Simonino santo. Anzi, no!
Pietro Ratto, 14 agosto 2017
È la notte del 23 marzo 1475. Il piccolo Simone, due anni e mezzo appena, figlio del parrucchiere Andrea, improvvisamente scompare.
I genitori, disperati, lo cercano per tutta Trento e per le campagne circostanti. Ma niente da fare, il piccolo non si trova, non si trova più.
Mai settimana santa è stata più sofferta. Più intrisa di dolore e di penitenza. Soltanto la mattina della domenica, mentre tutte le campane salutano meste la nuova Pasqua, dopo estenuanti ricerche Simone viene ritrovato. Morto, abbandonato alle fresche braccia di una spumeggiante roggia che porta alla città le tormentate acque dell'Adige. Il fatto è, però, che non si tratta di un canale qualsiasi. Quella, infatti, è la Roggia degli ebrei; quella che si snoda proprio vicino alla Sinagoga e alla comunità in cui vivono trenta giudei ashkenaziti. Tre famiglie in tutto. Quelle degli usurai Angelo e Samuele e quella del medico Tobia.
Il sospetto non ha tempo di crescere che è già certezza. Gli ebrei vengono immediatamente fatti arrestare dal Principe Vescovo di Trento, convinto da sempre che le loro comunità sian tutte controllate dal diavolo. E che ogni anno, a quell'epoca, impastino il loro pane azzimo con il sangue di indifesi fanciulli cristiani, proprio come il piccolo Simone. C'è anche un predicatore, a quel tempo, che gira per la città fomentando le ire della gente contro i perfidi ebrei "deicidi". Si chiama Bernardino da Feltre, e i suoi discorsi conquistano il cuore e la rabbia di tutti.
Alla fine, si decide di incriminarne quindici. Il più giovane ha quindici anni, il più vecchio novanta. Torturati per mesi, alla fine confessano tutti. "Sì, abbiamo ucciso il bambino. Sì, siamo stati noi. Basta che smettiate di farci soffrire".
Così, adesso, li possiamo vedere qui a fianco, ritratti in un medaglione appeso in facciata al maestoso palazzo edificato sulle ceneri della loro Sinagoga, immediatamente rasa al suolo. Possiamo vederne quattro, tutti cinicamente intenti a sgozzare Simone. Tre uomini e una donna: Bruna, l'unica che, contro tutte le previsioni, resiste a ogni tortura morendo sotto i ferri degli inquisitori. Tutti gli altri, rei confessi, sono mandati a morte in seguito alle loro ammissioni.
Simone diventa subito un martire cristiano. Il vescovo, grande cultore di reliquie e sommo sostenitore dell'inquisizione, lo proclama in fretta e furia beato. E ne diffonde rapidamente il culto. Tutto ciò, nonostante le perplessità di papa Sisto IV, talmente poco convinto dal risultato di quelle frettolose indagini da inviare un suo legato. Che in poco tempo si mette dalla parte degli ebrei e denuncia molteplici irregolarità in tutta l'inchiesta, ma che viene boicottato fino al punto di dover scappare da Trento e rifugiarsi a Rovereto. Niente da fare, il Principe Vescovo Giovanni Hinderbach è irremovibile. Simonino dev'esser fatto santo. E tutti gli ebrei di Trento, immediatamente cacciati.
Passano i secoli. Ne passano cinque, scanditi da innumerevoli processioni di agguerriti fedeli e da ricorrenti esposizioni degli strumenti di tortura utilizzati dai perfidi ebrei, nel corso del loro storico infanticidio. Poi la frittata vien rivoltata.
Risale infatti al 1965 la cosiddetta "Svolta del Simonino", quella che si verifica quando l'arcivescovo di Trento Alessandro Maria Gottardo fa pubblica ammenda, e dichiara che no: non ci sono prove circa l'effettiva responsabilità di quei quindici ebrei massacrati dall'Inquisizione. E ritira il culto del Simonino, le cui spoglie vengono fatte sparire dalla Chiesa di San Pietro, in cui abusivamente riposavano da cinquecento anni. Simone non è più beato, perché è stato ucciso dalla gente sbagliata. Naturalmente, nessuno restituisce vita e dignità alla disgraziata comunità ebraica. E la faccenda sembra chiusa così.
