repubblica italiana (in rappresentanza dell'UE) e Città del Vaticano, del 29 dicembre 2000. Convenzione che, di fatto, sostituisce i precedenti accordi stipulati tra i due Paesi nel 1991.
In base a questo patto, lo Stato "extracomunitario" del Vaticano utilizza l'euro nel suo territorio, conferendogli valore legale. Ma le incongruenze non finiscono qui. Il conio della quantità di banconote e monete necessarie allo Stato del papa (comunicato alla nostra nazione ogni anno entro il 1 settembre), viene sostenuto dall'Istituto Poligrafico e zecca dello Stato italiano in osservanza di un massimale annuo - inizialmente fissato a 670 mila euro - che, in base alla successiva Convenzione di Bruxelles del 2009, prevede una parte fissa (rivalutata in due milioni e trecentomila euro per l'anno 2010), ed una parte variabile corrispondente al numero medio di monete annualmente emesse pro capite dallo Stato italiano, moltiplicato per il numero dei cittadini del Vaticano.
Nessuna spesa risulta però a carico della Città del Vaticano per questo servizio della zecca italiana, che in tal modo sosterrebbe per questo Stato straniero sia i costi di conio sia il relativo indebitamento nei confronti della BCE, così come previsto in generale per ogni nuova emissione di moneta da parte di uno Stato membro dell'UE.
Il Fondo Pensione per il Clero. Un buco da 2,2 miliardi di euro
Dal 1961 i contribuenti italiani pagano al Clero anche la pensione di invalidità e di anzianità. Fino al 1973 il fondo per i sacerdoti cattolici e quello per i religiosi di altre confessioni erano diversi e previsti da due leggi distinte (la 579 e la 580, entrambe del 5 luglio 1961). Tali fondi sono stati unificati nel 1973 con la legge 903 del 22 12.1973.
La legge 579 del 1961 prevedeva che i requisiti per poter accedere alla pensione di anzianità fossero un minimo di dieci anni di contributi (180 mila lire all’anno, mentre per l’invalidità ne bastavano 30.320) ed il raggiungimento dei 70 anni di età. Il sacerdote iscritto al fondo che però compiva settant’anni prima del decennio di contributi (e prima del quinquennio, per la pensione di invalidità), poteva comunque ottenere una minima di 180 mila lire annue. La pensione era costituita da un assegno di 180 mila lire all’anno più altre 12 mila per ogni anno di contribuzione oltre il decimo. La cifra massima prevista era di lire 480 mila annue (lo stipendio mensile medio di un operaio era a quel tempo di circa 45 mila lire). La legge stabiliva che lo Stato concorresse al Fondo con complessivi 1 miliardo e 250 milioni di lire annui.
La legge 580 del 1961, destinata ai sacerdoti non cattolici, prevedeva le stesse condizioni, a parte una drastica riduzione del contributo dello Stato al fondo, previsto in complessivi 12 milioni e mezzo. Esattamente un centesimo di quanto stanziato per il clero cattolico.
La legge 903 del 1973, invece, unificava le condizioni per i due tipi di clero e abbassava l’età pensionabile a 65 anni. Aumentava il contributo annuale a quota 416 mila lire per l’anzianità e a quota 75.600 lire per l’invalidità, riconoscendo quest’ultima con un minimo di cinque anni di contribuzione e mantenendo l’obbligo dei dieci contributi per la pensione di anzianità. Prevedeva una “minima” di anzianità di 416 mila lire, e di invalidità di 455 mila lire, annue.
La pensione era costituita da un assegno di 455 mila lire all’anno (per l’invalidità) e di lire 416 mila annue (per l’anzianità), più altre 18.200 lire per ogni anno di contribuzione oltre il decimo in entrambi i casi. Non erano previste soglie massime (lo stipendio mensile medio di un operaio era a quel tempo di circa 150 mila lire). La legge stabiliva che lo Stato concorresse al Fondo con complessivi 3 miliardi e 224,5 milioni di lire annui. Le novità erano relative alla reversibilità, riconosciuta ai “superstiti", e il versamento delle suddette pensioni anche ai sacerdoti ridotti allo stato laicale.
La legge 488 del 23.12.1999 integrava di ulteriori 800 mila lire i contributi annuali e prevedeva per la pensione di vecchiaia un minimo di 20 anni di contributi e il raggiungimento dei 68 anni di età (65 anni per i sacerdoti che vantassero 40 o più contributi annuali). Estendeva il fondo a sacerdoti senza cittadinanza italiana presenti in Italia al servizio di diocesi del nostro Paese. Stabiliva inoltre che dal 1 gennaio 2000 fosse ordinato con il sistema tecnico-finanziario a ripartizione.
Con Decreto 28 luglio 2014 il Governo ha fissato ad euro 1699,92 il contributo annuale dovuto dai sacerdoti.
La gestione, dal 1961 ad oggi è sempre stata in crescente passivo. Attualmente (dati 2015) lo squilibrio tra i contributi versati e le prestazioni riconosciute dallo Stato è di 1 a 3. Il disavanzo attuale, a carico dello Stato, è di circa 2,2 miliardi di euro nonostante i 7 milioni e 924 mila euro che i fondi pubblici iniettano annualmente nel Fondo. Il Ministro del Lavoro Poletti, nel marzo 2016, ha ammesso il “buco” sostenendo però di non voler apporre alcuna modifica al sistema vigente.
La questione dell'insegnamento della Religione ed i rapporti tra Chiesa e Scuola Statale.
Il caso INValSI
Se la Legge Casati del 1859 prevedeva l'obbligatorietà dell'insegnamento della Religione Cattolica soltanto per le prime due classi della Scuola elementare (da parte di un Maestro unico che insegnava anche tutte le altre discipline), una legge del 1860 ne estendeva per ovvie ragioni l'obbligatorietà agli studenti delle Scuole magistrali. La successiva Riforma Coppino sminuiva l'importanza dell'insegnamento religioso rispetto a quella delle altre materie e, in seguito alla presa di Roma, l'insegnamento del cattolicesimo diveniva disciplina da impartirsi solo nei confronti degli studenti i cui genitori ne avessero fatto esplicita richiesta. Il Regno d'Italia, per giunta, decideva di sopprimere definitivamente le Scuole Teologiche di Stato. Da quel momento in poi le uniche a formare i futuri docenti di religione sarebbero state quelle ecclesiastiche. Nel 1888 la commissione voluta dal Ministro Boselli per riformare i programmi scolastici, a proposito della religione cattolica concludeva la sua indagine con queste parole del segretario Aristide Gabelli: "Lo Stato non può fare, né direttamente né indirettamente una professione di fede, che manchevole per alcuni, sarebbe soverchia per altri". Lo Stato, insomma, voleva ad ogni costo mantenersi laico.
Laicità all'italiana? Il "caso Don Bosco"
Che poi le cose andassero in quella direzione anche nei fatti, oltre che nella teoria delle leggi, è tutto da dimostrare. Un caso emblematico è quello della Società Salesiana di Don Bosco, per la cui costituzione il religioso non aveva esitato a giungere a compromessi con l'apparentemente laico Regno di Sardegna. Giovanni Bosco (1815-1888), infatti, per impedire che Vittorio Emanuele II approvasse la legge Rattazzi n. 878 - che, nell'ambito di un processo di laicizzazione iniziato con le famose Leggi Siccardi del 1850, prevedeva la soppressione su tutto il territorio del Regno di Sardegna di molti ordini religiosi - non aveva esitato a minacciarlo preannunciandogli ripetutamente quattro gravi lutti familiari. Immancabilmente, ad ogni funerea "previsione" del futuro santo, tra il gennaio ed il maggio del '55 erano morti la madre (Maria Teresa d'Austria), la moglie (Adelaide), il figlio di quattro mesi (Vittorio Emanuele) e l'unico fratello del re, Ferdinando di Savoia. Vittorio Emanuele II, a quel punto, aveva provato ad opporsi alla suddetta legge, la quale, comunque, il 25 giugno era stata promulgata. Il Ministro Rattazzi, però, preso forse dallo spavento aveva cercato un modo per "salvare" i Salesiani di Bosco suggerendogli gli accorgimenti più utili per aggirare la sua stessa legge. Un autentico "sprazzo di luce", a detta dello stesso religioso. L'idea consisteva nel realizzare "una Società, in cui ogni membro conservi i diritti civili, si assoggetti alle leggi dello Stato, paghi le imposte e via dicendo. In una parola, la nuova Società in faccia al Governo non sarebbe altro che un'Associazione di liberi cittadini, i quali si uniscono e vivono insieme ad uno scopo di beneficenza." "E Vostra Eccellenza può Ella assicurarmi che il Governo permetta l'istituzione di una tale Società e la lasci sussistere? ", aveva chiesto Don Bosco a Rattazzi. Rassicurante, il Ministro aveva risposto: "Nessun Governo Costituzionale e regolare impedirà l'impianto e lo sviluppo di una tale Società, come non impedisce, anzi promuove le Società di commercio, d'industria, di cambio, di mutuo soccorso e simili. Qualsiasi Associazione di liberi cittadini è permessa, purché lo scopo e gli atti suoi non siano contrari alle leggi e alle istituzioni dello Stato. Stia tranquillo: risolva; avrà tutto l'appoggio del Governo e del Re, poiché si tratta di un'opera eminentemente umanitaria." (G. B. Lemoyne, Memorie biografiche, Volume V, pag. 698). Così, in un'atmosfera surreale, uno dei principali artefici del processo di laicizzazione del Regno aveva trovato il modo di salvaguardare l'esistenza di un ordine religioso nemmeno ancora nato. Nel 1859 Don Bosco aveva quindi realizzato la sua Società, sentendosi così forte e così "protetto" dallo Stato da non esitare di organizzare, sul finire di quello stesso anno, un rogo pubblico di libri protestanti, inclusa una Bibbia nell'edizione Diodati. Il fatto era avvenuto sotto gli occhi di tutti i suoi ragazzi, nell'Oratorio Salesiano, "ove fatto un grosso mucchio di quei libri e giornali protestanti in mezzo al cortile alla presenza dei giovani, diede loro il fuoco e li ridusse in cenere."(Cfr. G. B. Lemoyne, Memorie Biografiche, Volume VI, Cap. 13).
La stessa logica di privilegi nei confronti di Don Bosco si era ripetuta per l'odiosissima Tassa sul Macinato in vigore dal 1868 al 1880. Dopo ripetuti tentativi di Don Bosco per farsela abbonare, il Ministro Quintino Sella aveva risposto perentoriamente all'ultima lettera del religioso, datata 15 agosto 1870, in questi termini: "Pagano tutti, paghi anche lei". Ancora una volta gli era allora venuto in soccorso l'anticlericale Rattazzi, che aveva escogitato il trucco di restituirgliela sotto forma di altri contributi statali. Un privilegio di cui nessun altro aveva potuto godere. (G. Bosco, Epistolario 1869-1872).
L'avvento del Fascismo e il cambiamento di tendenza
Agli esordi dell'era fascista, la Riforma Gentile del 1923 sanciva improvvisamente l'obbligatorietà dell'insegnamento della religione cattolica in tutto il ciclo elementare. Quanto alla cosiddetta ora di religione, essa è letteralmente un'invenzione dell'equipe del Duce, un'espressione nata dai succitati Patti. Che estendevano tale obbligo alle scuole medie e superiori.
La nuova svolta si ebbe, anche in questo caso, con la Revisione del Concordato del 1984. Per la prima volta fece il suo ingresso trionfale l'Attività alternativa all'ora di Religione, che sancì di fatto la fine dell'obbligatorietà dell'IRC.
