Una Chiesa a tutti i costi

Pietro Ratto, 18 febbraio 2013 (e successivi aggiornamenti)

Il 31 maggio 1871 il neonato Stato italiano approvava la famosa Legge delle Guarentigie. In preda ai sensi di colpa per l'annessione del Lazio da parte della monarchia dei Savoia, il Parlamento italiano cercava così di porre rimedio a quella che per molti era una conquista scandalosa, con una serie di "garanzie" atte a tutelare quei diritti che Pio IX reputava irrimediabilmente usurpati e che, in qualche modo, andavano comunque riconosciuti all'ultimo Papa Re. L'articolo 4 di questa nuova legge, in particolare, riconosceva al Pontefice un contributo annuale di 3 milioni e 225 mila lire che, in pratica, andavano a coprire la spesa che ogni anno l'ex Stato Pontificio sosteneva per mantenere la corte papale. Lo sdegnoso rifiuto con cui tale Legge fu accolta da Papa Mastai Ferretti - riassunto nel testo dell'enciclica Ubi Nos (che due settimane prima dell'approvazione del suddetto atto legislativo si affrettava a sottolineare l'inscindibilità del potere spirituale da quello temporale) e nella celebre formula Non expedit con cui, tre anni dopo, Pio IX vietava ai fedeli la partecipazione alla vita politica italiana - è cosa ben nota a tutti.

Nonostante i Papi successivi si siano adoperati ad attenuare progressivamente questo boicottaggio, ufficialmente l'atteggiamento di sostanziale non riconoscimento della neonata Italia si protrasse fino al ventennio fascista.

 

Fu infatti il Duce, l'11 febbraio 1929, il primo ad ottenere una regolamentazione dei rapporti tra i due Stati attraverso i famosi Patti Lateranensi, firmati proprio il giorno in cui ricorreva il settantunesimo anniversario dell'apparizione della Madonna a Lourdes. Costituiti da tre accordi ben precisi (un Trattato internazionale che di fatto sanciva la nascita del nuovo Stato della Città del Vaticano sulla scena internazionale, un Concordato che stabiliva i rapporti futuri tra la nuova nazione e lo Stato Italiano ed una Convenzione finanziaria che affrontava il problema delle relazioni tra Italia e Vaticano dal punto di vista prettamente economico), questi accordi servivano alla Chiesa per chiudere i conti con la nostra nazione ed al Duce per ingraziarsi la componente cattolica del Paese, la stragrande maggioranza dei cittadini italiani, in vista dell'imminente Plebiscito del mese successivo, con cui egli avrebbe dimostrato al mondo intero come il popolo fosse tutto dalla sua parte.

La Convenzione è la parte dei Patti che ci interessa maggiormente. Il 13 maggio 1929 Mussolini faticò non poco, nel suo lunghissimo discorso alla Camera, per convincere i suoi colleghi circa l'opportunità di firmare questi accordi e, soprattutto, di esporre la casse dello Stato ad un tale salasso.

In effetti l'art. 1 della suddetta Convenzione stabiliva che l'Italia avrebbe corrisposto, a titolo di risarcimento per tutte le annualità stabilite dalla Legge del 1871 ma mai effettivamente riscosse dalla Santa Sede, 750 milioni di lire in contanti più un ulteriore miliardo in Titoli di Stato al tasso di interesse del 5% con cedola al 30 giugno di ogni anno.

La cifra era davvero enorme e difficile da giustificare, anche solo per il fatto che il motivo per cui il Vaticano non aveva ricevuto fino a quel momento il rimborso previsto quasi sessant'anni prima come guarentigia, andava cercato unicamente nel rifiuto dei vari Papi nei confronti di ciò che, per principio, reputavano un contentino. Inoltre, a conti fatti, il "debito" accumulato nei confronti del Vaticano - a causa della sua prescrizione via via accumulatasi - corrispondeva ormai, più o meno, ad un centesimo della somma stabilita dalla Convenzione. Già, era una cifra enorme. Al giorno d'oggi, secondo l'ISTAT, equivarrebbe a circa un miliardo e mezzo di euro, ma quella del Duce era un'epoca in cui un impiegato guadagnava 200-300 lire al mese. Tenendo conto di questo dato, la cifra pattuita in quel lontano 11 febbraio tra Monsignor Gasparri (che una volta siglato l'accordo scoppiò in un pianto di gioia) e Benito Mussolini (visibilmente accigliato e preoccupato dell'inaspettata presenza dell'Istituto Luce, i cui filmati il Duce volle poi visionare e correggere accuratamente prima della divulgazione), potrebbe corrispondere a cinque/sei miliardi di euro attuali.

Alla Camera il Duce spiegò: "I  provvedimenti che si stanno predisponendo presso il ministero delle  Finanze sono tali che si potrà far fronte agli impegni assunti senza aumentare il debito pubblico e senza ricorrere al mercato. Vi spiego come. Quanto al miliardo di titoli del debito pubblico 5% al portatore il Governo, mediante un'operazione di Tesoro, si farà cedere i  titoli stessi dalla Cassa depositi e prestiti, che ne ha dei mucchi e che li preleverà dalle proprie disponibilità patrimoniali senza menomamente toccare né le riserve, né il patrimonio dei diversi istituti da essa amministrati. Lo Stato, a sua volta, si obbliga, ciò che costituisce la maggiore delle garanzie, a restituirli alla Cassa medesima in un periodo non superiore ad un decennio, con l'acquistarne sul mercato per non meno di 100 milioni all'anno di valore nominale. A tale scopo, nel bilancio dell'esercizio prossimo e dei successivi, sarà stanziata la somma occorrente sia per gli acquisti, sia per gli interessi corrispondenti delle relative cedole semestrali, per l'ammontare nel primo anno di 50 milioni, per decrescere poi di cinque milioni all'anno." In realtà la Cassa Depositi e Prestiti - istituto finanziario nato nel 1850 con il compito di raccogliere risparmi privati per finanziare Enti pubblici, che negli ultimi cinque anni aveva cominciato ad emettere i famosi Buoni fruttiferi postali - emise subito uno speciale certificato, firmato dal Ministro delle Finanze Antonio Mosconi, da cui progressivamente venivano detratti i valori nominali dei titoli pian piano restituiti dal Governo. In realtà, però, Mussolini non riuscì a restituire alla Cassa più di 210 milioni di lire. I restanti 790, come previsto da molti, finirono nel Gran Libro del Debito Pubblico sotto la voce Prestito del Littorio. Quest'ultimo era in realtà un nuovo titolo del Debito Consolidato creato ad hoc nel 1926 per limitare i danni della famosa operazione propagandistica Quota 90 con cui il Duce riuscì a rivalutare la lira riportandola ai livelli di cambio con la sterlina a cui si trovava nel 1914. In questo titolo erano confluiti "15.209 milioni di B.O.T." quasi in scadenza, "1.148 milioni di B.T.P. quinquennali e 4.000 milioni di B.T.P. settennali, per un totale di 20.357 milioni che, in virtù dei prezzi di conversione per i vari tipi di titoli citati e dei versamenti in contanti per circa 3,5 miliardi di lire, avevano portato le sottoscrizioni del prestito ad oltrepassare i 27,5 miliardi" la cui scadenza era stata incredibilmente prorogata e stabilita d'imperio all'anno 1956. Una conversione forzosa che era stata stabilita con Decreto Legge ed accolta senza particolari proteste da parte dell'opinione pubblica perché "interpretata come un sacrificio chiesto al risparmio privato per concorrere al salvataggio della lira e quindi delle pubbliche finanze, nella previsione che i costi immediati dell'operazione saranno poi compensati dai vantaggi che essa assicurerà in futuro".¹