Quarant'anni dopo, la nuova svolta. Lo storico italo-israeliano Ariel Toaff scrive a chiare lettere che è vero: di quell'eccidio giudeo le prove non ci sono proprio. Ma che non è da escludersi che alcune comunità ashkenazite si siano in passato dedicate a qualche sanguinaria pratica di quel tipo. I suoi colleghi si affrettano a smentirlo: le cruente confessioni a cui lo storico si riferisce per poter affermare cose così gravi non avrebbero nulla di vero e sarebbero state estorte dall'Inquisizione grazie alle solite, terribili torture. Ma Toaff controbatte: se non accettate quel tipo di confessioni, allo stesso modo non dovreste dar per buone nemmeno quelle con cui i malcapitati, contestualmente, dichiaravano ai loro torturatori di esser sempre rimasti segretamente ebrei nonostante la loro ufficiale conversione al Cristianesimo. E la discussione si ferma lì.
Così, dopo centinaia e centinaia di anni, nulla ancora sappiamo di ciò che accadde al piccolo Simone, in quel giovedì santo del 1475. Ancor meno sappiamo del dolore infinito che straziò i suoi genitori.
L'unica certezza che ci resta è che la Storia, l'intricata narrazione della nostro passato, è tanto affascinante quanto inquietante.
E soprattutto, mai certa e definitiva.
Alex è in galera
Pietro Ratto, 16 novembre 2016
Dal 17 giugno 2015 Boris Krljić si trova in carcere. Lì per lì l’accusa era di spacciare cannabis, ma di fatto, da quella galera svizzera, il giovane non è più uscito. Il problema è che Boris non è un tipo qualsiasi. E’ uno studioso, uno storico indipendente e un giornalista freelance. E questo è ancora niente. Ricorrendo allo pseudonimo di Alexander Dorin, Boris ha alzato un polverone terribile in merito al cosiddetto genocidio di Srebrenica dell’11 luglio 1995, quando, secondo la versione ufficiale, ottomila bosniaci furono massacrati dalle truppe serbe del generale Ratko Mladic.
Ebbene. Alexander Dorin, insieme a Zoran Jovanovic, nel settembre 2009 ha pubblicato un libro a dir poco esplosivo: Srebrenica, come sono andate veramente le cose (titolo originale: Srebrenica, storia di un razzismo da salotto), uscito in Italia nel 2012 per Zambon. Con l’introduzione, per giunta, di uno studioso e docente universitario tanto autorevole quanto "controcorrente" come Aldo Bernardini.
Un saggio, questo, che rimette in discussione l’intera vicenda sia relativamente al numero delle vittime (a detta dei due coraggiosi autori non più di duemila), sia rispetto alla reale natura di quel massacro, in merito al quale - affermano i due autori - non bisognerebbe parlare di genocidio, essendosi invece trattato della pur tragica conseguenza di una battaglia tra le due forze in gioco. Duemila musulmani uccisi dai serbi mentre cercavano di effettuare uno sfondamento verso la città di Tuzla.
La questione, come si può immaginare, è però molto più spinosa, dato che, nel loro libro, Dorin e Jovanovic accusano senza mezzi termini l’allora Presidente USA Bill Clinton e il leader bosniaco Alija Izetbegović, di aver letteralmente inventato quel genocidio per poter giustificare il violentissimo bombardamento messo in atto dalla NATO nell’agosto ’95, proprio al fine di porre termine alla guerra in Bosnia permettendo agli americani di estendere la loro influenza su quei territori, e di trascinare alla sbarra l'odiato leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic e il suo "braccio armato" Mladić.
Le accuse che emergono da quelle pagine sono pesantissime, anche perché saltano fuori documenti riservati che all’interpretazione lasciano ben poco spazio. Lo stesso Tribunale dell’Aia di fronte al quale i responsabili del cosiddetto genocidio compaiono nelle vesti di criminali di guerra, ne esce come una pura e semplice emanazione della Nato.