Gli insegnanti di Attività alternativa - scelti autonomamente dai Presidi delle singole scuole - si videro valutare dai Provveditorati il proprio servizio con punteggio pari a metà di quello riconosciuto a qualsiasi altra materia ma, per il resto, tale insegnamento venne a lungo equiparato a qualsiasi altra attività di docenza prestata sulle normali classi di concorso.
Ma questa mole di decine di migliaia di insegnanti di religione selezionati esclusivamente dalle Curie cattoliche ed assunti e pagati dallo Stato italiano, non avrebbe costituito a lungo l'unica forma di presenza della Chiesa nell'insegnamento e nella formazione dei nostri giovani.
La cosiddetta Autonomia
Nel 1999 la Riforma Berlinguer introdusse nella Scuola italiana il principio dell'Autonomia. L'Ordinanza del Ministro relativa ai nuovi concorsi per insegnanti, indetti a ben dieci anni da quelli precedenti, sanciva improvvisamente la non computabilità degli anni di docenza prestati su Attività Alternativa ai fini dell'ammissione ai concorsi abilitanti. La valanga di ricorsi dei docenti interessati venne puntualmente respinta. Qualcosa stava evidentemente cambiando di nuovo.
Con il DL 258 del 20 luglio 1999 il Ministro Luigi Berlinguer istituì l' INValSI, l'Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell'Istruzione. La denominazione sarebbe stata ufficializzata, per la precisione, solo con decreto del 2004, ma in realtà tale Istituto - risultato della trasformazione del cosiddetto CEDE (Centro Europeo Dell'Educazione), nato nel lontano 1974 - cominciò a funzionare a tutti gli effetti con lo scopo di "valutare l'efficacia dell'istruzione e la soddisfazione dell'utenza e promuovere la cultura dell'autovalutazione". I presidenti dell'ente furono: Aldo Visalberghi, Umberto Margiotta, Benedetto Vertecchi, Giovanni Trainito, Giacomo Elias, Piero Cipollone e Paolo Sestito. Controllando le illustri biografie di questi leader dell'ente preposto a vigilare sull'efficienza degli insegnanti statali e sui contenuti dei loro programmi, si nota un progressivo spostamento dell' INValSI da iniziali posizioni laiche (come quelle del primo Presidente, Visalberghi, partigiano e socialista), ad ambienti sempre più vicini alla CEI e, contemporaneamente, ai grandi Gruppi finanziari occidentali, spostamento parallelo al continuo rafforzamento di cui questo Istituto ha goduto nel corso degli ultimi quattordici anni. In particolare è da sottolineare la figura di Piero Cipollone, Direttore esecutivo della World Bank (Istituto finanziario nato insieme al Fondo Monetario Internazionale nell'ambito della Conferenza di Bretton Woods del 1944, con lo scopo di favorire la ricrescita economica dei Paesi afflitti dalla Guerra, ma ultimamente al centro di parecchie critiche, così come il FMI stesso, a causa del fatto che i Paesi aiutati ad uscire dalla povertà abbiano invece visto lievitare il loro debito pubblico proprio nei confronti di questi due Enti), Cipollone è stato anche Dirigente del Servizio Studi della Banca d'Italia ed è cugino dell'Arcivescovo di Lanciano ed Ortona Emidio Cipollone. Quanto a Sestito, Commissario Straordinario dal 2011, si tratta di un altro alto dirigente di Bankitalia, precisamente del Vicedirettore del Dipartimento di Analisi economica; è inoltre in organico alla IZA, gigantesco ente tedesco di ricerca sull'organizzazione del lavoro nell'economia globalizzata il cui Presidente, l'economista Klaus Zimmerman, ricopre tra gli altri anche il ruolo di Consulente per la suddetta World Bank.
Posizione chiave all' INValSI anche per Elena Ugolini, Dirigente Scolastico del Polo di Istruzione privato e cattolico Malpighi di Bologna dal 1995 (da quando aveva 36 anni). Membro dell'Ufficio di Presidenza di Comunione e Liberazione (istituzione a cui la sua famiglia ha dato contributi insostituibili, come nel caso di don Giancarlo Ugolini, padre del famoso Meeting di CL di cui ha altresì fondato la sezione di Rimini o di Lella Ugolini, ideatrice della Fondazione Karis che gestisce la rete di omonime scuole cattoliche), firmataria del Manifesto sull'Educazione che attacca quella "cultura che ha sistematicamente demolito le condizioni e i luoghi stessi dell’educazione: la famiglia, la scuola, la Chiesa", da sempre impegnata in favore del finanziamento statale alle scuole private, ha iniziato a rivestire all' INValSI (del cui Consiglio Direttivo è attualmente membro), incarichi importanti dal 2002, sotto il Ministro Letizia Moratti, facendo carriera al punto da diventare coordinatrice dei nuovi programmi per i Licei sotto il ministro Gelmini e Sottosegretario all'Istruzione sotto il successore Francesco Profumo. Quest'ultimo, membro dei C.d.A di Unicredit, Pirelli e Telecom, è considerato molto vicino al Cardinal Bagnasco, col quale, il 28 giugno 2012, ha siglato l'accordo MIUR-CEI finalizzato a frenare l'emorragia di studenti che, in numero sempre maggiore, decidono di non avvalersi all'IRC a scuola. Lo stesso card. Bagnasco ha in seguito dichiarato che tale accordo: "consolida ulteriormente l’armonioso inserimento dell’insegnamento della religione cattolica nei percorsi formativi della scuola italiana".
E non basta. L' INValSI, per effettuare le proprie valutazioni del sistema scolastico italiano, si avvale dell'insieme di test messi a punto da Istituti di ricerca privati come il TIMSS ed il PIRLS, enti che a loro volta fanno capo all' International Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA), ossia l'Ente internazionale per la valutazione del rendimento scolastico che ha sede ad Amsterdam e che coordina (e pilota) gli Istituti di valutazione dei singoli Paesi dell'Eurozona in modo da omologare programmi scolastici, metodologie e criteri docimologici in funzione delle esigenze della politica, dell'imprenditoria e della finanza europea. Ente che a sua volta, ciliegina sulla torta, beneficia dei finanziamenti del Boston College, di cui ben due membri (su sette) siedono nel proprio Comitato esecutivo. Il Boston College è una Università cattolica fondata dai Gesuiti nel 1863 che, tra i suoi propositi principali, vanta quello di diffondere il Cristianesimo nell'istruzione giovanile. Non è forse un caso, d'altronde, che i più importanti Dirigenti TIMSS e PIRLS si trovino proprio nel direttivo di questa Università confessionale. Il Boston - che dispone di un patrimonio di 1,9 miliardi di dollari, vanta un giro d'affari annuale di 820 milioni costituendo anche la più numerosa comunità di gesuiti al mondo, fiore all'occhiello del Cardinale di Boston O'Malley e che annovera, tra i suoi ex studenti, illustri ed influenti politici del calibro di John Kerry, Tip O'Neill o del Governatore del Connecticut Dannel P. Malloy - gestisce in sintonia con l' IEA una fitta e capillare rete di enti o di alte personalità interne o collegate ai Ministeri dell'Istruzione di moltissimi Paesi del mondo ed incaricate di realizzare, a livello locale, il modello educativo elaborato dai suoi ricercatori. Il referente italiano dell'organizzazione è, attualmente, il dirigente INValSI Elisa Caponera. Nonostante questa rete sia estremamente ramificata, può sorprendere, ad esempio, l'assenza al suo interno di un referente per una nazione come la Francia. Ma la cosa è, in realtà, più che comprensibile, data la posizione decisamente laica di questo Paese, nelle cui scuole, ad esempio, non esiste l'insegnamento di alcuna religione.
Nel 2008 Il Boston College si è fuso con la Weston School oh Theology. Il New York Times ha così definito tale re-affiliazione: "un'ulteriore tappa del Boston College per diventare la potenza intellettuale cattolica della nazione". Va appena sottolineato come la linea gesuitica - avversata sia da K. Woityla che da J. Ratzinger - sia attualmente quella dominante in Vaticano. Se infatti il Cardinal O'Malley compariva tra i favoriti all'ultimo conclave seguito alla discussa ed improvvisa abdicazione di Benedetto XVI, il Pontefice effettivamente eletto, Jorge Mario Bergoglio, è il primo esponente della Compagnia di Gesù a salire al Soglio di Pietro dalla nascita di questo stesso ordine religioso.
Il Famigerato DPR 80
L'8 marzo 2013 un Francesco Profumo Ministro di un Governo Monti dimissionario e mai eletto dai cittadini italiani ha improvvisamente incassato, anche su pressione della Fondazione Agnelli, l'approvazione del Decreto sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione (DPR 80) che affida all' INValSI il controllo totale del nuovo Sistema di valutazione dell'efficienza dell'insegnamento scolastico negli Istituti pubblici. Tale sistema, detto "delle tre I" vedrà tre attori fondamentali. Se infatti all' INValSI, oltre al compito di coordinamento, toccherà rilevare l'effettiva preparazione degli studenti italiani attraverso la somministrazione di test a cui le singole scuole non potranno più opporsi, ruolo dell' Indire (Istituto per lo sviluppo dell'Autonomia scolastica) sarà provvedere all'aggiornamento dei docenti il cui lavoro sia risultato "inefficace". Il tutto con contorno di periodiche visite di Ispettori del MIUR atte a sondare l'effettiva efficienza del personale docente e la conformità dei programmi svolti con i dettami del Ministero (e, naturalmente dell' INValSI). Va inoltre sottolineato che il sistema di controllo sugli istituti di istruzione pubblica messo a punto da MIUR ed INValSI scatena, come al solito, serie implicazioni di tipo economico. I risultati ottenuti nei test in questione dagli studenti di ogni singola scuola, infatti, portano all'elaborazione di appositi indici atti a caratterizzarla ed a calcolare i futuri finanziamenti ministeriali da destinarle. Accorgimento che assume un peso notevolissimo nella cosiddetta era della "Scuola dell'Autonomia" e che, chiaramente, induce i Presidi italiani a prender tutti i provvedimenti necessari a valorizzare e ad imporre questo sistema di valutazione nelle rispettive scuole. In pratica, se vogliono che la loro scuola ricominci a disporre di fondi per comprare i toner delle fotocopiatrici o per retribuire le ore di straordinario dei loro docenti, i Dirigenti Scolastici italiani debbono in tutti i modi costringere questi ultimi ad uniformare i propri programmi didattici, i propri parametri di valutazione e la tipologia delle proprie verifiche ai criteri fissati dai gesuiti del Boston e dalla World Bank, affinché i relativi studenti si trovino effettivamente nelle condizioni di rispondere al meglio alle fatidiche "prove INValSI" facendo così salire il più possibile i conseguenti indicatori di computo dei finanziamenti.
A coronamento di tutto ciò urge sottolineare che il 27 aprile 2013 il Commissario INValSI Sestito ha proposto, nel corso di un'intervista⁴, di sostituire entro il 2015 l'attuale Esame di Stato del quinto anno delle superiori con un'unica prova INValSI. Tra le righe l'obbligo per tutti i docenti italiani di adeguarsi a programmi didattici standard stabiliti dallo stesso istituto di controllo, come unico modo per risparmiare ai rispettivi alunni una solenne bocciatura. Detta di passaggio, nella suddetta riunione dell'8 marzo il Governo ha anche elaborato un nuovo capitolo del Decreto Spending Review che, di fatto, congela gli stipendi pubblici fino al 2014 e blocca gli scatti di anzianità per tutto il personale della Scuola. Decreto destinato ad approdare sul tavolo del Consiglio dei Ministri alla sua successiva convocazione.