Insomma, quei 790 milioni lo Stato non era riuscito a restituirli più alla Cassa, seppur regolarmente incassati dalla Santa Sede.

Come sono stati investiti dal Vaticano i soldi del Duce? Soltanto a titolo di esempio, da un articolo del Guardian del 22 gennaio 2013, ripreso lo stesso giorno da Repubblica, risulta che attualmente, tramite il ricorso ad una società off-shore (che amministra 650 milioni di euro) chiamata British Grolux Investment - società di cui il Guardian non è in alcun modo riuscito a scoprire l'effettivo titolare ma che vanta come principali azionisti (rigorosamente cattolici) l'Amministratore delegato della Barclays Bank John Varley e l'ex responsabile della Leopold Joseph RobinHerbert - il Vaticano gestisca un impero immobiliare a Londra (ma ce ne sono altri a Parigi, a Coventry e, logicamente, in Italia. Basti pensare che il 20% degli immobili presenti nella nostra penisola sono di proprietà del clero), costruito proprio con i fondi ottenuti dai Patti Lateranensi. Impero che, per quanto concerne la capitale britannica, comprende edifici di gran valore come quello che ospita la ricchissima Banca d'investimento Altium Capital o il lussuosissimo locale di Bond Street in cui si trova la famosa gioielleria Bulgari. Ma c'è di più. La società off-shore sarebbe nata dalla fusione di altre due, controllate dalla svizzera Profima, che attualmente ha sede presso la Banca JP Morgan di New York e che, a sorpresa, risulta gestita dal Vaticano già dagli anni Quaranta, proprio per investire al meglio la montagna di denaro consegnata alla Chiesa da Mussolini. La cosa non è di poco conto, dato che i servizi segreti britannici, durante la Seconda Guerra mondiale, avevano formalmente accusato la Profima di "attività ostile agli interessi degli Alleati". Nel mirino degli 007 britannici dell'epoca, l'avvocato Bernardino Nogara, chiamato dallo stesso Pio XI ad amministrare ed investire i soldi regalati dal Duce, accusato di accaparrare quote azionarie di banche italiane per riciclare denaro dietro il paravento di una banca che risultava svizzera e, quindi, neutrale rispetto al conflitto. (A tal proposito si veda anche l'approfondimento dell'UAAR)

 

Tornando ai fatti, le regalie economiche nei confronti della Santa Sede non finivano qui. Con l'art.6 del Trattato il Duce si impegnava a fornire al Vaticano un'adeguata dotazione di acqua in proprietà. Impegno, questo, che i Papi avrebbero preso molto sul serio, dato che dalla sua nascita ad oggi la Città del Vaticano non ha mai pagato la bolletta dell'acqua e l' ACEA, la società che dal 1937 gestisce l'acquedotto romano, da subito si è trovata a vantare un credito di milioni e milioni nei confronti dello Stato Pontificio. Pur realizzando consumi idrici annuali da favola (qualcosa come 5 milioni di metri cubi - ma il dato è in crescita di anno in anno - che, ripartiti sui circa ottocento abitanti del mini-Stato costituiscono un consumo pro-capite che è quarantuno volte quello italiano), il Vaticano lascia tranquillamente l'Italia nell'imbarazzo di dover coprire periodicamente il proprio consumo d'acqua. Nel '99, l'anno del passaggio dell' ACEA da municipalizzata a SpA, era toccato al Governo D'Alema sborsare 44 miliardi di lire per coprire il buco. Il versamento successivo all' ACEA fu fatto dal Governo Berlusconi nel 2004-5, per un totale di 25 milioni di euro. E non basta. Fino al 2005 lo Stato della Chiesa non aveva mai provveduto a dotarsi nemmeno di un impianto di depurazione, rovesciando i suoi scarichi direttamente nel Tevere. Per questo motivo, contestualmente, Berlusconi provvide a far costruire l'impianto necessario con ulteriore esborso di 4 milioni di euro (Cfr. DM 23 aprile 2004). Soldi che, naturalmente, la Città del Vaticano non ha mai restituito ed a cui, dal 2005 in poi, si sommano anche le spese annuali di depurazione, anch'esse spudoratamente lasciate alle finanze italiane.

L'art 6 del Trattato del 1929 prevedeva inoltre la costruzione, naturalmente sempre a spese dell'Italia, di una stazione ferroviaria vaticana e la realizzazione di tutti i collegamenti telefonici e telegrafici di Santa Romana Chiesa con gli altri Stati. Il tutto entro un anno dall'entrata in vigore dell'accordo stesso.

