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Immigrazione.. Dove l'ho già sentita, questa?

Pietro Ratto, 20 settembre 2018

“La prima cosa da fare è porre severe restrizioni nei confronti dell’immigrazione. Tutta questa manodopera straniera sottocosto che invade il nostro Paese ci crea un sacco di guai. So benissimo che dall’altra parte del mare guardano alla nostra nazione come a una mucca da mungere, ma questi lavoratori, una volta arrivati qui, non si adeguano alla nostra religione, ai nostri ideali. Non sono abituati alla democrazia, alla repubblica; non amano il nostro Stato. A loro interessano solo i nostri soldi. Alcuni, quando se ne ritornano a casa, continuano perfino a percepire il nostro denaro sotto forma di pensione e di assistenza”.

Robert Shelton, leader del Ku Klux Klan, intervista del “New York Times”, 5 luglio 1964
(non a caso..)

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Sioux Vs. Rothschild? Una battaglia persa

Pietro Ratto, 4 dicembre 2016


All’inizio di settembre, la situazione pareva disperata.
I Sioux, che da aprile avevano iniziato a protestare contro il progetto da 4 miliardi di dollari di un oleodotto in Nord Dakota destinato a passare proprio sotto le terre che ospitano i loro cimiteri sacri, si erano visti rigettare da un Giudice federale il ricorso intentato a luglio.
Da ieri si tira un po’ il respiro: in linea con l’atteggiamento assunto finora dall’amministrazione Obama, il genio militare ha infatti negato l’autorizzazione alla costruzione della pipeline. I Sioux, che ormai sono più di mille, tutti accampati in mezzo alla neve ma decisi a sacrificare la loro stessa vita per impedire questa profanazione, in queste ore esultano. E’ un buon segno, sì. Ma rischia di essere la classica vittoria di Pirro, dato che l’ultima parola spetta alla Presidenza degli Stati Uniti. Cioè, ormai, a Donald Trump. Il quale non ha fatto certo segreto circa la sua intenzione di costruircelo ad ogni costo, quell’oleodotto, nella riserva degli indiani che si trova sulle sponde del Missouri.
Insomma, penso che in tutta questa storia, al di là del facile e un po' ipocrita entusiasmo dei media, ci sia ben poco da sperare.
Il motivo di fondo? Semplicissimo: basta dare un’occhiata alla società che ha messo in piedi il Dakota Access Pipeline Project.
E che non ha la minima intenzione di mollare.


Titolare del progetto è, infatti, la Energy Transfer Partners, una cordata di APlus, Coastal, Optima e Sunoco di fatto controllata da giganti della finanza come Harvest Fund, Alp, Kayne Anderson Capital, ma - soprattutto - Oppenheimer Funds e (tenetevi forte) Goldman Sachs.
Detto ciò, non credo restino molti dubbi circa il vincitore finale della disputa, che vede schierate in campo società che, nel sceglier tra la sacralità di un cimitero indiano e una montagna di soldi, avvertono senz'altro ben poca esitazione.
Ancora qualche precisazione (che come al solito resta assolutamente sullo sfondo), per non aver più dubbi circa il gran finale di questa triste storia.
Sulla proprietà di Oppenheimer Fund, chi ha letto il mio “I Rothschild e gli altri” dovrebbe nutrire ben pochi dubbi. Gli Oppenheimer, storici banchieri imperiali nella cui agenzia di Francoforte il capostipite dei Rothschild si fece le ossa, già dall’inizio del diciottesimo secolo sono stati “inglobati”, col solito sistema delle alleanze matrimoniali, nell'assetto patrimoniale della famiglia più potente della Terra.
Quanto poi alla Goldman Sachs, che insieme a Oppenheimer detiene più del 40% delle azioni di Energy Transfer.. Beh, intanto sottolineiamolo un’altra volta. Il suo nome, come ben sanno i lettori del citato mio saggio, deriva proprio dalla potente famiglia Goldsmith, chiave di volta nella rete delle alleanze finanziarie internazionali, legata a doppio filo coi Rothschild al punto da aver dato vita, per l’appunto, alla dinastia Goldsmith-Rothschild. E poi, come non ricordare che questa gigantesca banca di investimenti - insieme alle consorelle Morgan Stanley e J.P. Morgan e tramite il controllo di McGraw-Hill Companies - permette ai Rothschild di gestire l’intera economia mondiale anche attraverso inquietanti società di rating come Standard & Poors, quella stessa che detta regole finanziarie e attribuisce “pagelle” a tutti i governi del mondo?


