Sioux Vs. Rothschild? Una battaglia persa
Pietro Ratto, 4 dicembre 2016
All’inizio di settembre, la situazione pareva disperata.
I Sioux, che da aprile avevano iniziato a protestare contro il progetto da 4 miliardi di dollari di un oleodotto in Nord Dakota destinato a passare proprio sotto le terre che ospitano i loro cimiteri sacri, si erano visti rigettare da un Giudice federale il ricorso intentato a luglio.
Da ieri si tira un po’ il respiro: in linea con l’atteggiamento assunto finora dall’amministrazione Obama, il genio militare ha infatti negato l’autorizzazione alla costruzione della pipeline. I Sioux, che ormai sono più di mille, tutti accampati in mezzo alla neve ma decisi a sacrificare la loro stessa vita per impedire questa profanazione, in queste ore esultano. E’ un buon segno, sì. Ma rischia di essere la classica vittoria di Pirro, dato che l’ultima parola spetta alla Presidenza degli Stati Uniti. Cioè, ormai, a Donald Trump. Il quale non ha fatto certo segreto circa la sua intenzione di costruircelo ad ogni costo, quell’oleodotto, nella riserva degli indiani che si trova sulle sponde del Missouri.
Insomma, penso che in tutta questa storia, al di là del facile e un po' ipocrita entusiasmo dei media, ci sia ben poco da sperare.
Il motivo di fondo? Semplicissimo: basta dare un’occhiata alla società che ha messo in piedi il Dakota Access Pipeline Project.
E che non ha la minima intenzione di mollare.
Titolare del progetto è, infatti, la Energy Transfer Partners, una cordata di APlus, Coastal, Optima e Sunoco di fatto controllata da giganti della finanza come Harvest Fund, Alp, Kayne Anderson Capital, ma - soprattutto - Oppenheimer Funds e (tenetevi forte) Goldman Sachs.
Detto ciò, non credo restino molti dubbi circa il vincitore finale della disputa, che vede schierate in campo società che, nel sceglier tra la sacralità di un cimitero indiano e una montagna di soldi, avvertono senz'altro ben poca esitazione.
Ancora qualche precisazione (che come al solito resta assolutamente sullo sfondo), per non aver più dubbi circa il gran finale di questa triste storia.
Sulla proprietà di Oppenheimer Fund, chi ha letto il mio “I Rothschild e gli altri” dovrebbe nutrire ben pochi dubbi. Gli Oppenheimer, storici banchieri imperiali nella cui agenzia di Francoforte il capostipite dei Rothschild si fece le ossa, già dall’inizio del diciottesimo secolo sono stati “inglobati”, col solito sistema delle alleanze matrimoniali, nell'assetto patrimoniale della famiglia più potente della Terra.
Quanto poi alla Goldman Sachs, che insieme a Oppenheimer detiene più del 40% delle azioni di Energy Transfer.. Beh, intanto sottolineiamolo un’altra volta. Il suo nome, come ben sanno i lettori del citato mio saggio, deriva proprio dalla potente famiglia Goldsmith, chiave di volta nella rete delle alleanze finanziarie internazionali, legata a doppio filo coi Rothschild al punto da aver dato vita, per l’appunto, alla dinastia Goldsmith-Rothschild. E poi, come non ricordare che questa gigantesca banca di investimenti - insieme alle consorelle Morgan Stanley e J.P. Morgan e tramite il controllo di McGraw-Hill Companies - permette ai Rothschild di gestire l’intera economia mondiale anche attraverso inquietanti società di rating come Standard & Poors, quella stessa che detta regole finanziarie e attribuisce “pagelle” a tutti i governi del mondo?