Incredibilmente, infine, l'art. 30 riconfermava il pagamento della congrua, lo stipendio riconosciuto a tutti gli ecclesiastici dalla Legge 3036 del 1866, che aveva istituito appositamente un Fondo per il Culto (attivo ancora oggi, con il nome di Fondo per gli Edifici di Culto, attualmente gestito dal Ministero degli Interni e più volte nel mirino della magistratura a causa di una gestione spesso non immune da corruzione), proprio in risarcimento di tutti i beni ecclesiastici via via confiscati dall'Italia al Papa. Risarcimento, come abbiamo visto, ampiamente coperto dalla somma contestualmente prevista dalla Convenzione.

 

Quando il fascismo cadde, la nuova Repubblica italiana uscita dalla Seconda Guerra mondiale e dal discusso Referendum Istituzionale del 2 giugno 1946 sentì il bisogno di riconfermare i Patti stipulati da quello stesso Mussolini contro cui era nata, con l'approvazione di tutti gli schieramenti politici, incluso il PCI di Palmiro Togliatti. L'incomprensibile posizione assunta dall'apparentemente anticlericale e - per antonomasia - antifascista Partito Comunista si spiega alla luce del millenario connubio tra l'Italia ed il Cattolicesimo che, evidentemente, non risparmia nessuna ideologia e nessuna forza politica. Di fatto, la riconferma dei Patti Lateranensi prevista dall'art.7 della Costituzione italiana aveva uno scopo ben preciso. Blindare definitivamente gli accordi con la Chiesa in modo da evitare qualsiasi rischio di abrogazione per iniziativa popolare. Come si sa, infatti, nessun referendum può venire accolto nei confronti della nostra Costituzione. L'art. 7 prevede infatti che l'unica forma di modifica degli accordi del 1929 debba venir accettata da ambo le parti in causa. Dunque non può che esser frutto di una concertazione tra i due Stati che, di fatto, taglia fuori la volontà diretta del popolo italiano. Ciò venne chiarito una volta per tutte da una sentenza del 1978 della stessa Corte Costituzionale.

 

Il meccanismo dell'otto per mille

In effetti le cose rimasero come ai tempi del Duce fino al 1984, quando il socialista Bettino Craxi, Presidente del Consiglio dall'anno precedente, convocò i rappresentanti della Santa Sede per rinegoziare i Patti. Tra le varie modifiche, dal punto di vista economico spiccava la sostituzione della congrua con il nuovo meccanismo dell' 8 per mille elaborato da Giulio Tremonti. Tale dispositivo prevede all'art. 47 che ogni contribuente possa devolvere l'8 per mille del proprio gettito fiscale alla Chiesa Cattolica - e negli anni successivi, grazie a successivi accordi con altre confessioni religiose, anche all'Assemblea di Dio, a Metodisti e Valdesi, alla Chiesa Luterana ed alle Comunità ebraiche, anche se importanti religioni come l'islamismo restano assolutamente fuori dalla rosa di quelle "finanziabili", mentre Buddisti, Induisti e  Testimoni di Geova sono riusciti ad entrare nel giro solo nel 2014, dopo una quindicina d'anni di attesa - oppure allo Stato italiano. Il contribuente può anche non esprimere alcuna scelta, ma in questo caso il suo 8 per mille verrà comunque ripartito tra le varie confessioni religiose previste, secondo la percentuale di preferenze accordate da chi ha invece effettuato una scelta. In sintesi, per quanto solo il 42% degli italiani che pagano le tasse esprima una preferenza precisa nei confronti di una certa chiesa, dato che l'89% di questi dichiara la propria volontà di devolvere il proprio 8 per mille alla chiesa cattolica, l'89% dell'8 per mille dell'intero gettito fiscale nazionale finisce in Vaticano.

Questo meccanismo perverso, da molti ritenuto una truffa, lascerebbe se non altro fuori da questa ripartizione ben poco imparziale l'8 per mille di chi ha dichiarato espressamente la propria volontà di devolverlo allo Stato. Ma nel 2009 è trapelato che anche questa porzione di gettito verrebbe spesa per la manutenzione degli edifici di culto cattolico². Per non parlare dell'uso ancor più "disinvolto" e silenzioso (da notare, infatti, come i vari Governi non osino mai incoraggiare o sponsorizzare questo tipo di scelta), delle quote destinate allo Stato. Fu infatti Enrico Letta, in qualità di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, a denunciare nel 2006 l'impiego di centinaia di milioni di contributi - ufficialmente da destinare ad opere umanitarie come "interventi per la fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati e conservazione dei beni culturali" - utilizzati invece per finanziare le operazioni militari italiane in Iraq. Lo stesso Letta che poi, in veste di Presidente del Consiglio, utilizzò trentacinque milioni dell'ultimo gettito destinato dai contribuenti allo Stato nientemeno che per sbloccare i pagamenti delle imprese che vantavano debiti nei confronti dell'Amministrazione pubblica. Più altri venti milioni spesi in incentivi per il risparmio energetico.

Dal 2014 la destinazione ufficiale di questo tipo di gettito è stata aggiornata e allargata anche alle opere di edilizia scolastica.

Quanto alla quota che annualmente finisce nelle casse del Vaticano (tra l'altro con tre/quattro anni di ritardo: il gettito 2012, ad esempio, è stato  distribuito alle varie confessioni nel 2015), va sottolineato che nel 2010 si è oltrepassata la soglia del miliardo di euro. In pratica la Chiesa Cattolica percepisce ogni anno quasi quanto stabilito dalla Convenzione del 1929 per coprire i precedenti sessant'anni di cosiddetto "debito".

Sono sufficienti questi soldi a coprire le spese del Vaticano, la retribuzione del clero, ecc?

La tabella sottostante mostra  l'effettivo costo degli stipendi di tutti i vescovi e cardinali del mondo (mantenuti dallo Stato italiano) e di quello dei sacerdoti residenti in Italia.

Il reddito annuale degli ecclesiastici

Vedi anche Claudio Rendina, La santa casta della Chiesa, Roma, Newton Compton, 2009, p. 241. Quanto ai sacerdoti, lo stipendio dipende dall’anzianità, dal numero di parrocchiani (al parroco viene riconosciuto un contributo di euro 0.07 per parrocchiano, al vice-parroco un contributo di 0,036), ecc. Il dato va calcolato tenendo conto dell’età media dei preti, costantemente in crescita.