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Indipendence Day, fu vera gloria?

Piero Cammerinesi, 22 ottobre 2016


4 Luglio 2014. Tra un barbecue, una partita di baseball, uno sventolare di bandiere e gli immancabili fuochi d’artificio, oggi si festeggia il 238mo anniversario dell’indipendenza americana dall’Inghilterra. 

Qui negli USA la maggior parte degli uffici e dei negozi chiude di fatto solo per due festività all’anno: l’Independence Day in estate e il Thanksgiving Day in autunno, mentre le famiglie si riuniscono intorno al barbecue. Ogni casa tira fuori per l’occasione la bandiera a stelle e strisce, in un'apoteosi di contagioso patriottismo.

Come è noto questa festa commemora la Dichiarazione di indipendenza del 4 luglio 1776, firmata a Philadelphia, con la quale le 13 colonie americane si staccarono dall’Inghilterra. In realtà la guerra per l’indipendenza, scoppiata nel 1775, anno del primo scontro tra le milizie delle 13 colonie e le truppe inglesi, durerà fino al 1781 e l’indipendenza vera e propria ci sarà solo nel 1783 con il Trattato di Versailles, ma il giorno simbolo è rimasto il 4 luglio 1776. La Dichiarazione d’Indipendenza fu redatta da Thomas Jefferson, John Adams, Robert R. Livingston, Roger Sherman e Benjamin Franklin, veri e propri Padri della Patria e personalità di grande valore morale e culturale. 

Da allora, come si suol dire, molta acqua è passata sotto i ponti, ma quello che colpisce chi voglia fare una riflessione più approfondita sulla storia di questo Paese, è vedere come i governanti abbiano tradito così radicalmente, nel corso dei secoli, le aspettative e gli ideali di questo grande popolo.

Partiamo dall’Independence Day.

Un sovvertimento totale degli ideali dell’indipendenza è oggi rappresentato dal potere della banca centrale e dalla politica imperiale della nazione che, una volta conquistata eroicamente la propria indipendenza, ha dedicato i propri sforzi a privare altri Paesi sovrani della loro.

Il potere del denaro - senza limiti da questa parte dell’Atlantico - avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni dei Padri costituenti, limitato da normative ben precise e soprattutto avrebbe dovuto essere di proprietà del popolo e non di una banca centrale.

I Padri fondatori erano ben consapevoli del pericolo enorme costituito da una banca centrale di proprietà privata. Avevano avuto modo di toccare con mano come la banca centrale privata inglese, la Banca d'Inghilterra, aveva causato l’incremento del debito nazionale ad un livello tale che il Parlamento aveva di conseguenza applicato delle tasse eccessive alle colonie americane, inducendo Benjamin Franklin a ritenere che quella fosse la reale causa della Rivoluzione americana. 

Come Jefferson ebbe modo di dire:"Credo sinceramente che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà degli eserciti nemici schierati. Il potere di emissione dovrebbe essere sottratto alle banche e restituito al popolo, al quale giustamente appartiene." 

A lui si aggiunse James Madison, il principale artefice della Costituzione, che addirittura chiamò con spregio i banchieri ‘cambiavalute’: "La storia narra che i cambiavalute hanno usato ogni forma di abuso, complotto, inganno e ogni metodo di violenza possibile per mantenere il proprio predominio sui governi, controllando il denaro e la sua emissione."

Er oggi la FED è padrona assoluta del denaro e determina l'economia - e la politica - non solo nazionale, ma globale.

 Quanto alla vocazione imperiale degli USA, credo ci sia poco da aggiungere al fatto che - dall’indipendenza in poi - i neonati Stati Uniti d’America hanno effettuato centinaia di aggressioni nei confronti di Paesi sovrani e, di fatto, sono oggi, con ben 865 (dati del Pentagono) basi militari sparse su cinque continenti, i veri e propri padroni del mondo.

Senza parlare della colonizzazione culturale che ha imposto all’umanità un unico standard culturale globale.