Nel novembre 2013 il neoministro all'Istruzione Maria Chiara Carrozza, forse anche a causa delle critiche di chi si domandava l'opportunità della consuetudine dei vari Governi italiani di affidare la presidenza di un Istituto di valutazione scolastica ad un banchiere, ha annunciato le dimissioni irrevocabili di Sestito. Il 6 febbraio 2014, scegliendo da una rosa di nomi selezionati da un comitato specifico sulla base di una ventina di candidature iniziali, il Ministro ha nominato Presidente Anna Maria Ajello Messina, Professore ordinario della Facoltà di Psicologia de La Sapienza di Roma e, membro, tra l'altro, di organizzazioni internazionali di ricerca sull'apprendimento come l' EARLI o l' ISCAR. L'orientamento confessionale dell'InValSI non dovrebbe comunque variare granché - e come potrebbe, d'altra parte, visto l'Istituto da cui dipende? - dato che la Prof. Ajello collabora attivamente con l'Istituto Salesiano San Marco di Mestre e fa parte del Comitato scientifico della rivista IUSVEducation, organo dello IUSVE, l'Istituto Universitario Salesiano di Venezia.
Un'università privata e, naturalmente, cattolica.
Contestualmente, il MIUR ha diramato la Direttiva n. 11 del 18.09.2014 e la Circolare n. 47 del 21.10.2014, con cui, tra le altre cose, si prevede l'aggiornamento obbligatorio nei confronti dei docenti i cui alunni non abbiano raggiunto risultati sufficienti nei suddetti test INValSI. Avverso il DPR 80 di Profumo e le successive direttive della Carrozza, FLC e CGIL hanno sporto ricorso.
L'ennesima riforma scolastica denominata La Buona Scuola ed elaborata nel 2015 dalla successiva ministra Giannini, esponente del governo Renzi, si ritiene sia stata messa in piedi sulla base delle direttive della Treellle, associazione "no-profit" che in realtà raccoglie alti nomi della finanza, dell'imprenditoria e dell'editoria italiana. E tra i cui influenti membri figurano, naturalmente, importanti nomi di esponenti di CL oltre che il sottosegretario alla Pontificia Congregazione per l'Educazione Cattolica, nonché vescovo di Volturno, monsignor Vincenzo Zani⁵.
(1) Cfr. a tal proposito il sito Finanzaonline. Si veda anche la Relazione del Direttore generale alla commissione di vigilanza per gli esercizi finanziari dal 1927-28 al 1948-49, della direzione generale del debito pubblico - Ministero del Tesoro, nella sezione La rendita a favore della Santa Sede, pag. 62-64. Cfr. anche il dettagliato sito Fisicamente.net.
(2) Cfr. l'articolo di C. Lopapa comparso su Repubblica il 17 novembre 2009
(3) Per un approccio più "filosofico" nei confronti della questione cfr. P. Ratto, Per un Cristianesimo onesto, BoscoCeduo.it, 2011
(4) Vedi P. Sestito, E se cambiassimo l'Esame di Stato?, Il Sussidiario, 27 aprile 2013.
(5) Si veda, a tal proposito, l'inquietante dossier di P. Ratto intitolato Questa Buona Scuola s'ha da fare, BoscoCeduo.it, 24 maggio 2015.
LA FAMIGLIA WARBURG
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
Antichissima famiglia di banchieri ashkenazi, originari di Venezia - inizialmente si chiamavano Del Banco - che successivamente presero il nome dalla città tedesca di Warburg, in cui si erano rifugiati in seguito alle persecuzioni dell’Inquisizione veneziana.
Nel 1895 Paul Warburg, erede dell'intero patrimonio economico - finanziario della famiglia, sposò Nina J. Loeb, figlia di Salomon Loeb, fondatore della grande Banca americana Kuhn, Loeb & Co che finanzierà e, contemporaneamente, porterà al fallimento lo zar Nicola II. Nello stesso anno il fratello Felix Warburg sposò Frieda Schiff, figlia dell'influente agente dei Rothschild Jakob Schiff, discendente dell'omonima famiglia di banchieri ebrei che condivideva la casa del capostipite dei Rothschild, Amschel Meyer, a Francoforte. Jakob Schiff era anche Direttore della stessa Kuhn, Loeb & Co. Nel 1910 Paul Warburg divenne Direttore della Wells Fargo e nel 1914, su pressione del Presidente americano Wilson, entrò nel primo Consiglio della nascente FEDERAL RESERVE americana, nata proprio dietro insistenza dello stesso Warburg. Egli infatti, prendendo spunto dal famoso panico del 1907, aveva molte volte teorizzato la necessità dell’istituzione di una Banca Centrale americana. Il figlio di Paul, James Warburg, fu il consulente finanziario privato del Presidente F. D. Roosevelt. Tre anni dopo Olga Warburg, sorella di Paul e Felix, sposò Paul Kohn Speyer, discedente dell’antichissima famiglia di banchieri ebrei Speyer, che prendevano il nome dall'omonima città a 100 chilometri da Francoforte in cui era stata fondata la loro dinastia. Paul Kohn Speyer era Presidente della Goldschmidt e socio dello stesso Ernest Goldschmidt. D'altra parte già il nonno materno dei tre fratelli Warburg era un Goldschmidt.
Nel 1916 Carola Warburg, figlia di Felix e di Frieda Schiff, sposò Walther Nathan Rothschild, figlio di Simon Frank Rothschild (1861-1836), nonché nipote di Frank Rothschild (1831-1897) e pronipote di Isaac Rothschild, (1793- 1887).
Una delle maggiori proprietà dei Warburg, a parte la potentissima banca MM Warburg, era la IG FARBEN, colosso nato nel 1925 dalla fusione di AGFA, BAYER (nei cui laboratori, nel 1897 Felix Hoffmann aveva inventato, a pochi giorni di distanza l'una dall'altra, l’aspirina e l’eroina, sulle quali sostanze chimiche Bayer ottenne il brevetto), BASF ed altre industrie chimiche minori. Il primo Direttore di IG Farben fu Carl Bosch, scienziato Premio Nobel per la Chimica per aver messo a punto la sintesi dell’ammoniaca. La sede del gruppo fu stabilita in un palazzo costruito dentro a Westend, gigantesco distretto privato di proprietà dei Rothschild, all'interno della città di Francoforte. La IG Farben fu diretta fino all’inizio degli anni Trenta da Paul e poi dal fratello Max. Nel 1945 il colosso industriale venne trascinato alla sbarra nel Processo di Norimberga.
Fu accertato che la multinazionale, che aveva una importantissima sede anche in America, utilizzava cavie umane per i suoi esperimenti prelevandole direttamente dai campi di concentramento nazisti e che decine di migliaia di schiavi (al top della sua attività, nel 1944, circa 83 mila), lavoravano gratuitamente per l’azienda. La IG Farben, infatti, nel 1941 aveva costruito uno stabilimento ad Auschwitz, che produceva gomma sintetica e nafta utilizzando come bacino di manodopera, a costo zero, il tristemente famoso campo di concentramento. In cambio si sostenne che l'azienda fornisse ai nazisti il famigerato Zyklon-B con cui gli internati sarebbero stati uccisi nelle camere a gas. IG Farben sembra non aver sfruttato soltanto Auschwitz, bensì una quarantina di campi di concentramento. D'altra parte essa non sembra esser stata l’unica azienda tedesca a macchiarsi di tale infamia: lo stesso tipo di schiavismo si ritiene sia stato adottato, ad esempio, dalla Siemens.
Dai laboratori dell'azienda dei Warburg non sarebbe uscito solo lo Zyklon-B. La IG Farben sfornò anche i terribili gas nervini Sarin e Soman, grazie agli studi dello scienziato nazista e Premio Nobel viennese Richard Kuhn (1900-1967).
LA FAMIGLIA THYSSEN
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
Famiglia cattolica di umili origini contadine. L'esponente responsabile del successo economico del gruppo è Johann Friedrich Thyssen (1804-1877). Il bisnonno Isaak Lambert Thyssen (1685-1783) dopo l'incendio delle sue stalle aveva cominciato ad occuparsi della protezione antincendio di quelle dell'intera Aquisgrana. Il nonno Nicholas aveva continuato in questa direzione diventando anche un’autorità per i suoi concittadini che gli avevano affidato la responsabilità dei controlli sul peso e sulla qualità del pane. Il padre, Nicholas anch’egli, pur svolgendo il mestiere di fornaio aveva assunto incarichi di responsabilità nel governo della città. Era stato lui, ad esempio, ad organizzare i festeggiamenti per il battesimo del figlio di Napoleone. La moglie di Nicholas jr, nonché madre di Johann Friedrich, era Christine Nellessen, figlia di uno dei più importanti e ricchi imprenditori della città, produttore tessile nell’azienda di famiglia, la Tuchfabrik Nellessen. Un matrimonio che aveva giocato un ruolo importantissimo per le sorti della famiglia.
Nel 1822 Johann Friedrich fondò con Friedrich Englerth, Jacob Spring e Ludwig Beissel l’azienda tessile Draht Fabrik Compagnie, con un capitale iniziale di 12 mila talleri. Qualche anno dopo mise su la sua prima Banca privata ad Eschweiler, diventando anche socio della Società Metallurgica di Stolberg ed entrando in affari con la potente Banca di Salomon Oppenheim.
Fervente cattolico, fu impegnato per anni nel consiglio direttivo della Chiesa cattolica della stessa Eschweiler. Sposò la cugina prima Katharina Thyssen (1814-1888), da cui ebbe nove figli. Il maschio più grande, il terzogenito August, ebbe il compito di portare avanti l’economia della famiglia.
August Thyssen (1842-1926) nel 1871, dopo una serie di fruttuosi investimenti, fondò con il padre la Thyssen & Co, importantissima azienda di laminazione del ferro con sede nel bacino carbonifero della Ruhr. L’anno successivo sposò Hedwig Pelzer, figlia di un importante imprenditore, da cui avrebbe divorziato tredici anni dopo. La sua Thyssen & Co, insieme alla successiva sua creazione, l’acciaieria Maschinenfabrik Thyssen & Co, contribuì massicciamente al processo di industrializzazione della neonata Germania. Diventato ricchissimo, aprì filiali delle sue aziende in Belgio, Inghilterra, Russia, Francia e Sud America. Conservatore, fu il principale finanziatore dell’ascesa di Hitler. Insieme al fratello Joseph, nel 1891 fondò a Duisburg l’acciaieria Thyssen Stahl AG, che un secolo dopo, nel 1999, si sarebbe fusa con l’antica rivale Krupp Stahl AG dell’imprenditore Friedrich Krupp nell’attuale ThyssenKrupp, il più potente gruppo industriale siderurgico del mondo, nel cui stabilimento di Torino, nella notte tra il 5 ed il 6 dicembre 2007 sette operai sono morti a causa delle ustioni provocate dalla fuoriuscita di olio bollente sottopressione improvvisamente incendiatosi. Le due antiche acciaierie, i passato, avevano a lungo costruito - in concorrenza l’una con l’altra - i cannoni e i famosi carri armati Panzer per l’esercito di Hitler.
Quando August si ritirò gli succedette il terzogenito Fritz Thyssen (1873-1951), anch’egli sostenitore del Führer - fu acceso protagonista della resistenza contro l’occupazione della Ruhr da parte dei francesi alla fine della Grande Guerra, uno dei principali firmatari della lettera del novembre 1932 con cui gli industriali tedeschi chiedevano ufficialmente ad Hindenburg la nomina di Hitler a cancelliere ed uno degli ispiratori delle purghe hitleriane nei confronti della “sinistra nazista” - ma contrario all’invasione della Francia. Posizione, questa, che gli costò l’esilio a Parigi e, successivamente, l’arresto da parte dell’esercito nazista, una volta occupata la Francia.