 

Il gettito complessivo nazionale dell'8 per mille sembra coprire in gran parte le spese di mantenimento del clero, destinando una cifra pari circa al 27% per spese di altra natura (quelle riservate ad esempio a malati, a poveri e al Terzo Mondo richiamate dalla propaganda vaticana diffusa annualmente in Italia nelle settimane precedenti la data di scadenza di presentazione della Dichiarazione dei Redditi).

In realtà, però, questo miliardo di euro non è che una piccola percentuale dei soldi pubblici che finiscono nelle casse del Vaticano.

Ecco un provvisorio elenco delle effettive spese sostenute annualmente dall'Italia in favore della Città del Vaticano. 

Spese (o mancate entrate) per lo Stato italiano

Dati in euro relativi all’anno 2010

Si veda a tal proposito il testo dell' inchiesta di Paolo Mondani, intitolata Il Boccone del prete, Report, puntata del 30 maggio 2010.

Quanto al dato sull'IMU, per quanto non risulti calcolabile con precisione, viene rapportato alla precedente Tassa sugli immobili tenendo conto della recente rilevazione Confesercenti che - relativamente all’IMU 2012 - ha calcolato per le imprese italiane un aumento del 49, 4 % rispetto appunto alla vecchia ICI.

 

Tale conteggio, però, non tiene conto di tutti i finanziamenti statali a scuole ed enti religiosi, considerando i quali, secondo l' UAAR si arriverebbe a superare quota 6 miliardi e 277 milioni di euro.

E' appena il caso di far notare che uno Stato realmente laico devolverebbe questi soldi ai propri cittadini disoccupati o colpiti da calamità naturali, come nel caso del terremoto de L'Aquila, ad esempio.

Una catastrofe i cui danni - stimati in circa 2,5 miliardi di euro - potrebbero venir prontamente risarciti con circa un terzo di quanto lo Stato italiano spende per la Chiesa in un solo anno³.

Circa le novità del Concordato del 1984 va detto infine che esso prevede anche che l'insegnamento della Religione Cattolica passi da obbligatorio a facoltativo, istituendo l'ora alternativa a quella di religione per tutti gli studenti interessati. Ebbene, a parte il fatto che tale opzione fatica ancora oggi ad essere attivata nelle scuole italiane proprio per evitare di far perdere posti di lavoro agli insegnanti IRC (acronimo che, si badi bene, sta per Insegnamento della Religione Cattolica, stando quindi a significare che il relativo programma ministeriale - per altro stabilito dalla Chiesa - prevede esclusivamente lo studio della dottrina cattolica e che, di conseguenza, i docenti di religione che decidano di includere nei loro programmi didattici anche riferimenti ad altre confessioni religiose lo facciano di propria iniziativa), va sottolineato che i circa venticinquemila docenti italiani che attualmente insegnano Religione nelle scuole, selezionati e formati dalla Chiesa, vengono comunque assunti e pagati dallo Stato italiano, su precisa indicazione delle Curie.

L'euro vaticano

Un capitolo a parte è quello del conio dell'euro da parte della Città del Vaticano. Come è noto, il più piccolo Stato della Terra non fa parte dell'Unione europea ma ha assunto ugualmente l'euro-valuta sul suo territorio.

Ciò, grazie alla Convenzione monetaria tra Repubblica italiana (in rappresentanza dell'UE) e Città del Vaticano, del 29 dicembre 2000. Convenzione che, di fatto, sostituisce i precedenti accordi stipulati tra i due Paesi nel 1991.

In base a questo patto, lo Stato "extracomunitario" del Vaticano utilizza l'euro nel suo territorio, conferendogli valore legale. Ma le incongruenze non finiscono qui. Il conio della quantità di banconote e monete necessarie allo Stato del papa (comunicato alla nostra nazione ogni anno entro il 1 settembre), viene sostenuto dall'Istituto Poligrafico e zecca dello Stato italiano in osservanza di un massimale annuo - inizialmente fissato a 670 mila euro - che, in base alla successiva Convenzione di Bruxelles del 2009, prevede una parte fissa (rivalutata in due milioni e trecentomila euro per l'anno 2010), ed una parte variabile corrispondente al numero medio di monete annualmente emesse pro capite dallo Stato italiano, moltiplicato per il numero dei cittadini del Vaticano.

Nessuna spesa risulta però a carico della Città del Vaticano per questo servizio della zecca italiana, che in tal modo sosterrebbe per questo Stato straniero sia i costi di conio sia il relativo indebitamento nei confronti della BCE, così come previsto in generale per ogni nuova emissione di moneta da parte di uno Stato membro dell'UE.

 

 Il Fondo Pensione per il Clero. Un buco da 2,2 miliardi di euro

Dal 1961 i contribuenti italiani pagano al Clero anche la pensione di invalidità e di anzianità. Fino al 1973 il fondo per i sacerdoti cattolici e quello per i religiosi di altre confessioni erano diversi e previsti da due leggi distinte (la 579 e la 580, entrambe del 5 luglio 1961). Tali fondi sono stati unificati nel 1973 con la legge 903 del 22 12.1973.

 

La legge 579 del 1961 prevedeva che i requisiti per poter accedere alla pensione di anzianità fossero un minimo di dieci anni di contributi (180 mila lire all’anno, mentre per l’invalidità ne bastavano 30.320) ed il raggiungimento dei 70 anni di età. Il sacerdote iscritto al fondo che però compiva settant’anni prima del decennio di contributi (e prima del quinquennio, per la pensione di invalidità), poteva comunque ottenere una minima di 180 mila lire annue. La pensione era costituita da un assegno di 180 mila lire all’anno più altre 12 mila per ogni anno di contribuzione oltre il decimo. La cifra massima prevista era di lire 480 mila annue (lo stipendio mensile medio di un operaio era a quel tempo di circa 45 mila lire). La legge stabiliva che lo Stato concorresse al Fondo con complessivi 1 miliardo e 250 milioni di lire annui.

La legge 580 del 1961, destinata ai sacerdoti non cattolici, prevedeva le stesse condizioni, a parte una drastica riduzione del contributo dello Stato al fondo, previsto in complessivi 12 milioni e mezzo. Esattamente un centesimo di quanto stanziato per il clero cattolico.