Ebbene: nonostante tutto ciò, la notizia non è questa. Qui non si tratta “soltanto” di parlar di un libro, di una versione girata “a testa in giù” di un cruentissimo e determinante evento dell’estate di vent’anni fa, versione per altro molto ben delineata dallo stesso Dorin nel corso di un’intervista shock rilasciata nell’agosto 2009¹. No: la notizia è che Alexander, da più di un anno, è in prigione; messo letteralmente fuori combattimento, senza - per giunta - che nessuno ne parli. Dorin è stato lasciato completamente solo, abbandonato a se stesso, chissà in quali condizioni oltretutto, proprio soltanto per l’amore che nutre, e che ha sempre nutrito, nei confronti della verità. Per il servizio che ha voluto dare all'informazione, quella vera.
E a dirla tutta, la notizia non è soltanto quella. Ce n'è ancora un pezzo ancor più inquietante, se è possibile. Il giornalista Zoran Jovanovic, l’altro autore di quel libro esplosivo, è già deceduto. In circostanze non chiare, sembra. E’ morto il 13 luglio del 2013, a sessantun anni, Zoran; a una decina di ore di distanza dal suo clamoroso annuncio. Quello con cui avvisava il mondo del web d’essere entrato finalmente in possesso di un paio di filmati in grado di provare, in modo schiacciante e definitivo, quella loro scomoda e pericolosissima tesi.
(1) Il 15 agosto 2009 Alexander Dorin ha rilasciato alla stampa quotidiana di Belgrado la seguente intervista:
Su cosa basate le vostre asserzioni secondo cui il "massacro" di Srebrenica sarebbe stato inventato da Izetbegovic e Clinton?
Si dovrebbe tenere a mente che persino i media americani scrissero parecchio sul fatto che gli Stati Uniti stessero armando da anni le forze di Izetbegovic. L'amministrazione Clinton era molto ostile verso i serbi - i generali di Clinton erano persino coinvolti nell'operazione croata "Tempesta", finalizzata all'espulsione e l'eliminazione dei serbi dalla Repubblica della Krajina serba e da parti occidentali della Bosnia-Herzegovina.
Allo stesso tempo, uno dei signori della guerra di Srebrenica - Hakija Meholjic - da tempo asserisce che, dal 1993 in poi, Clinton offrì ad Izetbegovic un massacro fabbricato contro i musulmani di Srebrenica, come manovra atta a porre fine alla guerra civile in Bosnia-Herzegovina [a vantaggio dei musulmani bosniaci].
Cosa ci dice tutto ciò?
Ci dice che hanno avuto due anni per avviare quella manovra, il tempo durante il quale Izetbegovic e Clinton venivano mitizzati ed elevati alla posizione di eroi attraverso i più influenti media occidentali. Le "vittime di Srebrenica" votano..
Questo libro offre prove aggiuntive?
Il libro presenta inoltre le prove che dimostrano che i duemila musulmani che persero la vita a Srebrenica, caddero in battaglia. Volendo sostenere la versione del "genocidio" ma non disponendo di un numero di corpi sufficiente per affermare che fossero stati uccisi circa ottomila musulmani, inserirono nell'elenco delle vittime di Srebrenica molti soldati musulmano-bosniaci di fatto morti molto prima della conquista di Srebrenica, o uccisi in altre battaglie durante la guerra civile, dal 1992 al 1995. La lista delle presunte vittime di Srebrenica contiene addirittura nomi di uomini ancora vivi.
Intendete appunto quelli che più tardi avrebbe votato alle elezioni...?
Esatto. Nelle elezioni bosniache del 1996, le liste elettorali contenevano circa 3.000 musulmani bosniaci che figuravano tra le "vittime di Srebrenica". Ciò sottolinea ulteriormente il fatto che il cosiddetto Tribunale dell'Aia non abbia ancora nessuna prova del "genocidio di Srebrenica". Ma che, invece, si basa sulle affermazioni del croato Drazen Erdemovic, che è stato provato esser totali menzogne, come ha dimostrato nel suo ultimo libro il giornalista bulgaro Germinal Civikov.
Il Tribunale dell'Aia non la pensa così...?