LA FAMIGLIA SASSOON
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
Famiglia ebraica tra le più ricche ed antiche del mondo, probabilmente di origine mesopotamica. I Sassoon infatti deriverebbero dai Shoshans, uno dei cui esponenti più importanti fu il Principe ("Nasi") spagnolo Ibn Shoshans (Yazid ibn Omar ha-Nasi). Nel Cinquecento, per sfuggire alle persecuzioni spagnole, i Sassoon si rifugiarono a Baghdad. Alla fine della Prima Guerra Mondiale furono tra i protagonisti della formazione dell'Irak, il cui primo Ministro delle Finanze fu proprio Eskell Sassoon, che diresse questo ministero per ben sette governi consecutivi. In questo ruolo Sir Eskell firmò l'accordo con British Petroleum, pretendendo che i proventi iracheni per l'estrazione del petrolio fossero corrisposti in oro e non in sterline. L'idea si sarebbe rivelata geniale, poiché nonostante l'abbandono del Gold Exchange Standard degli anni Trenta, con conseguente flessione della sterlina, l'Iraq non avrebbe risentito della crisi internazionale.
Nella prima metà dell'Ottocento il nonno di Sir Eskell, David Sassoon, fondò una grande banca a Bombay, la David Sassoon & Co, diventando una delle personalità più influenti dell'India. Il fratello di David, Albert Abdallah David Sassoon, per i giganteschi guadagni procurati alla Corona inglese, nel 1890 fu addirittura nominato Barone dalla Regina Vittoria.
David, tramite la sua banca ed i virtù del prestigio della sua famiglia, ottenne dalla Banca d'Inghilterra (controllata dai Rothschild), il monopolio in India per lo sfruttamento del cotone, della seta e dell'OPPIO. Soltanto in un anno, tra il 1830 ed il 1831, David vendette 18.956 casse di oppio. I suoi otto figli, inviati in tutti i posti chiave del commercio in Oriente con la solita tattica Rothschild, riuscirono ad estendere il loro monopolio dell'Oppio in Cina ed in Giappone. In quei Paesi i Sassoon hanno naturalmente aperto importanti filiali della loro banca, a cui hanno aggiunto, società finanziarie, gigantesche aziende tessili ed agricole ed imponenti società di assicurazioni come la Oriental Life Insurance.
La scintilla che fece scoppiare la Guerra dell'Oppio tra Inghilterra e Cina vide proprio i Sassoon come i principali protagonisti. Nel 1839 l'Imperatore cinese Dao-Guang proibì l'assunzione ed il commercio di questa sostanza. I suoi soldati gettarono nei fiumi migliaia di casse di droga appena uscite dai laboratori di Canton della famiglia Sassoon, che chiesero aiuto al Governo britannico tramite l'intermediazione dei Rothschild (i quali, insieme alla Regina, fino a quel momento avevano fatto grandi affari con i Sassoon proprio grazie all'oppio). E la guerra iniziò.
Dopo tre anni il Trattato di Nanchino sanciva la piena legalizzazione dell'oppio in Cina, la sovranità della vittoriosa Inghilterra su diverse aree costiere del Paese e un forte risarcimento (pari a due milioni di sterline) ai "danneggiati" Sassoon. Da notare che i cinesi dovettero pagare interamente anche le spese di guerra agli inglesi, per la favolosa cifra di 21 milioni di sterline.
Il monopolio della droga da parte dei Sassoon, però, si limitava alle zone costiere della Cina, così alla ricca famiglia fu necessaria una seconda Guerra (1858-1860), per sperare di raggiungere finalmente l'obiettivo dell'esclusiva sulla vendita di oppio in tutto il territorio nazionale. Il nuovo conflitto fu sanguinosissimo, gli inglesi non esitarono a radere al suolo e saccheggiare i templi ed i santuari di Pechino. Il successivo Trattato di Pace, stipulato il 25 ottobre 1860, assicurò ai Sassoon l'esclusiva del commercio di droga sui sette ottavi della Cina. L'Inghilterra riuscì ad annettersi Hong Kong oltre ad una serie di altre zone strategiche all'interno della nazione. Gli affari di famiglia si moltiplicarono, grazie anche al contributo della società Russell & Company, che armava per conto dei Sassoon le navi commerciali che trasportava oppio dall'India alla Cina tornando indietro cariche di Tè. La società (fondata da Samuel Russell, cognato del William Huntington Russell co-fondatore della discussa società segreta Skull & Bones), era in mano a Warren Delano, principale azionista, nonno materno del futuro Presidente degli USA Franklin Delano Roosevelt, il quale ereditò una gigantesca fortuna proprio grazie a questa joint venture con i Sassoon.
Rothschild, il nome impronunciabile
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
Meyer Amschel Rothschild nacque nel ghetto di Francoforte il 23 febbraio 1744. Discendente da un'antica famiglia di rabbini e predicatori ashkenazi di Worms (nata dall'unione dell'antichissima dinastia dei rabbini Hahn - Elkan con quella altrettanto antica degli Worms) era figlio del ferramenta Amschel Moses Rothschild (detto "Bauer", così come il nonno Moses Callman) - che esercitava anche l'attività di cambiavalute. Il ragazzo crebbe al numero 148 di quella Judengasse (la "via degli Ebrei"), in cui si trovava la bottega del padre, che lo lasciò orfano a dodici anni. Meyer Amschel cominciò così a prendersi cura dei suoi fratelli mettendo a frutto la sua abilità di conoscitore di monete antiche, abilità che lo portò a diventare presto consulente e fornitore di importanti collezionisti. In virtù di questo successo decise di abbandonare il pesante soprannome ("Bauer" significa contadino ed era quindi troppo svilente), mantenendo solo il cognome Rothschild, derivante dall'espressione "Rot Schild", ossia Scudo rosso, dalla forma dell'insegna che campeggiava sull'antica bottega di famiglia. A venticinque anni il suo principale cliente era già il Langravio di Assia-Kassel, Guglielmo IX. A presentargli il futuro Principe elettore fu probabilmente il generale Emmerich Otto August Von Estorff (1722-1796), conosciuto negli anni precedenti, quando Meyer faceva il cassiere nella banca dei ricchissimi Oppenheimer, ad Hannover. Von Estorff (che nel 1764 aveva fatto affari fondando una società agricola a Celle, in Bassa Sassonia), era un estimatore di quel giovane che aveva saputo curare con profitto i suoi interessi, mettendosi contemporaneamente in luce nella stessa banca in cui lavorava, al punto di riceverne in premio un certo numero di azioni.
Guglielmo IX era molto ricco, anche grazie alla consuetudine - tipica dei Principi tedeschi dell'epoca - di "noleggiare" come mercenari ai sovrani stranieri i suoi soldati migliori, ricavandone notevoli profitti economici. Gli affari migliori li aveva fatti con il Re d'Inghilterra, a cui aveva affittato le sue truppe per supportarlo contro le colonie americane ed il loro generale George Washington.
Quella ricchezza andava investita ed accresciuta. E Meyer era l'uomo giusto.
Il rapporto col Principe fruttò molto. Guglielmo IX vide aumentare il proprio capitale grazie agli investimenti che il suo consulente finanziario effettuava per suo conto, soprattutto in ambito militare. In compenso Meyer Amschel, potendo contare sulle conoscenze giuste, riuscì ad aprire una sua Banca a Francoforte. Da Gutele Schnapper - figlia di un mercante ebreo, che lo aveva sposato, a diciassette anni, nell'agosto del 1770 - ebbe dieci figli: cinque femmine e cinque maschi (anche gli Schnapper erano una famiglia antichissima, imparentata anch'essa con quella dei Worms). Nelle mani dei suoi cinque figli (nell'ordine: Amschel, Salomon, Nathan, Karl e Jakob Meyer), Meyer Amschel avrebbe consegnato la sua fortuna. Un importante biografo della famiglia, H. R. Lottman, sostiene che delle femmine non ci siano giunti nemmeno i nomi. In realtà sappiamo che le cinque fanciulle si chiamavano Schönche Jeanette, Isabella, Babette, Julie e Henriette, ma la consuetudine di non divulgare molto l'identità delle femmine della famiglia fu spesso osservata scrupolosamente, poiché proprio attraverso di loro i Rothschild si imparentarono con le altre importanti dinastie ebree d'Europa, facendole sposare a volte con i figli delle figlie di altri uomini di potere il cui cognome, in quel modo, non potesse venir direttamente collegato al loro. Oppure, come vedremo, maritandole con altri Rothschild, quando ciò si rendeva necessario per mantenere in famiglia titoli e capitali. Il matrimonio più rilevante, tra quelli delle figlie di Amschel, fu probabilmente quello che toccò ad Henriette, andata in sposa ad Abraham Montefiore, membro della potente famiglia ebrea londinese emigrata a Livorno e zio di quel ricchissimo Moses Montefiore, imprenditore di successo e futuro filantropo ed attivista per la causa sionista. A rafforzare l'unione tra le due importanti famiglie ebraiche, il matrimonio tra Nathan e la cognata di Moses, Hannah Cohen, futura cugina di terzo grado di Karl Marx (che sarebbe nato dodici anni dopo il matrimonio). Un'unione che diede il via ad un imponente sodalizio finanziario tra i Rothschild ed i Montefiore, a cominciare dalla Compagnia di Assicurazione Alliance (l'attuale RSA - Royal & Sun Alliance, une delle più grandi multinazionali assicurative del mondo), che i due fondarono nel 1824.
Appena furono indipendenti, i figli maschi vennero mandati ad aprire nuove filiali della Banca del padre nelle più importanti città europee. Anche se la tradizione sostiene che l'ideatore di questa dispersione sia stato papà Meyer Amschel, stando alle date, a qualche studioso sembra più credibile che tale provvedimento sia stato preso da Nathan, il primo figlio ad accumulare forti ricchezze, stabilitosi a Londra già dal 1805. Ad ogni modo solo il primogenito, Amschel, fu trattenuto a Francoforte come principale collaboratore e poi successore del genitore. Salomon fu inviato a Vienna, Karl (il cui vero nome era Calmann Meyer), a Napoli e Jakob, resosi poi celebre con il nome "James", a Parigi.
Dal gennaio del 1800, grazie al rapporto privilegiato con il Casato di Assia, i nostri banchieri erano diventati agenti dell'Imperatore d'Austria. Il loro prestigio, negli anni, crebbe a dismisura, soprattutto a causa della loro straordinaria abilità nel trasferire merci e fondi di Principi e Re - usufruendo il più possibile di lettere di cambio - soprattutto tra l'Europa continentale e l'Inghilterra. E ciò, incredibilmente, anche in situazioni di emergenza, come nei casi in cui le nazioni interessate si trovavano nel bel mezzo di una guerra. Situazione, questa, che spesso vedeva schierate l'una contro l'altra le nazioni in cui si trovavano le cinque agenzie dei Rothschild.
I Rothschild e Napoleone
Gli affari dei cinque fratelli cominciarono a diventare determinanti, all'interno dello scenario politico internazionale. Un esempio fra tutti. Lo storico Jean Bouvier nel suo Les Rothschild (Edition Complexe, 1983), ha giustamente sostenuto che Napoleone sia stato sconfitto su un campo di battaglia prettamente finanziario. Ebbene, già dietro la sconfitta di Waterloo del grande imperatore francese c'è lo zampino dei Rothschild. Furono loro, infatti, a finanziare le operazioni militari del Duca di Wellington che portarono alla vittoria dell'esercito inglese. Esattamente come, dopo l'uscita di scena di Napoleone, erogarono i prestiti per la restaurazione, in Francia, del potere di Luigi XVIII.