La legge 903 del 1973, invece, unificava le condizioni per i due tipi di clero e abbassava l’età pensionabile a 65 anni. Aumentava il contributo annuale a quota 416 mila lire per l’anzianità e a quota 75.600 lire per l’invalidità, riconoscendo quest’ultima con un minimo di cinque anni di contribuzione e mantenendo l’obbligo dei dieci contributi per la pensione di anzianità. Prevedeva una “minima” di anzianità di 416 mila lire, e di invalidità di 455 mila lire, annue.

La pensione era costituita da un assegno di 455 mila lire all’anno (per l’invalidità) e di lire 416 mila annue (per l’anzianità), più altre 18.200 lire per ogni anno di contribuzione oltre il decimo in entrambi i casi. Non erano previste soglie massime (lo stipendio mensile medio di un operaio era a quel tempo di circa 150 mila lire). La legge stabiliva che lo Stato concorresse al Fondo con complessivi 3 miliardi e 224,5 milioni di lire annui. Le novità erano relative alla reversibilità, riconosciuta ai “superstiti", e il versamento delle suddette pensioni anche ai sacerdoti ridotti allo stato laicale.

La legge 488 del 23.12.1999 integrava di ulteriori 800 mila lire i contributi annuali e prevedeva per la pensione di vecchiaia un minimo di 20 anni di contributi e il raggiungimento dei 68 anni di età (65 anni per i sacerdoti che vantassero 40 o più contributi annuali). Estendeva il fondo a sacerdoti senza cittadinanza italiana presenti in Italia al servizio di diocesi del nostro Paese. Stabiliva inoltre che dal 1 gennaio 2000 fosse ordinato con il sistema tecnico-finanziario a ripartizione.

Con Decreto 28 luglio 2014 il Governo ha fissato ad euro 1699,92 il contributo annuale dovuto dai sacerdoti.

La gestione, dal 1961 ad oggi è sempre stata in crescente passivo. Attualmente (dati 2015) lo squilibrio tra i contributi versati e le prestazioni riconosciute dallo Stato è di 1 a 3. Il disavanzo attuale, a carico dello Stato, è di circa 2,2 miliardi di euro nonostante i 7 milioni e 924 mila euro che i fondi pubblici iniettano annualmente nel Fondo. Il Ministro del Lavoro Poletti, nel marzo 2016, ha ammesso il “buco” sostenendo però di non voler apporre alcuna modifica al sistema vigente.

La questione dell'insegnamento della Religione ed i rapporti tra Chiesa e Scuola Statale.

Il caso INValSI

Se la Legge Casati del 1859 prevedeva l'obbligatorietà dell'insegnamento della Religione Cattolica soltanto per le prime due classi della Scuola elementare (da parte di un Maestro unico che insegnava anche tutte le altre discipline), una legge del 1860 ne estendeva per ovvie ragioni l'obbligatorietà agli studenti delle Scuole magistrali. La successiva Riforma Coppino sminuiva l'importanza dell'insegnamento religioso rispetto a quella delle altre materie e, in seguito alla presa di Roma, l'insegnamento del cattolicesimo diveniva disciplina da impartirsi solo nei confronti degli studenti i cui genitori ne avessero fatto esplicita richiesta. Il Regno d'Italia, per giunta, decideva di sopprimere definitivamente le Scuole Teologiche di Stato. Da quel momento in poi le uniche a formare i futuri docenti di religione sarebbero state quelle ecclesiastiche. Nel 1888 la commissione voluta dal Ministro Boselli per riformare i programmi scolastici, a proposito della religione cattolica concludeva la sua indagine con queste parole del segretario Aristide Gabelli: "Lo Stato non può fare, né direttamente né indirettamente una professione di fede, che manchevole per alcuni, sarebbe soverchia per altri". Lo Stato, insomma, voleva ad ogni costo mantenersi laico.

Michele Coppino

(1822-1901)

Ministro per l'Istruzione durante il primo e il secondo Governo Depretis

Laicità all'italiana? Il "caso Don Bosco"

Che poi le cose andassero in quella direzione anche nei fatti, oltre che nella teoria delle leggi, è tutto da dimostrare. Un caso emblematico è quello della Società Salesiana di Don Bosco, per la cui costituzione il religioso non aveva esitato a giungere a compromessi con l'apparentemente laico Regno di Sardegna. Giovanni Bosco (1815-1888), infatti, per impedire che Vittorio Emanuele II approvasse la legge Rattazzi n. 878 - che, nell'ambito di un processo di laicizzazione iniziato con le famose Leggi Siccardi del 1850, prevedeva la soppressione su tutto il territorio del Regno di Sardegna di molti ordini religiosi - non aveva esitato a minacciarlo preannunciandogli ripetutamente quattro gravi lutti familiari. Immancabilmente, ad ogni funerea "previsione" del futuro santo, tra il gennaio ed il maggio del '55 erano morti la madre (Maria Teresa d'Austria), la moglie (Adelaide), il figlio di quattro mesi (Vittorio Emanuele) e l'unico fratello del re, Ferdinando di Savoia. Vittorio Emanuele II, a quel punto, aveva provato ad opporsi alla suddetta legge, la quale, comunque, il 25 giugno era stata promulgata. Il Ministro Rattazzi, però, preso forse dallo spavento aveva cercato un modo per "salvare" i Salesiani di Bosco suggerendogli gli accorgimenti più utili per aggirare la sua stessa legge. Un autentico "sprazzo di luce", a detta dello stesso religioso. L'idea consisteva nel realizzare "una Società, in cui ogni membro conservi i diritti civili, si assoggetti alle leggi dello Stato, paghi le imposte e via dicendo. In una parola, la nuova Società in faccia al Governo non sarebbe altro che un'Associazione di liberi cittadini, i quali si uniscono e vivono insieme ad uno scopo di beneficenza." "E Vostra Eccellenza può Ella assicurarmi che il Governo permetta l'istituzione di una tale Società e la lasci sussistere? ", aveva chiesto Don Bosco a Rattazzi. Rassicurante, il Ministro aveva risposto: "Nessun Governo Costituzionale e regolare impedirà l'impianto e lo sviluppo di una tale Società, come non impedisce, anzi promuove le Società di commercio, d'industria, di cambio, di mutuo soccorso e simili. Qualsiasi Associazione di liberi cittadini è permessa, purché lo scopo e gli atti suoi non siano contrari alle leggi e alle istituzioni dello Stato. Stia tranquillo: risolva; avrà tutto l'appoggio del Governo e del Re, poiché si tratta di un'opera eminentemente umanitaria." (G. B. Lemoyne, Memorie biografiche, Volume V, pag. 698). Così, in un'atmosfera surreale, uno dei principali artefici del processo di laicizzazione del Regno aveva trovato il modo di salvaguardare l'esistenza di un ordine religioso nemmeno ancora nato. Nel 1859 Don Bosco aveva quindi realizzato la sua Società, sentendosi così forte e così "protetto" dallo Stato da non esitare di organizzare, sul finire di quello stesso anno, un rogo pubblico di libri protestanti, inclusa una Bibbia nell'edizione Diodati. Il fatto era avvenuto sotto gli occhi di tutti i suoi ragazzi, nell'Oratorio Salesiano, "ove fatto un grosso mucchio di quei libri e giornali protestanti in mezzo al cortile alla presenza dei giovani, diede loro il fuoco e li ridusse in cenere."(Cfr. G. B. Lemoyne, Memorie Biografiche, Volume VI, Cap. 13).