L'ex portavoce della NATO Jamie Shea nel 1999 ha dichiarato che, senza la NATO, non vi sarebbe nessun Tribunale dell'Aia. Ha asserito che la NATO ed il Tribunale dell'Aia sono "alleati ed amici". Tra gli altri, l'esempio che conferma la sua affermazione è il caso del [Colonnello] Vidoje Blagojevic, condannato ad un lungo periodo di prigione a causa dei fatti di Srebrenica, anche se assolutamente innocente. Così, la NATO punisce i suoi avversari attraverso il Tribunale dell'Aia mentre, allo stesso tempo, protegge i suoi alleati. La storia della guerra civile jugoslava è stata scritta dagli aggressori.
Perché hanno fatto pressioni sui serbi?
I serbi non si sono mai alleati con nazioni imperialiste. Nei secoli passati, i serbi combatterono contro tutti gli aggressori e le forze fasciste. E invece che ottenere rispetto e gratitudine, sono stati ricompensati con le sanzioni e le bombe della comunità internazionale e con una meticolosa e totale demonizzazione da parte dei media occidentali. Il mondo di oggi è dominato dai criminali e dagli psicopatici che si definiscono democratici.
Cosa vi ha spinti a studiare i fatti di Srebrenica?
Da quattordici anni interi faccio ricerche su Srebrenica e sul presunto genocidio che l'esercito serbo-bosniaco avrebbe commesso contro i musulmani bosniaci perché, già verso la fine della guerra in Bosnia-Herzegovina, è divenuto chiaro che l'occidente non abbia intenzioni oneste verso le nazioni di quel paese. Non potevo accettare il pensiero che al mondo, di quella guerra, venisse imposta una descrizione che si accorda soltanto con gli interessi della NATO. Sfortunatamente, questo è precisamente ciò che è accaduto
Perché lei è restio a promuovere personalmente il suo libro?
A questo punto, dopo una scrupolosa ricerca che mi ha impegnato per molti anni, da quando ho scoperto prove irrefutabili su quello che è realmente successo a Srebrenica, prove di cui la gran parte della gente è inconsapevole, ho deciso che non voglio attirare l'attenzione su me stesso. E' il libro che è importante, il libro dice tutto.
"Srebrenica - La storia del razzismo da salotto" sarà presto pubblicato in tedesco. Sarà tradotto in serbo o in qualche altra lingua?
L'editore del mio libro, Kai Homilius di Berlino, intende pubblicarlo in lingua serba ed inglese. Abbiamo deciso di farlo uscire prima in tedesco, dal momento che il pubblico di lingua tedesca non ha veramente nessuna idea della propaganda su cui è costruito il mito di Srebrenica. L'edizione tedesca del libro sarà pubblicata attorno alla metà del prossimo mese.
La revolución de la Nueva Cronología Entrevista con Anatolij Fomenko
Pietro Ratto, 16 de Julio de 2014
(Traducción al castellano: Andreu Marfull-Pujadas)
Profesor Fomenko, le gustaría resumir para nuestros lectores italianos sus teorías revolucionarias en relación a la línea de tiempo histórica llamada "scaligeriana", que considera errónea? Como usted sabe, la mayoría de las personas que actualmente utilizan la cronología oficial ni siquiera han oído hablar nunca de Joseph Scaliger...