Ma non basta. Il Langravio di Assia, negli ultimi anni del potere di Napoleone, aveva tergiversato chiedendosi se convenisse di più schierarsi con Bonaparte o con le molteplici coalizioni realizzatesi contro di lui. Napoleone non glielo aveva perdonato, ed era piombato sull'elettorato, occupandolo e spedendo il Langravio in esilio. In quella circostanza Amschel Meyer aveva esibito tutto il suo opportunismo, continuando in segreto ad aiutare finanziariamente l'esule Guglielmo (con l'aiuto di Nathan, che aveva custodito i risparmi del Principe sottraendoli alla razzia napoleonica e, nel frattempo, utilizzandoli per comprare oro per un valore di 800 mila sterline) e, contemporaneamente, intraprendendo nuovi proficui affari con i francesi, ingraziandoseli al punto di ottenere che venisse sancita la parità di diritti tra gli abitanti del ghetto ed il resto della popolazione dell'Assia, e ciò in cambio del versamento di una somma pari a ben vent'anni di imposte! E ciò, si noti bene, nonostante l'Imperatore fosse determinato ad arrestare in tutti i modi il processo di emancipazione degli ebrei innescato dalla Rivoluzione francese. Dal marzo 1810, poi, Jakob si era trasferito a Parigi in modo definitivo, e gli affari con l'Imperatore erano diventati una prassi quotidiana. D'altra parte, negli anni precedenti, aveva improvvisamente moltiplicato le sue ricchezze ed il suo potere grazie ad un affare di cui gli storici tradizionali non hanno mai parlato, ma che lo studioso "non allineato" Vittorio Giunciuglio (nel suo Un ebreo chiamato Cristoforo Colombo, 1994), ha spiegato molto bene in seguito alle sue lunghe ricerche su Cristoforo Colombo. James, infatti, aveva ricevuto da Napoleone l'incarico di smerciare le migliaia di lingotti d'oro sottratti al rivale Banco di San Giorgio, istituto finanziario genovese importantissimo, nonché prima Banca della storia europea. Il Banco conteneva, oltre ai depositi della corona francese, su cui la Repubblica voleva mettere le mani, niente meno che l'immensa ricchezza di Colombo, accumulata in tutti i suoi viaggi. Genova era stata occupata dai francesi proprio per metter fuori combattimento e depredare quello che costituiva il principale rivale della Banca Rothschild. Una fortuna smisurata, che aveva successivamente trasformato James in uno degli uomini più importanti del mondo.
Ma al di là dei lingotti genovesi, Napoleone sapeva pochissimo del resto degli affari di James. Il quale, in quella nuova sede, aveva potenziato enormemente il traffico di oro ed effetti bancari tra Inghilterra, Francia e resto d'Europa, facendo trasportare il metallo prezioso in vagoni con scomparti segreti e, quando risultava impossibile occultare tali traffici, riuscendo a convincere il Ministro napoleonico delle Finanze Mollien che il flusso d'oro verso Londra giocasse un ruolo favorevole alla Francia, comportando di fatto un forte indebolimento economico per l'Inghilterra¹.
In pratica i Rothschild stavano facendo affari con dominati e dominatori, vincitori e sconfitti. E nessuno l'aveva davvero capito.
Una prassi che, come vedremo, la famiglia saprà consolidare nel tempo.
Si racconta che Amschel Meyer, deceduto il 12 settembre 1812, sul letto di morte abbia diviso il mondo tra i suoi cinque figli. Sta di fatto che questi sono gli anni dell'irrefrenabile ascesa di Jakob, ribattezzatosi James. Con la prima sconfitta di Napoleone a Waterloo egli riuscì a registrare la sua Banca presso il Tribunale di Parigi e ad accogliere, grazie a Nathan, la valuta inglese necessaria per finanziare la salita al trono di Luigi XVIII. Fu il suo primo contratto con un Re. All'età di ventun anni il nostro James vantava un giro d'affari superiore al milione di franchi, l'equivalente di circa cinque milioni di euro attuali.
Nel frattempo Bonaparte il 26 febbraio 1815 fuggiva dall'Isola d'Elba con cinquecento uomini. Nemmeno un mese dopo, la sera del 20 marzo, sedeva già al posto di comando, presso la residenza delle Tuileries, ma ancora una volta James non si perse d'animo. Non sappiamo che rapporto intercorse tra l'Imperatore ed il banchiere in quei leggendari successivi Cento giorni, ma è un dato di fatto che l'esito della Battaglia campale di Waterloo sia arrivata alle orecchie dei Rothschild prima che a quelle di chiunque altro. La leggenda vuole che James abbia seguito le operazioni militari da un'altura ed abbia subito informato il fratello Nathan a Londra - che per finanziare le truppe inglesi aveva trasferito nel Continente lingotti d'oro per un valore di 15 milioni di sterline tra il 1813 ed il 1815, di cui 6 milioni soltanto tra il gennaio ed il giugno dell'ultimo anno - ottenendo in quel modo guadagni eccezionali in ambito finanziario. Secondo un'altra versione Nathan sarebbe stato informato dal suo agente di Ostenda, Rowerth. Il Lottman - in generale sempre molto "fiducioso" nelle qualità morali e civili della famiglia - così scrive:
"In realtà il servizio di informazioni dei Rothschild, che con la consueta efficienza collegava i punti chiave del continente servendosi di battelli e diligenze, portò a Nathan la notizia prima che arrivasse a chiunque altro; ma egli, da buon suddito del Re qual era, ne informò immediatamente il Governo inglese. I Rothschild diventarono ancora più ricchi, ma non furono gli unici beneficiari della vittoria."²
Nel 1816, grazie alle pressioni esercitate da Metternich, i Rothschild ottennero dall'Imperatore d'Austria il titolo di Baroni; un riconoscimento estremamente inusuale, mai concesso a commercianti, per giunta ebrei. Il titolo andò a tutti i fratelli tranne Nathan, che in qualità di suddito britannico non poteva ottenere un'onorificenza austriaca. James, barone a soli ventiquattro anni, largheggiò permettendosi di invitare a cena lo stesso Metternich o il Duca di Wellington. Divenne amico e consulente finanziario del Duca d'Orleans, futuro Luigi Filippo re dei francesi, che una volta sul trono non si sarebbe certo dimenticato dei favori del barone. Il tutto visto non proprio di buon occhio dalle varie comunità ebraiche europee, cui non sfuggiva l'alleanza tra i ricchissimi banchieri semiti ed i loro potentissimi, aristocratici persecutori.
Amschel Meyer,
il fondatore della Dinastia Rothschild
(1) Questa, così come molte altre informazioni sui Rothschild ivi contenute, è tratta da H. R. Lottman, I Rothschild, storia di una dinastia, Arnoldo Mondadori Editore, 1994.
(2) H. Lottman, Op.Cit., pag. 18.
LA FAMIGLIA KAHN (KANN)
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
Antica famiglia di rabbini imparentati anche con gli Stern (dal Seicento), con i Loeb e con i Goldschmidt (dall'Ottocento). Importante esponente fu Moses Loeb Kann, rabbino capo di Assia-Darmstadt, che sposò Sara Wertheimer, figlia del "kaiser ebreo" Samson Wertheimer (1658-1724). La seconda moglie di Moses fu Itzel, la figlia di Behrend Lehman. Come si può notare i Kann costituiscono dunque uno snodo cruciale nella rete delle alleanze tra le più importanti famiglie ebree.
Zadok Kahn (1839-1905), nipote per parte di madre di Rabbi Jakob Meyer, capo della comunità ebraica del Basso Reno, fu rabbino capo di Francia dal 1889. Importante ideologo del sionismo, collaborò con Edmond Rothschild per la realizzazione dei primi insediamenti ebraici in Palestina.
Un altro importante esponente fu Abrahm Kahn (1860-1940), fuggito dall'Alsazia durante la Guerra franco-prussiana e rifugiatosi prima a Saint-Mihiel (Meuse) e poi a Parigi. Cambiò il suo nome proprio in Albert e si mise in affari, studiando privatamente nientemeno che con il filosofo Henri Bergson. Dopo essersi arricchito speculando nelle miniere d'oro e di diamanti dell'Africa, nel 1898 aprì la Banca d'investimento Kahn Bank, che però fallì dopo la recessione internazionale del 1929.
Un altro discendente della famiglia, Alphonse Kahn, fu comproprietario - insieme al cugino Théophile Bader, della catena parigina di negozi Galeries Lafayettes, che faceva capo proprio alla Alphonse Kahn et Cie. Ora importante le Galeries sono un gigantesco Gruppo di distribuzione con diverse sedi in Francia ed in Germania, che comprende anche marchi come BHV, Monoprix, Laser. Unici proprietari sono i Moulin, lontani discendenti dei due cugini.
LA FAMIGLIA HAHN-ELKANN e LA FAMIGLIA WORMS
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
Gli Hahn sono un'antica famiglia ebraica di rabbini e banchieri, originaria di Francoforte. Il loro capostipite Hane (Elkan) zur roten Rose ha dato il via alla dinastia sposando Fogele Worms, figlia del Rabbino Meier Worms zur roten Rose. I Worms, dall'omonima città a circa sessanta chilometri da Francoforte, sono un'altra importante ed antica stirpe di banchieri e rabbini. Hyppolite Worms (1801-1877), agente di commercio all'ingrosso, aprì un ufficio a Parigi nel 1841 e, dalla metà dell'Ottocento, cominciò ad importare carbone dall'Inghilterra alla Francia, riuscendo a diventare presto un punto di riferimento internazionale nel commercio di materie prime. Il nipote, omonimo, nel 1928 fondò la banca di famiglia, Worms & Cie.
Quanto agli Hahn, uno degli elementi di spicco fu Louis Albert Hahn (1889-1968) celebre economista e banchiere che dalla sua famiglia di origine ereditò la passione per le operazioni finanziarie e per l'economia. Durante il nazismo la sua famiglia fu privata della propria banca, la Deutsche Effecten- und Wechsel-Bank, al contrario di ciò che accadde a Hyppolite Worms, rimasto saldamente in possesso della sua banca e, dopo il 1945, accusato di collaborazionismo col regime di Vichy nonostante fosse ebreo. La Worms & Cie, infatti, cominciò a decadere anche a causa di queste accuse. Nel 1981 la Worms venne nazionalizzata da Mitterand e successivamente, una volta ri-privatizzata, subì una serie di opa fino a finire nelle mani degli Agnelli, che nel 2007 ne hanno acquisito la maggioranza delle azioni, Dal 2005 si chiama Sequana Capital. (La famiglia Worms detiene comunque la rimanenza del pacchetto azionario). Presidente della Sequana è Tiberto Brandolini d'Adda, esponente della nobile famiglia italiana imparentata con gli Agnelli dal 1947 e con i Rothschild dal 1987.
Quanto agli Hahn, la loro banca si chiama oggi DEWB ed è un colosso finanziario quotato in borsa, con sede a Jena; nel CdA siedono anche i Warburg.
LE FAMIGLIE FITZGERALD E KENNEDY
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
I Fitzgerald sono una delle famiglie più antiche della storia d'Irlanda. Si tratta addirittura di un ceppo hiberno-normanno che partecipò alla conquista dell'isola del 1169 e che successivamente si fuse con la nobiltà gaelica locale fino a diventare, per lo meno dal Trecento, Pari d'Irlanda. Non è chiaro il loro legame con l'antica e combattiva famiglia fiorentina dei Gherardini (cognome che, curiosamente, ricorda il termine con cui i Fitgerald erano anche chiamati: i Geraldines, ossia i discendenti di Gerald). Secondo alcuni storici i Gherardini, imparentati con personalità tra le più illustri ed influenti del Medioevo come la celebre Matilde di Canossa, potrebbero aver partecipato alla conquista dell'Irlanda al seguito di Luigi VII di Francia, consuocero del Duca di Normandia e futuro Re d'Inghilterra Enrico II Plantageneto (1133-1189).