La stessa logica di privilegi nei confronti di Don Bosco si era ripetuta per l'odiosissima Tassa sul Macinato in vigore dal 1868 al 1880. Dopo ripetuti tentativi di Don Bosco per farsela abbonare, il Ministro Quintino Sella aveva risposto perentoriamente all'ultima lettera del religioso, datata 15 agosto 1870, in questi termini: "Pagano tutti, paghi anche lei". Ancora una volta gli era allora venuto in soccorso l'anticlericale Rattazzi, che aveva escogitato il trucco di restituirgliela sotto forma di altri contributi statali. Un privilegio di cui nessun altro aveva potuto godere. (G. Bosco, Epistolario 1869-1872).

L'avvento del Fascismo e il cambiamento di tendenza

Agli esordi dell'era fascista, la Riforma Gentile  del 1923 sanciva improvvisamente l'obbligatorietà dell'insegnamento della religione cattolica in tutto il ciclo elementare. Quanto alla cosiddetta ora di religione, essa è letteralmente un'invenzione dell'equipe del Duce, un'espressione nata dai succitati Patti. Che estendevano tale obbligo alle scuole medie e superiori.

La nuova svolta si ebbe, anche in questo caso, con la Revisione del Concordato del 1984. Per la prima volta fece il suo ingresso trionfale l'Attività alternativa all'ora di Religione, che sancì di fatto la fine dell'obbligatorietà dell'IRC.

Gli insegnanti di Attività alternativa - scelti autonomamente dai Presidi delle singole scuole - si videro valutare dai Provveditorati il proprio servizio con punteggio pari a metà di quello riconosciuto a qualsiasi altra materia ma, per il resto, tale insegnamento venne a lungo equiparato a qualsiasi altra attività di docenza prestata sulle normali classi di concorso.

Ma questa mole di decine di migliaia di insegnanti di religione selezionati esclusivamente dalle Curie cattoliche ed assunti e pagati dallo Stato italiano, non avrebbe costituito a lungo l'unica forma di presenza della Chiesa nell'insegnamento e nella formazione dei nostri giovani.

 

La cosiddetta Autonomia

Nel 1999 la Riforma Berlinguer introdusse nella Scuola italiana il principio dell'Autonomia. L'Ordinanza del Ministro relativa ai nuovi concorsi per insegnanti, indetti a ben dieci anni da quelli precedenti, sanciva improvvisamente la non computabilità degli anni di docenza prestati su Attività Alternativa ai fini dell'ammissione ai concorsi abilitanti. La valanga di ricorsi dei docenti interessati venne puntualmente respinta. Qualcosa stava evidentemente cambiando di nuovo.

Con il DL 258 del 20 luglio 1999 il Ministro Luigi Berlinguer istituì l' INValSI, l'Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell'Istruzione. La denominazione sarebbe stata ufficializzata, per la precisione, solo con decreto del 2004, ma in realtà tale Istituto - risultato della trasformazione del cosiddetto CEDE (Centro Europeo Dell'Educazione), nato nel lontano 1974 -  cominciò a funzionare a tutti gli effetti con lo scopo di "valutare l'efficacia dell'istruzione e la soddisfazione dell'utenza e promuovere la cultura dell'autovalutazione". I presidenti dell'ente furono: Aldo Visalberghi, Umberto Margiotta, Benedetto Vertecchi, Giovanni Trainito, Giacomo Elias, Piero Cipollone e Paolo Sestito. Controllando le illustri biografie di questi leader dell'ente preposto a vigilare sull'efficienza degli insegnanti statali e sui contenuti dei loro programmi, si nota un progressivo spostamento dell' INValSI da iniziali posizioni laiche (come quelle del primo Presidente, Visalberghi, partigiano e socialista), ad ambienti sempre più vicini alla CEI e, contemporaneamente, ai grandi Gruppi finanziari occidentali, spostamento parallelo al continuo rafforzamento di cui questo Istituto ha goduto nel corso degli ultimi quattordici anni. In particolare è da sottolineare la figura di Piero Cipollone, Direttore esecutivo della World Bank (Istituto finanziario nato insieme al Fondo Monetario Internazionale nell'ambito della Conferenza di Bretton Woods del 1944, con lo scopo di favorire la ricrescita economica dei Paesi afflitti dalla Guerra, ma ultimamente al centro di parecchie critiche, così come il FMI stesso, a causa del fatto che i Paesi aiutati ad uscire dalla povertà abbiano invece visto lievitare il loro debito pubblico proprio nei confronti di questi due Enti), Cipollone è stato anche Dirigente del Servizio Studi della Banca d'Italia ed è cugino dell'Arcivescovo di Lanciano ed Ortona Emidio Cipollone. Quanto a Sestito, Commissario Straordinario dal 2011, si tratta di un altro alto dirigente di Bankitalia, precisamente del Vicedirettore del Dipartimento di Analisi economica; è inoltre in organico alla IZA, gigantesco ente tedesco di ricerca sull'organizzazione del lavoro nell'economia globalizzata il cui Presidente, l'economista Klaus Zimmerman, ricopre tra gli altri anche il ruolo di Consulente per la suddetta World Bank