La Nueva Cronología es una área importante de la investigación, abierta en el siglo XX por estudiosos rusos (A.T.Fomenko, G.V.Nosovskij, V.V.Kalašnikov, T.N.Fomenko). Un empuje en esta investigación ha sido el descubrimiento de que la versión de la cronología y la historia de la Antigüedad y la Edad Media, comúnmente seguida, ha sido sustancialmente adulterada, y requiere una revisión fundamental que incluye el siglo XVII. Hemos llegado a esta aseveración sobre la base de nuevos métodos matemáticos, estadísticos y astronómicos especialmente procesados por nuestro grupo. Nuestros resultados han mostrado que casi todas las antiguas fuentes escritas nos hablan de hechos ocurridos en el periodo comprendido entre los siglos XI y XVII. Esto es debido a que hubo una época en que se creó la historia mundial, entre los siglos XVI y XVII, y la mayoría de estas fuentes fueron fechadas incorrectamente, por lo que los eventos medievales descritos en ellas se trasladaron artificialmente varios cientos de años en el pasado, o incluso miles, creando imágenes reflejadas, fantasmas, sobre los acontecimientos ocurridos en los siglos XI y XVII. Como consecuencia, el cuerpo de ese "fantasma" pasó a comprender las "antigüedades". Hoy en día pocas personas saben que la historia global de la antigüedad es en realidad una creación relativamente reciente, fundada los siglos XVI y XVII gracias al trabajo de los cronologistas medievales J. Scaliger (1540-1609) y D. Petavius (1583-1652) y, posteriormente, "cementada" [consolidada] por los seguidores de su escuela. En los trabajos seminales de Scaliger y Petavius la historia de la antigüedad se muestra en la forma de un marco sin ninguna justificación científica. Su única base es la "tradición de la iglesia", pero en realidad el origen de esta tradición se remonta a la época anterior al siglo XVI. La Historia, entendida como "el arte de calcular fechas", es esencialmente una rama de las matemáticas aplicadas. Por esta razón Scaliger y Petavius se consideraban a ellos mismos matemáticos. Pero el problema es que, en la época en que vivieron, los métodos matemáticos y astronómicos eran todavía muy aproximados e imperfectos, un hecho que determinó la aparición de errores en la versión scaligeriana de la historia. Sólo las matemáticas y la astronomía de hoy han evolucionado hasta el punto de que podemos permitirnos crear nuevos métodos objetivos que proporcionan una datación fiable de los eventos antiguos.
Gracias a nuestros métodos, hemos encontrado graves errores en la datación de los acontecimientos en la versión de Scaliger-Petavius, que fueron trasladados cientos e incluso miles de años al pasado distante. Si usted piensa que la historia es la columna vertebral de toda la historia antigua, y que es fácil de entender el cambio de este "esqueleto", cambia radicalmente el edificio de la Historia. Si cambia la fecha, todo cambia! Nuestra Nueva Cronología cambia significativamente la visión del pasado hasta ahora aceptado. Sobre la base de la Nueva Cronología la historia escrita de la humanidad empieza sólo a partir de los siglos X y XI.
¿Qué pasó antes? Por desgracia, hoy en día, sobre la base de documentos escritos, no lo podemos saber.
En sus estudios a menudo se refiere a Nicolai Alexandrovich Morozov. Podemos aclarar el alcance de la contribución de este científico en sus teorías, así como las diferencias entre el enfoque de Morozov y el suyo?
Las dudas sobre la fiabilidad de la cronología de Scaliger no nacen hoy. Se habló de ellas desde un principio, desde el momento de su publicación, y se comenzó a difundir en la conciencia pública. El profesor De Arcilla, de la Universidad de Salamanca, se expresó contra la cronología de Scaliger. Luego vino el historiador y arqueólogo jesuita J. Hardouin (1646-1724), el famoso científico Sir Isaac Newton (1642-1727), el profesor alemán R. Baldauf (con unas publicaciones en los años 1902-1903), el historiador británico Edwin Johnson (1842-1901) y otros más. Pero el primero que, de un modo amplio y radical, planteó la cuestión de la base científica de la historia, fue el gran erudito enciclopedista N. A. Morozov (1854 - 1946).
Dio un paso adelante y justificó parcialmente la hipótesis de que la cronología scaligeriana fue alargada artificialmente en comparación con la realidad de los hechos. Analizó la cronología de Scaliger desde el presunto tiempo antiguo hasta el presunto siglo VI dC., haciendo hincapié en la necesidad de una revisión radical de las dataciones. Sin embargo, Morozov no se movió más allá del siglo VI dC. creyendo que la historia aceptada hoy en día, en relación con los siglos VI-XVII, era más o menos fiel. Sin embargo, esta opinión ha demostrado ser profundamente defectuosa. Morozov no fue capaz de localizar algún sistema en el caos que deriva de de la redatación. Nosotros, sin embargo, sobre la base de nuestros nuevos métodos de datación, hemos demostrado que la cronología de Scaliger necesita su revisión incluyendo el siglo VI hasta el siglo XVII (es decir, hasta el período anterior a la época del mismo Scaliger, que, dicho sea de paso, no es fiable). En consecuencia, nuestras dataciones difieren de las de Morozov en un promedio de más de mil años.