Per quanto riguarda il Thanksgiving Day, le cose sono, se possibile, ancora più sconcertanti.

La festa per il giorno del Ringraziamento, infatti, risale al 1621, quando i padri pellegrini, perseguitati in Inghilterra per il loro integralismo religioso, abbandonarono l’Europa per emigrare nel Nuovo Mondo.

Dopo un viaggio avventuroso sbarcarono dal Mayflower 102 pionieri, che ben presto si trovarono in grave difficoltà a seguito del primo inverno particolarmente rigido. La metà di loro non sopravvissero alla stagione invernale e tutti avrebbero condiviso lo stesso destino se  non fossero intervenuti i nativi americani o, come li chiamiamo noi, gli ‘indiani’, che aiutarono i coloni a coltivare il granturco e ad allevare il tacchino. 

Grazie al loro aiuto il primo raccolto fu abbondante e i coloni sopravvissero; per celebrare la vittoria sugli elementi ostili indissero un giorno di ringraziamento a Dio per i doni ricevuti.

I padri pellegrini invitarono alla festa anche gli indigeni, ai quali dovevano la vita e la possibilità di rimanere nei nuovi territori.

Peccato, però, che era iniziato già dal 1610 uno dei genocidi più spietati della storia, nel corso del quale fu sterminata l’intera popolazione nativa del continente nordamericano. Questo genocidio, di 18 milioni di persone, durò fino al 1890 - ben 280 anni - quando venne massacrato il popolo Lakota dal glorioso 7. Cavalleggeri.

18 milioni di uomini, donne e bambini, tre volte l’Olocausto, ma parlare di quell’Olocausto non è politically correct.

Dunque un Independence Day che oggi festeggia una America che tradisce gli elevatissimi principi dei suoi Padri fondatori e nega l’autodeterminazioni dei popoli grazie a ideali capovolti come ‘esportazione di democrazia’, ‘guerra umanitaria’, ‘difesa della libertà’, e un Thanksgiving Day che celebra un giorno di ringraziamento e 280 anni di sterminio di quegli stessi generosi native american che avevano appena ringraziato.

 

Sic transit gloria mundi.

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Nizza e quelle brutte cose che la Scuola insegna a non sapere 

Pietro Ratto, 15 luglio 2016

 