Posizione chiave all' INValSI anche per Elena Ugolini, Dirigente Scolastico del Polo di Istruzione privato e cattolico Malpighi di Bologna dal 1995 (da quando aveva 36 anni). Membro dell'Ufficio di Presidenza di Comunione e Liberazione (istituzione a cui la sua famiglia ha dato contributi insostituibili, come nel caso di don Giancarlo Ugolini, padre del famoso Meeting di CL di cui ha altresì fondato la sezione di Rimini o di Lella Ugolini, ideatrice della Fondazione Karis che gestisce la rete di omonime scuole cattoliche), firmataria del Manifesto sull'Educazione che attacca quella "cultura che ha sistematicamente demolito le condizioni e i luoghi stessi dell’educazione: la famiglia, la scuola, la Chiesa", da sempre impegnata in favore del finanziamento statale alle scuole private, ha iniziato a rivestire all' INValSI (del cui Consiglio Direttivo è attualmente membro), incarichi importanti dal 2002, sotto il Ministro Letizia Moratti, facendo carriera al punto da diventare coordinatrice dei nuovi programmi per i Licei sotto il ministro Gelmini e Sottosegretario all'Istruzione sotto il successore Francesco Profumo. Quest'ultimo, membro dei C.d.A di Unicredit, Pirelli e Telecom, è considerato molto vicino al Cardinal Bagnasco, col quale, il 28 giugno 2012, ha siglato l'accordo MIUR-CEI finalizzato a frenare l'emorragia di studenti che, in numero sempre maggiore, decidono di non avvalersi all'IRC a scuola. Lo stesso card. Bagnasco ha in seguito dichiarato che tale accordo: "consolida ulteriormente l’armonioso inserimento dell’insegnamento della religione cattolica nei percorsi formativi della scuola italiana".

E non basta. L' INValSI, per effettuare le proprie valutazioni del sistema scolastico italiano, si avvale dell'insieme di test messi a punto da Istituti di ricerca privati come il TIMSS  ed il PIRLS, enti che a loro volta fanno capo all' International Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA), ossia l'Ente internazionale per la valutazione del rendimento scolastico che ha sede ad Amsterdam e che coordina (e pilota) gli Istituti di valutazione dei singoli Paesi dell'Eurozona in modo da omologare programmi scolastici, metodologie e criteri docimologici in funzione delle esigenze della politica, dell'imprenditoria e della finanza europea. Ente che a sua volta, ciliegina sulla torta, beneficia dei finanziamenti del Boston College, di cui ben due membri (su sette) siedono nel proprio Comitato esecutivo. Il Boston College è una Università cattolica fondata dai Gesuiti nel 1863 che, tra i suoi propositi principali, vanta quello di diffondere il Cristianesimo nell'istruzione giovanile. Non è forse un caso, d'altronde, che i più importanti Dirigenti TIMSS e PIRLS si trovino proprio nel direttivo di questa Università confessionale. Il Boston - che dispone di un patrimonio di 1,9 miliardi di dollari, vanta un giro d'affari annuale di 820 milioni costituendo anche la più numerosa comunità di gesuiti al mondo, fiore all'occhiello del Cardinale di Boston O'Malley e che annovera, tra i suoi ex studenti, illustri ed influenti politici del calibro di John Kerry, Tip O'Neill o del Governatore del Connecticut Dannel P. Malloy - gestisce in sintonia con  l' IEA una fitta e capillare rete di enti o di alte personalità interne o collegate ai Ministeri dell'Istruzione di moltissimi Paesi del mondo ed incaricate di realizzare, a livello locale, il modello educativo elaborato dai suoi ricercatori. Il referente italiano dell'organizzazione è, attualmente, il dirigente INValSI Elisa Caponera. Nonostante questa rete sia estremamente ramificata, può sorprendere, ad esempio, l'assenza al suo interno di un referente per una nazione come la Francia. Ma la cosa è, in realtà, più che comprensibile, data la posizione decisamente laica di questo Paese, nelle cui scuole, ad esempio, non esiste l'insegnamento di alcuna religione.

Nel 2008 Il Boston College si è fuso con la Weston School oh Theology. Il New York Times ha così definito tale re-affiliazione: "un'ulteriore tappa del Boston College per diventare la potenza intellettuale cattolica della nazione". Va appena sottolineato come la linea gesuitica - avversata sia da K. Woityla che da J. Ratzinger - sia attualmente quella dominante in Vaticano. Se infatti il Cardinal O'Malley compariva tra i favoriti all'ultimo conclave seguito alla discussa ed improvvisa abdicazione di Benedetto XVI, il Pontefice effettivamente eletto, Jorge Mario Bergoglio, è il primo esponente della Compagnia di Gesù a salire al Soglio di Pietro dalla nascita di questo stesso ordine religioso.

28 febbraio 2013. Benedetto XVI ha appena abdicato e si sposta con l'elicottero dai Palazzi Vaticani a Castel Gandolfo. 

Il velivolo che lo trasporta, naturalmente, appartiene all'Aeronautica Militare italiana.

Il Boston College

Fu fondato nel 1863 dall'emigrante irlandese John McElroy S.J (1782-1877), in possesso di tanta vocazione religiosa quanto senso degli affari.

Diventato frate laico dei Gesuiti, ha contemporanea-

mente assunto la gestione finanziaria della Georgetown University, portandone il Bilancio ad un tale attivo da permettere alla scuola di pagare viaggi e permanenza dei suoi studenti gesuiti inviati a perfezionarsi a Roma. Al ritorno dalla Guerra Messicana, a cui partecipò come Cappellano militare, fondò il prestigioso Boston College.