Nosotros sostenemos que sólo después de la mitad del siglo XVII la cronología adoptada hoy en día es más o menos correcta. Antes del siglo XVII las fechas reales de muchos acontecimientos importantes fueron empujados artificialmente al pasado en aproximadamente 100, 330, 1.050 o 1.800 años. Si usted quisiera restablecer la verdadera historia, debería replantearse la datación de Scaliger, adaptándola a las medidas correspondientes a estos movimientos cronológicos.
Una de las tesis centrales de su estudio se refiere precisamente a las citadas eruditos del Renacimiento De Arcilla o Hardouin que, en sus escritos, afirmaron que toda la historia y la literatura antigua se había compuesto en la Edad Media. Una teoría, esta, realmente desconcertante. Quiere explicarlo mejor?
Aquí es necesario hacer una aclaración importante. No nos apoyamos en absoluto en el trabajo de los científicos que afirman que toda la literatura antigua se ha hecho en el Medievo. Asimismo, creemos que este argumento es profundamente defectuoso. La versión de la historia conocida por nosotros hoy en día no se inventó de la nada. Por el contrario, creemos que los más famosos autores de la "antigüedad" -Heródoto, Tito Livio, Homero, Jenofonte, etc.- han descrito los acontecimientos reales de los siglos XII-XVII. Sus textos no son de ninguna manera imaginaciones caprichosas. Ellos realmente trataron de contar los hechos del pasado. Pero otra cosa es que estos textos fueran luego objeto de un filtro tendencioso, es decir, a través de la censura de los siglos XVII y XVIII. Los censores de la Reforma cambiaron los escritos de estos autores en la clave que creían correcta, introduciendo en primer lugar las fechas scaligerianas, inexactas, y empujando artificialmente los acontecimientos reales descritos por los autores antiguos hacia un pasado misterioso. En realidad la llamada antigüedad no es otra que la época correspondiente a los siglos XII-XVI. Por este motivo, al leer hoy en día las obras de los autores antiguos, siempre debemos hacernos la siguiente pregunta: cuándo y dónde tuvieron lugar los acontecimientos descritos en las crónicas? Los acontecimientos de por sí son reales pero, a menudo, como descubrimos, ocurrieron en otro tiempo, mucho más cercano al nuestro, y muy a menudo no se encuentran en las áreas geográficas que actualmente se consideran el teatro tradicional de los hechos. En otras palabras, usted debe preguntarse constantemente: ¿Qué nos dice, de hecho, un determinado texto?
¿Qué rol ha jugado entonces, en este camuflaje de la cronología histórica que ha identificado, la censura de la Iglesia Católica?
Como ya he dicho, en la época comprendida entre los siglos XVI y XVIII, se estableció un proceso de censura y revisión parcial de los textos antiguos, es decir, los textos de los siglos XII-XVI. Por supuesto, el papel de los revisores católicos fue notable. Como señala acertadamente el histórico Aron Jakovlevič Gurevič "en cada siglo de la historia se ha mantenido preferentemente la historia de la iglesia, que ha sido escrita principalmente por personas del clero". Sin embargo, no sólo los historiadores de la Iglesia católica participaron en la distorsión de la historia auténtica y la creación de la versión scaligeriana. No fue, de hecho, únicamente el resultado de los errores naturales en las fechas datadas, debido a la imperfección de los métodos matemáticos y astronómicos de los siglos XVI y XVII. Con frecuencia, fue una falsificación deliberada con el fin de crear un "nuevo modelo del mundo antiguo", para cambiar radicalmente el cuadro completo de la antigüedad.
Las motivaciones en la base de esta actividad falsificadora son muy importantes. Hemos sido capaces de descubrirlas y lo hemos explicado detalladamente en nuestros libros. Una razón importante era para ocultar la existencia, en los siglos XIII-XVI, de un imperio unificado que cubría grandes extensiones de Eurasia, Europa, África y América, y que hoy conocemos bajo diversos nombres, como "el antiguo Imperio Romano", "el imperio de Carlomagno", "el Imperio de Carlos V ","el Sacro Imperio Romano de la nación alemana ", "el Califato Árabe", "el Imperio de los Habsburgo", "el Imperio Mongol", etc. Este imperio se rompió a principios del siglo XVII a raíz de la revolución de la Reforma.