Chiacchierando di queste recentissime brutte (e oscure) cose di Nizza, con ragazzi che hanno appena finito la maturità, scopri che non hanno mai sentito parlare di Aldo Moro, di Piazza Fontana, della Strage di Bologna o della Loggia P2. Mai sentito nulla, a proposito di Dalla Chiesa, di Craxi, di Andreotti..
Allora capisci davvero a cosa serve la scuola.
A proposito di "non sapere", pochi sanno infatti che, da qualche anno, al liceo hanno cambiato l’orario di cattedra anche per quanto riguarda Filosofia e Storia. Dicono che bisogna privilegiare i fatti recenti, che i ragazzi debbono conoscere la nostra storia ben oltre le guerre mondiali. Ma cos’hanno fatto invece, i signori ministri di "destra" o di "sinistra"? Hanno mantenuto il monte ore complessivo della nostra cattedra, sì: 15 ore settimanali.. Ma con un giochetto di prestigio in più.
Prima, infatti, la distribuzione prevedeva quattro ore in terza (due di Storia e due di Filosofia), cinque in quarta (due di Storia e tre di Filosofia), e sei in quinta (tre di Storia e tre di Filo). Negli ultimi anni, invece, le cose sono cambiate così: cinque ore ogni anno, punto e basta. Che siano in terza, in quarta o in quinta, gli alunni fanno sempre tre ore di Filosofia e due di Storia. Ciliegina sulla torta? Ampliamento del programma di Storia: non più dal 1350 al 2000, bensì a partire dall’anno Mille.
Lì per lì, tutti gli insegnanti interessati hanno esultato: “Meno male, se non altro non ci hanno ridotto il monte ore complessivo!”, hanno pensato col solito - ma naturale - opportunismo di una categoria avvezza ad esser costantemente vessata e screditata. Non parliamo, poi, di quelli di Storia del biennio, di colpo alleggeriti di più di tre secoli da insegnare.. Il solito pessimista, visionario e complottista ero io, il Ratto, coi suoi presentimenti infondati..
Poi, però, qualcuno, pian piano, ha cominciato a rendersi conto.
Con questo giochetto, infatti, gli alunni dell’ultimo anno sono stati derubati di un’ora di Storia. Sì ma, hanno risposto i ministri, vi abbiamo aggiunto in cambio un’ora di Filosofia in terza, no? D’accordo, sì. Ma cosa c'entra? E a che pro, raddoppiarci il programma da svolgere di Storia?
A che pro? Eccovi serviti. E’ ormai certo, assolutamente matematico, che nessun insegnante riesca più a finire il programma, in quinta. I diciottenni, quelli che ogni anno si apprestano a votare per la prima volta, son chiamati alle urne senza nemmeno aver mai sentito parlare degli Anni di piombo, né della quanto mai attuale Strategia della tensione. Senza aver mai seriamente studiato il fenomeno del terrorismo, della mafia, della massoneria, accontentandosi di qualche iniziativa demagogica e blandamente “emotiva” che ogni tanto si organizza a scuola in nome della solita “educazione alla cittadinanza”. Qualche film, qualche attore chiamato a recitar qualcosa.. Nulla di più!
E noi, d'altra parte? Noi che, ai nostri tempi, ci siamo fermati alla seconda guerra mondiale esattamente come loro, che ne sappiamo noi di Aldo Moro, se non quello che voglion farci sapere i giornali?
Aggiungeteci l'opinione - super diffusa e fortemente incoraggiata - secondo cui "la Storia è noiosa", o "la Storia basta saperla, mica serve capire chissà cosa, no?", e il gioco è fatto.
Ecco. A questo serve la scuola. Serve a "non sapere", naturalmente credendosi sapienti..! Non sfugga la profondissima valenza anti-filosofica dell'istruzione pubblica! Che serve a non aver chiari i fatti. A pensare e a dire soltanto quel che dicono i loro giornali, le loro TV. Senza cognizione di causa, senza approfondimento alcuno nei confronti di moltissimi fatti.
Soprattutto quelli che toccano, direttamente o indirettamente, i loschi affari di chi ci governa e che quindi, già che c'è, stabilisce ciò che dovranno studiare, a scuola, i nostri poveri figli.

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Quel "piccolo favore" di Niccolò V...

Pietro Ratto, 15 maggio 2016

8 gennaio 1454. Papa Niccolo V è preoccupato. Vuole ricompensare Alfonso V re del Portogallo per la sua disponibilità a partecipare all'ennesima crociata contro i Turchi. La crociata alla fine non si fa, perchè gli altri sovrani europei non se lo sognano proprio, nemmeno morti. Ma Alfonso si è detto pronto a partire, e bisogna rendergliene merito. Il Papa lo sa. Conosce bene le preoccupazioni dello zelante sovrano. Sa che non dorme di notte all'idea che qualcuno gli freghi l'Africa. Quella terra a cui tanto tiene. Quella terra che da tempo, ormai, sfrutta indisturbato.
Niccolò V, allora, promulga la sua Romanus Pontifex, che - ricordo a tutti - essendo frutto di una decisione pontificia, in virtù dell'infallibilità papale non potrà mai venir smentita. E che, quindi, è ancora in vigore. Ancora oggi.
Il papa scrive questa cosa. Che è la causa e l'inizio. L'inizio di tutti i mali di quel continente disgraziato. Del suo sfruttamento, della sua rovina, delle deportazioni, dei massacri. E giù, in fondo, nei secoli, fino a oggi. Fino alle Missioni, con cui la Chiesa si prodiga in aiuto di quelle stesse genti che un tempo ha condannato a morte. E fino a quelle sciagurate immigrazioni che cosi tanto ci infastidiscono. Che ci fanno discutere sui massimi (o minimissimi) sistemi. Che ci spingono a dare il peggio di noi.
Volete per caso leggerne un pezzo? Un pezzettino soltanto, di quello sciagurato documento?
Bene. Eccolo qui.