Il Famigerato DPR 80 

L'8 marzo 2013 un Francesco Profumo Ministro di un Governo Monti dimissionario e mai eletto dai cittadini italiani ha improvvisamente incassato, anche su pressione della Fondazione Agnelli, l'approvazione del Decreto sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione (DPR 80) che affida all' INValSI  il controllo totale del nuovo Sistema di valutazione dell'efficienza dell'insegnamento scolastico negli Istituti pubblici. Tale sistema, detto "delle tre I" vedrà tre attori fondamentali. Se infatti all' INValSI, oltre al compito di coordinamento, toccherà rilevare l'effettiva preparazione degli studenti italiani attraverso la somministrazione di test a cui le singole scuole non potranno più opporsi, ruolo dell' Indire (Istituto per lo sviluppo dell'Autonomia scolastica) sarà provvedere all'aggiornamento dei docenti il cui lavoro sia risultato "inefficace". Il tutto con contorno di periodiche visite di Ispettori del MIUR atte a sondare l'effettiva efficienza del personale docente e la conformità dei programmi svolti con i dettami del Ministero (e, naturalmente dell' INValSI). Va inoltre sottolineato che il sistema di controllo sugli istituti di istruzione pubblica messo a punto da MIUR ed INValSI scatena, come al solito, serie implicazioni di tipo economico. I risultati ottenuti nei test in questione dagli studenti di ogni singola scuola, infatti, portano all'elaborazione di appositi indici atti a caratterizzarla ed a calcolare i futuri finanziamenti ministeriali da destinarle. Accorgimento che assume un peso notevolissimo nella cosiddetta era della "Scuola dell'Autonomia" e che, chiaramente, induce i Presidi italiani a prender tutti i provvedimenti necessari a valorizzare e ad imporre questo sistema di valutazione nelle rispettive scuole. In pratica, se vogliono che la loro scuola ricominci a disporre di fondi per comprare i toner delle fotocopiatrici o per retribuire le ore di straordinario dei loro docenti, i Dirigenti Scolastici italiani debbono in tutti i modi costringere questi ultimi ad uniformare i propri programmi didattici, i propri parametri di valutazione e la tipologia delle proprie verifiche ai criteri fissati dai gesuiti del Boston e dalla World Bank, affinché i relativi studenti si trovino effettivamente nelle condizioni di rispondere al meglio alle fatidiche "prove INValSI" facendo così salire il più possibile i conseguenti indicatori di computo dei finanziamenti.

A coronamento di tutto ciò urge sottolineare che il 27 aprile 2013 il Commissario INValSI Sestito ha proposto, nel corso di un'intervista⁴, di sostituire entro il 2015 l'attuale Esame di Stato del quinto anno delle superiori con un'unica prova INValSI. Tra le righe l'obbligo per tutti i docenti italiani di adeguarsi a programmi didattici  standard stabiliti dallo stesso istituto di controllo, come unico modo per risparmiare ai rispettivi alunni una solenne bocciatura. Detta di passaggio, nella suddetta riunione dell'8 marzo il Governo ha anche elaborato un nuovo capitolo del Decreto Spending Review che, di fatto, congela gli stipendi pubblici fino al 2014 e blocca gli scatti di anzianità per tutto il personale della Scuola. Decreto destinato ad approdare sul tavolo del Consiglio dei Ministri alla sua successiva convocazione.

Nel novembre 2013 il neoministro all'Istruzione Maria Chiara Carrozza, forse anche a causa delle critiche di chi si domandava l'opportunità della consuetudine dei vari Governi italiani di affidare la presidenza di un Istituto di valutazione scolastica ad un banchiere, ha annunciato le dimissioni irrevocabili di Sestito. Il 6 febbraio 2014, scegliendo da una rosa di nomi selezionati da un comitato specifico sulla base di una ventina di candidature iniziali, il Ministro ha nominato Presidente Anna Maria Ajello Messina, Professore ordinario della Facoltà di Psicologia de La Sapienza di Roma e, membro, tra l'altro, di organizzazioni internazionali di ricerca sull'apprendimento come l' EARLI o l' ISCAR. L'orientamento confessionale dell'InValSI non dovrebbe comunque variare granché - e come potrebbe, d'altra parte, visto l'Istituto da cui dipende? - dato che la Prof. Ajello collabora attivamente con l'Istituto Salesiano San Marco di Mestre e fa parte del Comitato scientifico della rivista IUSVEducation, organo dello IUSVE, l'Istituto Universitario Salesiano di Venezia.

Un'università privata e, naturalmente, cattolica.

Contestualmente, il MIUR ha diramato la Direttiva n. 11 del 18.09.2014 e la Circolare n. 47 del 21.10.2014, con cui, tra le altre cose, si prevede l'aggiornamento obbligatorio nei confronti dei docenti i cui alunni non abbiano raggiunto risultati sufficienti nei suddetti test INValSI. Avverso il DPR 80 di Profumo e le successive direttive della Carrozza, FLC e CGIL hanno sporto ricorso.

L'ennesima riforma scolastica denominata La Buona Scuola ed elaborata nel 2015 dalla successiva ministra Giannini, esponente del governo Renzi, si ritiene sia stata messa in piedi sulla base delle direttive della Treellle, associazione "no-profit" che in realtà raccoglie alti nomi della finanza, dell'imprenditoria e dell'editoria italiana. E tra i cui influenti membri figurano, naturalmente, importanti nomi di esponenti di CL oltre che il sottosegretario alla Pontificia Congregazione per l'Educazione Cattolica, nonché vescovo di Volturno, monsignor Vincenzo Zani⁵.


(1) Cfr. a tal proposito il sito Finanzaonline. Si veda anche la Relazione del Direttore generale alla commissione di vigilanza per gli esercizi finanziari dal 1927-28 al 1948-49, della direzione generale del debito pubblico - Ministero del Tesoro, nella sezione La rendita a favore della Santa Sede, pag. 62-64. Cfr. anche il dettagliato sito Fisicamente.net.

 (2) Cfr. l'articolo di C. Lopapa comparso su Repubblica il 17 novembre 2009

 (3) Per un approccio più "filosofico" nei confronti della questione cfr. P. Ratto, Per un Cristianesimo onesto, BoscoCeduo.it, 2011

 (4) Vedi P. Sestito, E se cambiassimo l'Esame di Stato?, Il Sussidiario, 27 aprile 2013.

 (5) Si veda, a tal proposito, l'inquietante dossier  di P. Ratto intitolato Questa Buona Scuola s'ha da fare, BoscoCeduo.it, 24 maggio 2015.

 

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