Personalmente, leyendo su interesante libro 400 años de engaño (Macro Edizioni), me llamó la atención las notables diferencias que en él se muestran, entre los testimonios históricos relativos a los antiguos eclipses y las características que deberían tener, cuando se han ajustado a la datación oficialmente atribuida por la cronología tradicional. Quiere hablarnos de ello?
Es cierto, es un efecto interesante. El hecho es que cronologistas y los astrónomos de los siglos XVIII-XX ya se cultivaron en la base de la cronología incorrecta de Scaliger. Cuando se ocupaban de datar eclipses "antiguos" (o "antiguos" zodíacos, es decir, imágenes que muestran la posición de los planetas de acuerdo con las constelaciones del zodíaco) ya "sabían de antemano" donde deberían haber sido colocados en el eje del tiempo, de acuerdo con la versión de Scaliger-Petavius. A saber, en los supuestos "tiempos antiguos". Pero, como hemos demostrado en nuestros estudios, estos "antiguos" eclipses lunares y solares se produjeron, de hecho, en la época comprendida entre los siglos XII y XVII.
Resultó que los astrónomos y los cronologistas, en su intento de encontrar la "solución que necesitaban" en el distante y antiguo pasado, finalmente se encontraban en un aprieto. La solución adecuada, la "muy antigua", simplemente no existía. Así que los astrónomos hicieron uso de una serie de artimañas, como alargamientos, tratando de no identificar la solución astronómica precisa, pero aportando una solución que satisfacía parcialmente las circunstancias descritas en la fuente antigua. En otras palabras, se dio paso al fraude con el fin de salvar a la equivocada historia scaligeriana.
Si usted trata de identificar las soluciones astronómicas precisas, para satisfacer todas las condiciones descritas en los documentos "antiguos", las soluciones están en el rango de los siglos XII-XVII, y desde luego no en la antigüedad. Es obvio que en este caso la astronomía entra en grave conflicto con la versión apoyada por el cronologista Scaliger. Pero los historiadores y los astrónomos tratan de pretender que "todo está bien", sobrevolando las diferencias notables entre la astronomía y las dataciones scaligerianas de los eclipses y los zodíacos (horóscopos).
¿Esto significa, profesor, que un erudito y un maestro importante como usted asume una posición como "contra-histórico", por lo no convencional? ¿Qué dificultades ha encontrado, y todavía está encontrando, entre sus colegas y los historiadores "tradicionales"?
Nuestros estudios son de gran interés para la comunidad científica y el público en general, y algunos libros han sido traducidos a idiomas extranjeros. Muchos estudiosos de disciplinas científicas (matemáticas, física, etc.) nos apoyan. Al mismo tiempo, muchos historiadores se oponen a nuestra investigación, pidiendo en voz alta la prohibición de su difusión. Por desgracia, no tenemos noticias de sus objeciones constructivas. Nuestros métodos y resultados estadísticos no son impugnados por cualquier persona de manera significativa. Normalmente nuestros oponentes se centran en nuestras suposiciones y en nuestra reconstrucción de la historia real, a pesar de que constantemente reiteramos que nuestra reconstrucción es en gran medida hipotética.
Al mismo tiempo, podemos garantizar la fiabilidad de nuestros cálculos y las fechas a las que llegamos, sobretodo porque son verificables y los podemos repetir. En general, sin embargo, se trabaja en un ambiente de tensión, en un ambiente de lucha contra la Nueva Cronología. Ciertamente, por otra parte, muchos jóvenes historiadores nos apoyan y nos dicen cosas
interesantes, pidiéndonos no nombrarlos, por miedo a provocar la reacción negativa de algunos de sus colegas de mayor edad. Espero que en un futuro próximo la Nueva Cronología sea percibida por los historiadores con más serenidad, y que la cooperación entre los matemáticos y los historiadores, que siempre proponemos, finalmente se lleve a cabo.