Capostipite della dinastia Fitzgerald fu infatti Gerald FitzWalter di Windsor (1070-1136), Connestabile sotto Guglielmo I il conquistatore. Suo nonno Otone, nobile di origini sassoni, possedeva numerosi castelli in cinque diverse contee d'Inghilterra. Gerald sposò la giovanissima principessa Nest ferch Rhys, unica figlia dell'ultimo re dei Britanni Rhys Ap Tewdwr, ucciso durante la Battaglia di Brecon, nel 1093. La morte di re Rhys aprì la strada ai Normanni per la definitiva conquista del Galles, anche se la sua antica dinastia avrebbe avuto, tramite la sua unica figlia Nest, una storia lunghissima. Tewdwr, infatti, è l'antico nome dei Tudor, principi di origine gallese regnanti in Inghilterra dal 1485 al 1603, ossia da Enrico VII a Elisabetta I.
Fitz in gaelico significa "figlio". I Fitzgerald, quindi, sono i figli, i discendenti, di Gerald (figlio di Walter) di Windsor.
I due rami fondamentali dei Fitzgerald sono i Baroni (successivamente Conti) di Desmond ed i Conti (successivamente Marchesi) di Kildare, in seguito nominati Duchi di Leinster. Il primo Barone di Desmond fu John FitzThomas FitzGerald, che ottenne il titolo nel 1259 e morì due anni dopo nella Battaglia di Callan, in cui i Normanni vennero sconfitti dall'esercito gaelico. La dinastia si estinse nel XVII secolo, dopo che i suoi esponenti vennero nobilitati al titolo di Conti dal 1329. Quanto ai Conti di Kildare, il primo fu John Fitzgerald (1250-1316), nominato da Edoardo I Plantageneto (1239-1307) ed al seguito di quest'ultimo nella sfortunata campagna di Scozia. Nel 1761 James Fitzgerald (1722-1773), ventesimo Conte di Kildare, fu nominato Marchese e cinque anni dopo Duca di Leinster, titolo mai estintosi, visto che dal 2004 è passato (non senza controversie legali), a Lord Maurice Fitzgerald, progettista di giardini nato nel 1948.
Da uno dei più giovani figli (forse illegittimo) del primo Barone di Desmond, John FitzJohn, ebbe inizio la dinastia ereditaria dei Cavalieri di Glin (o Cavalieri Neri). John fu il primo "cavaliere nero", ordinato nel 1260. La lista continuò nei secoli, estinguendosi soltanto nel 2011 (con la morte di Desmond Fitzgerald, ventinovesimo ed ultimo Cavaliere di Glin).
L'8 febbraio 1644 fu ordinato Primo Baronetto di Irlanda il Cavaliere Sr. Edmund Fitzgerald di Clenglish (morto intorno al 1670). Edmund aveva sposato sua cugina Honora Fitzgerald, la figlia di James Fitzgerald, nipote del dodicesimo Conte di Desmond. Durante la Rivoluzione egli non esitò a bruciare il suo Castello, a Clengish, per evitare che cadesse nelle mani dei ribelli; inoltre mise a disposizione dell'esercito dei Cavalieri del Re un suo reggimento di cavalleria. Per questo motivo Edmund venne privato delle sue proprietà da Oliver Cromwell. Con la restaurazione, Sr. Edmund chiese invano a Carlo II la restituzione delle sue terre nella Contea di Limerick, rassegnandosi infine a risiedere nei suoi possedimenti dislocati nella Contea di Cork, che si sommavano ai molti altri territori di cui era proprietario nelle Contee di Kerry e di Tipperary.
Il secondo Baronetto di Irlanda fu il primogenito di Edmund, Sr John Fitzgerald, morto l'11 luglio 1708 nella Battaglia di Oudenaarde, durante la Guerra di Successione Spagnola. Sulla sua figura aleggia un certo mistero. Alcune genealogie non lo contemplano; diversi studiosi, come John Burke, sostengono che l'unico figlio di Edmund fosse Maurice Fitzgerald (morto già nel 1679), che per altri fu invece uno dei quattro fratelli minori di John.
La Principessa Nest a letto con il Duca di Normandia e Re d'Inghilterra Enrico I (1068-1135), in questo ritratto dipinto da un monaco del tempo.
Nest, che all'epoca della morte del padre Rhys Up Tewdwr e della sua prima cattura era bellissima (considerata la più bella del suo tempo) seppur ancora tredicenne, partorì uno dei tanti figli illegittimi di Enrico, Enrico FitzRoy (1103-1157).
In seguito divenne moglie di Gerald FitzWalter, finché il Principe Cadwgan se ne innamorò nel 1108 arrivando a rapirla l'anno successivo. Una notte, infatti, Nest e Gerald vennero sorpresi, mentre dormivano nel loro Castello di Cilgerran, (vedi sotto) da Cadwgan e i suoi uomini, che appiccarono il fuoco al maniero. Nest riuscì ad aiutare Gerald a mettersi in salvo, ma venne presa, diventando in seguito moglie del suo rapitore.
LA FAMIGLIA DUPONT
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
Famiglia americana tra le più potenti, di origine borgognona. Pierre Samuel Du Pont de Nemours (1739-1817), capostipite della dinastia, fu amico di Thomas Jefferson, di La Fayette, del conte Mirabeau e del controllore delle Finanze di Luigi XVI, Jacques Necker, che ne finanziò l’ascesa politica ed economica.
Grande fautore della Fisiocrazia (termine che coniò lui stesso), fortemente influenzato dalle idee di Adam Smith e di François Quesnay, scrisse una serie di opere di economia politica inneggianti al libero commercio, tra le quali spicca proprio Physiocracy, del 1767. Durante il periodo del Terrore fu condannato alla ghigliottina ma la pena gli fu condonata dopo la morte di Robespierre. Nel 1799, per sfuggire al difficile clima originatosi dal Colpo di Stato del 18 fruttidoro dell'anno V e dalla conseguente feroce repressione anti-realista, Pierre Samuel decise di emigrare con tutta la famiglia negli Stati Uniti, ove cominciò a curare i rapporti diplomatici tra l'America di Jefferson e la Francia di Napoleone. La sua famiglia acquisì sempre maggiore importanza anche nel Nuovo Continente, tant'è vero che i Du Pont avrebbero acquisito la carica di governatori dello Stato del Delaware, mantenendola per molte generazioni.
Il figlio di Pierre Samuel, Eleuthère Irénée Du Pont (1771-1834), chimico - fu infatti allievo ed assistente di Lavoisier - e grande imprenditore, fondò la fabbrica di polvere da sparo E.I. du Pont de Nemours and Company, che trasse giganteschi profitti dalle guerre scoppiate nei decenni successivi. Il 40% degli esplosivi utilizzati nel corso della Grande Guerra, ad esempio, furono prodotti da questa azienda, che già dall'inizio del Novecento fabbricava i tre quarti del materiale esplosivo statunitense. Dal 1914 Pierre Du Pont (1870-1954) riuscì ad ottenere il controllo della General Motors, diventandone poi Presidente. Sotto la sua direzione la GM acquistò l'industria automobilistica tedesca Opel, nel 1929. Un'indagine del Senato americano, condotta a metà degli anni Settanta, ha appurato che la GM dei Du Pont, negli anni Trenta, produsse camion militari del tipo Blitz per Hitler. Nel 1936, poi, la Du Pont ottenne dalla IG Farben dei Warburg (del cui pacchetto azionario è stato scritto che i Du Pont possedessero una quota pari al 30%), il brevetto per la produzione di diverse sostanze chimiche¹.
(1) Vedi a questo proposito, per esempio, le informazioni contenute nel sito Appello al popolo
LA FAMIGLIA ROCKEFELLER e LA FAMIGLIA DAVISON
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
Famiglia anticamente chiamata Roggenfelder ed inizialmente residente nella città tedesca di Neuwied.
Johann Peter Roggenfelder jr. (1711-1787), nato in Bassa Sassonia, a Westerwald, Schaumburg, pronipote di Goddard Roggenfelder (1590-1684) - che per taluni discese dalla nobile famiglia francese dei Roquefeuil-Versols, per la precisione discendente di Augier de Roquefeuil, fratello minore di Guillaume IV de Roquefeuil - si spostò con tutta la famiglia dalla Germania agli Stati Uniti, nel New Jersey, tra il 1722 ed il 1723.
Lì, nel 1740, Johann sposò in seconde nozze Mary Bellis, della Contea del Northampton (Pennsylvania), figlia del ricco proprietario terriero William Bellis.
Il primo importante esponente fu senza dubbio John Davison Rockefeller (1839-1937), quadrinipote di Johann, nato dalla confluenza di tre importanti famiglie: i Roggenfelder, appunto, gli Avery - antichissima famiglia inglese, discendente addirittura dai Plantageneti, il cui esponente Christopher Avery era tra i settecento puritani giunti in America nel 1630 con la Flotta Winthrop. Christopher si trovava proprio a bordo dell'Arbella, la nave ammiraglia. Tra i suoi discendenti vi furono diversi soldati ed ufficiali che combatterono nella Guerra di Indipendenza americana - e i Davison (originariamente Davidsohn, letteralmente "figlio di David", poi anche con la variante Davidson, antica famiglia di Lissa. Un importante esponente della dinastia fu il potentissimo banchiere Henry Pomeroy Davison, nato nel 1867 e morto nel 1922, che fu senior partner della J.P Morgan e che partecipò alla riunione del 1910 sull'Isola di Jekill per progettare la futura Federal Reserve Bank).
La connessione con gli Avery è di capitale importanza, come si può vedere dallo schema delle alleanze familiari. Tramite gli Avery, infatti, I Rockefeller si erano imparentati, dal 1806, con i Morgan. Tramite i Davison, invece, dalla fine dell'Ottocento si sarebbero legati ai Behrens - e attraverso di loro, successivamente, ai Rothschild- ai Meyer ed agli Oppenheimer.
John Davison Rockefeller, nel 1863, comprò una raffineria di petrolio nel Cleveland, investendo quattromila dollari. Pochi anni dopo la trasformò nella Standard Oil, in società con Andrews, Flager e Arkness. Ingaggiando una guerra senza quartiere con le società rivali, John riuscì a comprare altre ventidue raffinerie nello stesso Stato, e, di fatto, ottenendo un vero e proprio monopolio nel settore.
Giunto ad esser considerato l'uomo più ricco del mondo, nel 1896 dovette lasciare la direzione della Standard Oil Trust al figlio quartogenito, John Davison Rockefeller jr. (1874-1960), a causa di una grave forma di alopecia, ritirandosi quasi completamente dagli affari pur mantenendo la sua quota di maggioranza.
Nel 1911, in seguito alla sentenza della Corte Suprema che dichiarava illegittimo il monopolio sul petrolio acquisito dalla famiglia - proprietaria, per giunta, anche di importanti miniere di carbone in Colorado - la Standard Oil venne smembrata in ben trentaquattro compagnie, di cui il vecchio John Davison mantenne quote azionarie tali da permettergli di continuare ad esercitarne il controllo totale. Tre anni dopo si consumava il famoso Massacro di Ludlow. Venti persone, tra uomini, donne e bambini, venivano infatti uccisi dalle guardie private delle società di famiglia, Colorado Fuel ed Iron Company, nel corso della feroce repressione di uno sciopero.
Nel 1917 La Standard Oil di Rockefeller finanziò la Rivoluzione Bolscevica, così come ampiamente spiegata nel nostro articolo La Rivoluzione del Kaiser.