"... molti Guinei e altri negri catturati con forza, e altri ottenuti con permutazione di cose non proibite, o con altro legittimo contratto d’acquisto, furono inviati nel regno suddetto (Portogallo). Di questi un copioso numero si convertì alla fede cattolica, e si spera, favorente la divina clemenza, che se si continua tra loro un tale progresso, o questi popoli si convertiranno alla fede, o almeno le anime di molti di loro verranno acquistate a Cristo.
Come siamo stati informati, il re e l’infante suddetti - che con tanti pericoli, fatiche e spese, e con la perdita di sudditi, molti dei quali morirono in quelle spedizioni, e con solo l’aiuto di quei sudditi, fecero esplorare queste province, e conquistarono e possederono in tal modo suddetti porti, isole e mari, come veri signori di essi - hanno temuto che alcuni, condotti dalla cupidigia, possano navigare verso quelle parti, desiderosi di usurpare od ostacolare il compimento, il risultato e la lode di tale opera […]
Per impedire le suddette cose e per conservare il loro (del re e dell’infante) diritto e possesso, essi proibirono e stabilirono sotto gravissime pene che in generale nessuno, se non con propri (portoghesi) navi e marinai e pagando un certo tributo, e ottenuta una esplicita licenza concessa prima dagli stessi re ed infante, presuma di salpare verso le dette province, o di commerciare nei loro porti, o di pescare nel mare. Tuttavia nel tempo successivo potrebbe avvenire che persone di altri regni e nazioni, condotte da invidia, malizia e cupidigia, contro la suddetta proibizione, presumano, senza licenza e pagamento di tributo, di accedere alle dette province, e raggiunte tali province, porti, isole e mari, di navigare, commerciare e pescare, e dunque tra (loro e) il re Alfonso e l’infante, che in nessun modo si mostrerebbero sconfitti per loro, potrebbero conseguire e ne conseguiranno (di certo) grandi odi, rancori, dissensi, guerre e scandali, con massima offesa a Dio e pericolo delle anime […]
Perciò noi, […], poiché abbiamo concesso precedentemente con altre lettere nostre tra le altre cose, piena e completa facoltà al re Alfonso di invadere, ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i Saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo, ovunque essi vivano, insieme ai loro regni, ducati, principati, signorie, possedimenti e qualsiasi bene, mobile ed immobile, che sia di loro proprietà, e di gettarli in schiavitù perpetua e di occupare, appropriarsi e volgere ad uso e profitto proprio e dei loro successori tali regni, ducati, contee, principati, signorie, possedimenti e beni, in conseguenza della garanzia data dalla suddetta concessione il re Alfonso o il detto Infante a suo nome hanno legalmente e legittimamente occupato le isole, terre, porti ed acque e le hanno possedute e le posseggono, ed esse appartengono e sono proprietà “de iure” del medesimo re Alfonso e dei suoi successori; […] affinché l'infante e i suoi successori possano compiere e compiano questa pia e nobilissima opera, degna di essere ricordata in ogni tempo […] noi decretiamo e dichiariamo con autorità apostolica e per sicura conoscenza, per la pienezza del potere apostolico, che le suddette lettere di concessione, il cui contenuto vogliamo che sia osservato come se fosse incluso parola per parola nella presente (lettera), insieme a tutte e singole le clausole in esse contenute, siano estese a Ceuta (Africa) e ai predetti luoghi e a qualunque altro, anche se acquisito prima della facoltà data da suddette lettere, e a quelle province, isole, porti e mari, qualunque esse siano, che per l’avvenire siano strappate, in nome del detto re Alfonso e dei suoi successori e dell’infante, dalle mani degli infedeli o pagani in quelle e nelle regioni contigue e più lontane e remote. Noi decretiamo anche che per forza della facoltà di quelle e della presente lettera, i luoghi già acquisiti e quelli che lo saranno in futuro, dopo la loro acquisizione, spettino e appartengano in perpetuo di diritto al re Alfonso, ai suoi successori e all’infante, e che la conquista, che con queste lettere dichiariamo dai capi di Borador e Nam fino a tutta la Guinea, e cioè verso le coste meridionali, appartengono ed apparterranno in perpetuo a re Alfonso, ai suoi successori e all’infante, e a nessun altro".



Cfr. anche, a tal riguardo, P. Ratto, "La Storia dei vincitori e i suoi Miti", Dissensi, 2018

Cfr. anche a tal riguardo il video nella sezione La storia che non funziona

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