Nel 1937 John Davison Rockefeller - che raggiunse il primato di "uomo più ricco della storia", potendo vantare un patrimonio stratosferico, ri-calcolato nel 2007 dalla rivista Forbes (alla luce della svalutazione della moneta e del suo valore attuale), in ben 305,3 miliardi di dollari di oggi: una ricchezza tale da permettergli di determinare, da solo, l'1,5% dell'intero P.I.L. - morì, lasciando al figlio un tesoro inestimabile.
La Disney lo immortalò dando vita ad un personaggio che costituiva la sua caricatura: il ricco papero Rockerduck.
John Davison Rockefeller jr. riuscì ad arricchirsi ancor di più proprio grazie alla Crisi del 1929, speculando sul crollo dei prezzi immobiliari. Grazie a ciò fece ad edificare a New York il Rockefeller Centre, ove aprirono la propria sede centrale gigantesche società come - tra le altre - la General Electric, la NCA, la RCA e, logicamente, la sua Standard Oil.
Nello stesso periodo, pur impegnato in vistose ed imponenti donazioni ed attività di beneficenza, egli cominciò a mettere in piedi la più grande banca del mondo, quella che oggi si chiama JP-Morgan Chase.
Piuttosto in vista fu il terzogenito di John Davison Jr., Nelson Rockefeller (1908-1979), politico molto vicino ad Eisenhower - nominato da quest'ultimo coordinatore per le politiche in America Latina - Più volte Governatore di New York (nelle cui vesti, nel 1971, ordinò la feroce repressione contro i 1200 carcerati in rivolta nella prigione di massima sicurezza di Attica, che causò la morte di quaranta persone), più volte ad una passo dalla Casa Bianca, vicepresidente di Gerald Ford, viene ricordato anche per l'irrefrenabile passione nei confronti delle belle donne, che lo portò ad una vita sentimentale avventurosa e, probabilmente, anche alla morte. Sembra infatti che l'infarto che lo stroncò, a quasi settantuno anni, lo abbia colto mentre si trovava in compagnia di una sua bella e giovane assistente, la ventisettenne Megan Marshak.
Tra i suoi incredibili possedimenti, ricordiamo il Monte Sacro Ranch in Venezuela, le smisurate piantagioni di caffè in Ecuador, le numerose aziende agricole in Brasile, per non parlare del suo immenso appartamento su due piani, composto da trentadue camere, nella Fifth Avenue a New York City (ove sono a servizio ben quindici domestici), la regale residenza Kykuit in Pocantico Hills (e qui di servitori se ne contano addirittura cinquecento, alle prese anche con 1380 ettari di parco e con interminabili corridoi sotterranei pieni zeppi di quadri di Chagall, Picasso, Warhol, Calder, ecc.), o del il suo gigantesco palazzo a Washington, o, ancora, dell'incantevole Parco naturalistico a Seal Harbor, nel Maine.
L'erede vero e proprio di John Davison Jr., però, fu il suo secondogenito, John Davison Rockefeller III (1906-1978), spesso, in passato, in lite con Nelson.
A lui toccò la gestione del patrimonio di famiglia.
Filantropo, impegnato politicamente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al fianco di John Foster Dulles - segretario di Stato di Eisenhower - per ricucire le relazioni internazionali tra USA ed Oriente (soprattutto con Cina e Giappone), fondò importanti istituzioni come il Lincoln Centre (che tuttora ospita la New York Philharmonic e il Metropolitan Opera), o l'Asia Society. Diresse la Rockefeller Foundation dal 1931 al 1970. Come il fratello Nelson fu importante membro della Council on Foreign Relations, discussa e misteriosa organizzazione fondata nel 1921 da Edward Mandell House (politico che esercitò una grande influenza sul Presidente USA Wilson), che da quasi un secolo gioca un ruolo determinante sulla politica estera americana e sulle più importanti decisioni internazionali e che risulta composta dai più importanti banchieri, uomini politici e direttori di giornali statunitensi.
Nel 1932 JDR III aveva sposato Blanchette Ferry Hooker, figlia di Elon Hooker, proprietario della Hooker Electrochemical Company (ora Occidental Petroleum Corporation - OXY, la quarta maggiore compagnia petrolifera americana), che a metà degli anni Settanta fu condannata dalla Corte Suprema ad un risarcimento di centoventinove milioni di dollari per aver sotterrato nel canale artificiale Love Canal, presso le Cascate del Niagara, ventunomila tonnellate di rifiuti tossici nocivi - soprattutto diossina - il cui scorretto smaltimento, che contagiò le falde acquifere della zona, portò alla moltiplicazione di casi di epilessia, leucemia, tumore, ritardi mentali, aborti, in migliaia di residenti e di bambini e ragazzi che per anni avevano frequentato in quel posto le scuole elementari e quelle superiori.
Da Blanchette ebbe tre figlie (Sandra, Hope Aldrich ed Alida) ma soprattutto il solito maschio, a cui trasferire il patrimonio: il primogenito John Davison Rockefeller IV, nato nel 1937.
JDR III Morì in un incidente automobilistico il 10 luglio 1978.
JDR IV, senatore del partito democratico, è stato Segretario di Stato, governatore della West Virginia, collaboratore di Kennedy di con Lyndon Johnson. Ha sostituito lo zio, David Rockefeller, nella carica di Presidente del CFR. Nel 1967 ha sposato Sharon Percy (nata nel 1944), che dal 1985 ricopre la carica di Amministratore delegato della WETA-TV, che cura i notiziari e molti programmi di cultura e informazione per la PBS, principale fornitore di format televisivi della televisione pubblica americana. Sharon è figlia del senatore democratico Charles Percy, Presidente ed Amministratore della Bell & Howell, storico colosso di prodotti tecnologici e multimediali.
In realtà, però, tutto ciò rischia di essere solo fumo negli occhi.
Il vero patriarca di tutti i Rockefeller, infatti, tuttora vivente, è il dodicesimo figlio di JDR Jr., il sopra citato David Rockefeller (nato nel 1915), considerato uno degli uomini più ricchi del mondo, con un patrimonio che, secondo la solita rivista Forbes, supera i due miliardi e mezzo di dollari (anche se l'effettivo patrimonio così come il numero dei trust realmente in suo possesso - per taluni decine di migliaia - resta assolutamente un mistero). Ex direttore della JP Morgan, ne è attualmente il maggiore azionista. Possiede rilevanti quote di moltissimi colossi, come la Exxon Mobil (ex Standard Oil), la General Motors, il New York Museum of Modern Art (il celebre MoMa, che contiene moltissime opere di inestimabile valore, di proprietà dello stesso miliardario), l'Harvard University, l'Americas Society, la Apple e la Rockefeller University. Il 29 maggio 2012 il Financial Times ha diffuso la notizia della vendita, da parte di David, di una cospicua quota azionaria della sua Rockefeller Financial Services alla RIT Capital Partners di Jakob Rothschild, rinsaldando così l'antica alleanza familiare iniziata con il matrimonio dinastico celebrato nel 1957 tra un nipote della baronessa Charlotte Rothschild, Gerald Michael Behrens, e Mireille Mc Cormick, la cui famiglia era imparentata con i Rockefeller dal 1895.
David Rockfeller - grande appassionato di coleotteri, di cui vanta una collezione di oltre 150 mila esemplari - è vedovo dal 1996. Nel 1940 aveva sposato Margaret McGrath (1915-1996), figlia di un importante avvocato di Wall Street.
Margaret (detta Peggy), discendeva da una nobile famiglia irlandese (che riconosce come proprio capostipite nientemeno che Milesius, il leggendario re di Spagna che nel X sec. a.C. conquistò l'Irlanda). Fu Direttrice della società che gestiva la New York Philharmonic Orchestra, nonché ideatrice ed Amministratrice della Maine Coast Heritage Trust, Istituto nato nel 1970 per valorizzare e preservare 66 mila acri di natura incontaminata nel Maine, ove i due coniugi vantavano grandi possedimenti terrieri.
David Rockefeller è stato co-fondatore del Gruppo Bilderberg e della Trilateral Commission nonché Presidente del CFR dal 1970 al 1985 (vedi a tal proposito il saggio Il più grande Crimine di Paolo Barnard su questo stesso sito).
Da molti è considerato uno degli individui che giocano un ruolo importante su buona parte degli eventi internazionali. Il suo impero petrolifero lo mette in grado di esercitare notevoli leve sulla politica estera americana. In particolare, David Rockefeller ha contribuito moltissimo ai buoni rapporti tra l'Iran di Reza Pahlevi (ma anche del dopo Khomeini), e gli USA, risultando determinante, ad esempio, nella soluzione dell'incidente diplomatico scaturito tra Stati Uniti e Iran relativamente agli ostaggi americani bloccati nell'ambasciata USA a Teheran. Un suo intervento, infatti, convinse le autorità iraniane a liberare gli ostaggi la notte del 20 gennaio 1981, lo stesso giorno dell'elezione a Presidente degli United States di Ronald Reagan.
La forte influenza di David Rockefeller su molti avvenimenti storici mondiali è però inversamente proporzionale a quella egli seppe esercitare sui suoi sei figli, alcuni dei quali sono tutt'oggi impegnati in importanti organizzazioni ambientaliste o pacifiste, sin dai tempi del loro coinvolgimento - aspramente condannato dal padre - nelle grandi manifestazioni studentesche di protesta contro la Guerra in Vietnam.
Quale posizione politica assume un uomo come David Rockefeller?
Un giornalista ed attivista coraggioso come Daniel Estulin (nel suo Il club Bilderberg, Arianna Editrice, 2009) - avvalendosi di molte testimonianze importanti come quella del celebre libro free The Rockefeller File di Gary Allen - lo dipinge, incredibilmente, come un convinto seguace del comunismo. Un comunismo, però, che assomiglierebbe molto a quello di Stalin, dato che il suo obiettivo principale consisterebbe nel totale controllo delle masse da parte di un gigantesco monopolio economico finanziario come quello messo insieme dalla sua stessa famiglia. Anche da questo punto di vista, dunque, il ruolo importantissimo giocato dai suoi avi nel finanziamento della Rivoluzione russa risulterebbe molto più coerente di quanto appaia a prima vista.
Il suo obiettivo principale sembra essere la realizzazione di un unica struttura statale sovra-nazionale in grado di controllare il mondo da un punto di vista politico e finanziario e di azzerare qualsiasi forma di concorrenza tra gli attuali - e sempre meno rivali - grandi colossi economici.
Nelle sue Memorie ( Random House Publishing Group, 2003), a pag. 405 così egli stesso si è espresso:
"Qualcuno ancora pensa che facciamo parte di una setta segreta che agisce contro i principali interessi degli Stati Uniti, dipingendo me e la mia famiglia come internazionalisti ed accusandoci di cospirare, con altri soggetti sparsi per il mondo, per costruire una struttura politica ed economica più integrata a livello globale; un "mondo unico", se volete.
Bene, se questa è l'accusa, mi dichiaro colpevole. E ne sono fiero."
LA FAMIGLIA MORGAN
e le famiglie SPENCER, CHURCHILL, PIERPONT, FRICK, CARNEGIE
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
Antichissima famiglia britannica, originaria del Galles, che vanta le sue origini nientemeno che da uno dei figli di Artù, Morgan appunto, il cui nome in cimrico significa "nato dal mare". Un'ottima ed informale ricostruzione della genealogia antica della famiglia è rintracciabile sul sito Morgan Family Genealogy. D'altra parte, se la storicità del personaggio Re Artù sembra ancora un vero cruccio per gli studiosi (vedi ad esempio il n.42 della rivista Storica, National Geographic, agosto 2012), è certo che gli esponenti più importanti della famiglia Morgan occuparono un ruolo di primo piano nella storia britannica ed americana. Da fine Trecento signori di Tredegar e di Killsaint - nella contea gallese di Camarthen, proprio dove, secondo la leggenda, nacque Artù - ottennero importanti riconoscimenti da parte della corona inglese grazie a Sir John Morgan, nominato Cavaliere del Santo Sepolcro a Gerusalemme intorno al 1448. John fu un deciso sostenitore di Enrico Tudor e quando, alla fine della Guerra delle due Rose, quest'ultimo salì al trono come Enrico VII, egli fu subito elevato al rango di Sceriffo (governatore) di Wentloog Newport nonché Lord Steward della contea di Machen. Questi territori erano pieni di giacimenti minerari ed alimentarono notevolmente le ricchezze di famiglia. Nel 1490 John Morgan fece iniziare i lavori della Tredegar House, imponente residenza che - nonostante i successivi rifacimenti - conserva ancora oggi un'ala originaria in pietra. I figli ed i nipoti di John accrebbero le proprietà di famiglia, facendo costruire altri grandi residenze, come il Castello di Pencoed, nella contea di Gwent, voluto dal nipote di John, lo sceriffo e membro del Parlamento inglese Thomas Morgan (1534-1603). Thomas fu - tra l'altro - antenato del leggendario Morgan il Pirata (1635-1688), corsaro, uomo politico e Governatore della Giamaica.
Da metà Seicento i Morgan furono nobilitati col titolo di Lords Tredegar.
Una nipote di Thomas, Elizabeth Morgan (1583-1638), sposò in seconde nozze William II Morgan, che discendeva da un altro ramo della famiglia, meno antico e meno nobile, proveniente dal Glamorganshire. Così i Morgan cominciarono a sposarsi tra loro. Tra i discendenti più illustri di questa unione la Principessa Diana Spencer (1961-1997) - sfortunata moglie del Principe Carlo di Inghilterra - nonché il tredicesimo Presidente degli Stati Uniti Millard Filmore (1800-1874), l'attore Humphrey Bogart (1899-1957), ma soprattutto il leggendario banchiere John Pierpont Morgan (1837-1913).
Dal 1792 i Morgan sarebbero diventati Baronetti, poi Baroni e, dal 1905, Visconti. In quell'anno, in realtà, il ramo inglese maschile della dinastia si sarebbe estinto con la morte di John Morgan (1741-1792). Sir Charles Gould (1726-1806), nobile parlamentare e giudice, acerrimo rivale di William Pitt, avrebbe sposato la sorella di John, Jane Morgan, acquisendone il cognome, ottenendo l'intero patrimonio della famiglia e diventando così uno degli uomini più ricchi di Inghilterra (vantando una rendita annuale di circa 11.000 sterline).
Ma procediamo con calma. I tre figli di Elizabeth e William II - a causa della difficile situazione in cui si trovava l'aristocrazia inglese, che di lì a poco sarebbe stata sconfitta dalla Rivoluzione di Oliver Cromwell (1599-1658) - emigrarono in America partendo da Bristol nel 1636. Tra loro c'era il famoso eroe Miles Morgan (1616-1699), che durante la traversata si innamorò della giovane Prudence Gilbert (1616-1660), discendente dalla nobile ed antica famiglia dei Gilbert, che poteva vantare illustri esponenti come Sir Humphrey Gilbert (1539-1583), importante membro del Parlamento inglese ed esploratore (conquistatore dell'isola di Terranova), al servizio della Regina Elisabetta.
Miles e Prudence sbarcarono a Boston e si stabilirono nel Massachussets, ove Miles - dopo aver partecipato a diverse spedizioni militari contro gli indiani agli ordini del generale William Pynchon (1590-1662), di cui divenne presto comandante in seconda - acquisì per meriti di guerra e attraverso diversi acquisti molte terre, facendo edificare un fortino sulle rive del fiume Conecticut, in quella che sarebbe diventata la città di Springfield. Rimasto vedovo nel 1660 di Prudence (che gli aveva dato ben nove figli), sposò Elizabeth Bliss, da cui ebbe ancora un figlio, Nathaniel Morgan (1671-1752).
Il fortino di Miles fu attaccato dai nativi nel 1675. Gli inglesi lo difesero eroicamente e Miles - che in quella battaglia perse un figlio, il venticinquenne Pelatiah - si guadagnò la nomea di eroe, immortalato con una celebre statua in bronzo, che ancora oggi campeggia nella Piazza del Tribunale di Springfield. L'attacco di Springfield fu un momento molto cruento e drammatico della cosiddetta Guerra di re Filippo, e portò ad una grave rottura dei rapporti tra nativi e coloni inglesi, sfociata nel conseguente massacro di più dell'ottanta per cento degli indiani d'America.
LA FAMIGLIA ROOSEVELT
e le famiglie DELANO, COOLIDGE e ASTOR
Pietro Ratto, 3 gennaio 2012
Antica famiglia olandese, il cui capostipite Claes Martenszen Van Rosenvelt (1626-1679) approdò nell'agosto 1649 a New York (all'epoca Nieuw Amsterdam, città fondata appunto dagli olandesi nel 1625). Claes arrivò nel Nuovo Mondo con la moglie, Jannetje Samuel-Thomas, e i due ebbero cinque figli. Un pronipote di Claes, Isaak Rosenvelt (1726-1789) - ma il cognome di famiglia era stato ormai americanizzato in Roosevelt - fu uno dei più importanti eroi della Rivoluzione americana. Di sangue quasi completamente germanico - tre dei quattro bisnonni di Isaak erano infatti tedeschi - aveva aperto una delle primissime raffinerie di zucchero di New York, in una bottega dell'antica Wall Street, all'epoca ancora chiamata Waal Straat, in perfetto olandese. Dopo la Guerra di Indipendenza, Isaak prese parte, insieme a Padri Fondatori come George Clinton e Alexander Hamilton, alla Convenzione di Poughkeepsie del 1788, che ratificò la Costituzione degli Stati Uniti. Quattro anni prima, nel 1784, grazie ai suoi notevoli guadagni aveva fondato la New York Bank proprio insieme ad Alexander Hamilton (1755-1804), Ministro del tesoro di George Washigton. Isaak, senatore dello Stato di New York, dal 1752 era sposato con Cornelia Hoffman, figlia di Martin Hofman, importante proprietario terriero di origini svedesi il cui pro-prozio Hans Hopman (1630-1690), aveva fatto parte della spedizione dei seicento svedesi che alla fine degli anni Trenta del XVII Secolo avevano fondato la Nuova Svezia nella Baia di Delaware. Hopman aveva acquistato l'attuale territorio del Gloucester County nel 1649, lo stesso anno dello sbarco in america dei Roosevelt, riuscendo a mantenerne il possesso nonostante la successiva conquista della colonia da parte degli Olandesi. Il nonno di Cornelia, (Jakob Hofman), era stato uno primi Custodi della Chiesa luterana svedese in America.
Il fratello maggiore di Isaak, Johannes Roosevelt, più vecchio di undici anni, fu il quadrisavolo (nonno del nonno) di Theodore Roosevelt (1858-1901), venticinquesimo Presidente degli Stati Uniti, il cui ritratto figura tra i quattro scolpiti sul monte Rushmore.
Isaak, dal canto suo, ebbe da Cornelia ben dieci figli, il maggiore dei quali, James Roosevelt (1760-1847), sarebbe stato il nonno di Sr. James Roosevelt (1828-1900), padre di Franklin Delano Roosevelt, trentaduesimo Presidente USA.
Sr. James Roosevelt era figlio di Isaak Roosevelt (1790-1863) e Mary Aspinwall, una discendente dell'oscuro Giudice ed Inquisitore del Massachussets William Stoughton (1631-1701), tristemente famoso per aver presieduto i Processi alle Streghe di Salem (1692) che portarono alla morte di venti persone (diciannove donne giustiziate per stregoneria ed un uomo rimasto ucciso durante le torture subite), in un clima di isterismo collettivo tale da indurre i Giudici a considerare testimonianze probanti anche quelle di chi, semplicemente, sosteneva che le imputate gli fossero apparse in sogno.
James Roosevelt, in seconde nozze, sposò nel 1880 Sara Delano, figlia di un ricco commerciante che aveva fatto fortuna in Cina ma, soprattutto, discendente di una delle più nobili stirpi della Terra. L'antico e originario nome dei Delano, infatti, era De Lannoy, famiglia che nel Medio Evo era al servizio dei Duchi di Borgogna. Il Cavaliere Philippe De Lannoy (1487-1543) - Signore di Molembaix e pronipote di quel Baldovino De Lannoy (1388-1474) ritratto dal grande pittore fiammingo Van Eyck - sposò nel 1508 Margherita di Borgogna (1489-1511), figlia di Baldovino di Borgogna (1445-1508), un fratello illegittimo del Duca Carlo il Temerario (1433-1477). I De Lannoy si imparentarono così con i Valois ed i Capetingi, il cui sangue scorreva nelle vene dei Principi borgognoni. Ma le parentele illustri dei futuri Delano andavano ben oltre. La cugina di Margherita, infatti - l'ormai defunta Maria di Borgogna (1457-1482), unica figlia legittima di Carlo il Temerario nonché nipote del Re d'Inghilterra Edoardo VI - era stata Moglie dell'Imperatore Massimiliano d'Asburgo (1459-1519) e madre di Filippo I Il Bello (1478-1506), i cui figli sarebbero saliti sui troni di Portogallo, Danimarca, Francia, Spagna e Impero. E non basta: la stirpe dei Lannoy era ancora più antica.
Originariamente il loro casato era quello dei Marchesi di Franchimont. Hellin de Franchimont - di cui sappiamo che nacque nel 1225 e che fu nipote del capostipite Arnoulfe de Franchimont, nato nel 1139 - aveva sposato Agnese di Baviera (1229-1267) nientemeno che la figlia di Otto II di Wittelsbach, Duca di Baviera. Il nipote di Hellin fu Hugues de Lannoy (nato nel 1288), da cui discesero tutti i nobili della famiglia, incluso Hugues III de Lannoy (1384-1456), Cavaliere del Toson (o Vello) d'Oro (uno dei più elevati cavalierati del mondo, che raccolse la più alta nobiltà europea) e primo Statolder di Olanda e Zelanda.
Nel 1621, Philippe de Lannoy (1602-1681), un nobile discendente della dinastia trasferitosi in Inghilterra a causa della sua fede protestante (sembra infatti che suo nonno Guilbert de Lannoy di Tourcoing - anch'egli Signore di Molembaix nonché nipote del suddetto Philippe imparentatosi con i Duchi di Borgogna - sia stato uno dei primi ugonotti), salì a bordo della nave Fortune - giunta a Plymouth l'anno successivo rispetto alla celeberrima Mayflower - trasferendosi nel Nuovo Mondo ed americanizzando il proprio cognome in Delano. Un nipote dell'immigrato Philippe, Jonathan Delano (1675-1765), fu padre del quadrisavolo del trentesimo Presidente USA Calvin Coolidge (1872-1933). D'altra parte i Presidenti americani imparentati con i Delano non finiscono qui. Il primo immigrante a bordo del Mayflower che mise piede a Plymouth, il futuro Tesoriere della colonia John Alden, sarebbe stato il trisnonno del secondo Presidente USA, John Adams (1735-1826). Una delle sue figlie, Rebecca Alden, sposò il figlio di Philippe Delano, Thomas, futuro pro-prozio del suddetto Presidente degli Stati Uniti, ma anche pro-pro-prozio del figlio, John Quincy Adams (1767-1848), anch'egli Presidente americano, succeduto a James Monroe¹.
(1) Per una genealogia di Francis Delano Roosevelt, vedi anche FDR Library mentre per l'antichissima dinastia dei De Lannoy vedi il sito di genealogia Ancestry.com, Per il collegamento tra i Delano ed i Coolidge vedi lo studio del New England Historic Genealogical Society