Desde mi experiencia, tal vez como te ocurre a ti, me he encontrado en ciertos momentos en una encrucijada, entre seguir aceptando y enseñar a mis muchachos un conjunto de "verdades", a menudo más ideológicas que basadas en los documentos y los hechos correspondientes, o bien renunciar a ellas negándome a seguir transmitiendo conocimientos e información que he pensado eran obviamente incorrectos. Yo he elegido el segundo camino, más que nada por escrúpulos de conciencia hacia mí y mis alumnos. Cómo ha vivido, y cómo vive, este escrúpulo? A qué ha tenido que renunciar y qué ha ganado, siguiendo la vía "contra-histórica"?
Nosotros, al igual que usted, somos estudiosos y por ello lo principal para nosotros es la búsqueda y el logro de la verdad científica. Las dificultades externas que surgen en el camino, e incluso los ataques personales son, sin duda, un obstáculo para la investigación. Sin embargo, no nos vamos a desviar del camino elegido. Estamos muy contentos de ser capaces de crear una nueva ciencia en la encrucijada de las matemáticas, la astronomía y la historia, una ciencia llamada Nueva Cronología, que es muy clara en nuestra comprensión no sólo del pasado sino también del presente. Creo que este gran premio supera las pérdidas que hemos sufrido en este camino.
Le estoy muy agradecido, profesor, por haberme concedido esta entrevista.
Entrevista concedida exclusivamente por el profesor Fomenko a Pietro Ratto para In-Contro/Storia el 16 de Julio de 2014. Todos los derechos reservados. Para más detalles, consulte el sitio NUEVA CRONOLOGÍA
Революция Новой Истории Интервью с Анатолием Фоменко
Пиэтро Ратто, 16 июля 2014
Профессор Фоменко, Вы не смогли бы резюмировать для наших итальянских читателей свои революционные теории по отношению к официальной, так называемой «скалигерской» исторической хронологии, которую Вы считаете ошибочной? Как Вы знаете, большинство людей в настоящее время использует официальную хронологию, не имея никакого представления о том, кто такой Дж. Скалигер (о нем мало кто слышал).
Новая Хронология - это важное научное направление, открытое в XX веке несколькими российскими учеными (А.Т.Фоменко, Г.В.Носовский, В.В.Калашников, Т.Н.Фоменко). Оказывается, общепринятая сегодня версия хронологии и истории античности и средних веков существенно искажена и нуждается в ревизии, вплоть до XVII века включительно. Это утверждение было обнаружено нами на основе новых математических, статистических и астрономических методов, созданных авторами Новой Хронологии. В результате выяснилось, что практически все дошедшие до нашего времени старинные письменные источники говорят на самом деле о событиях, произошедших в эпоху XI-XVII веков. Однако в эпоху создания глобальной хронологии в XVI-XVII веках значительная часть этих источников была неверно датирована, в результате чего описанные в них средневековые события были искусственно сдвинуты на несколько сотен и даже тысяч лет в глубокое прошлое и создали там призрачный мираж, фантомное отражение событий XI-XVII веков. Этот фантом был назван "античностью". Сегодня мало кто знает, что глобальная хронология древности была создана сравнительно недавно, в XVI-XVII веках средневековыми хронологами И.Скалигером (1540-1609), Д.Петавиусом (1583-1652) и «зацементирована» их учениками. В основополагающих трудах Скалигера и Петавиуса хронология древности приводится в виде таблицы без какого-либо научного обоснования.
Ее основой была объявлена «церковная традиция», однако истоки этой традиции также не прослеживаются вглубь времен ранее XVI века. Хронология, как «искусство вычисления дат» по существу является разделом прикладной математики. Поэтому Скалигер и Петавиус считали себя математиками, однако вся проблема в том, что в ту эпоху математические и астрономические методы были еще весьма грубыми и несовершенными, что и привело к появлению крупнейших ошибок в скалигеровской версии хронологии. Лишь в наше время математика и астрономия развились настолько, что нам удалось создать новые объективные методы, позволяющие уверенно датировать древние события.
В результате, в версии Скалигера-Петавиуса мы увидели ошибочные сдвиги истинных дат в далекое прошлое на сотни и даже тысячи лет. А ведь надо понимать, что хронология – это позвоночный столб всей древней истории. Изменение этого «скелета» радикально меняет все здание истории. Меняем даты - меняется всё! Наша Новая Хронология существенно меняет взгляд на сегодняшние представления о древности. Оказалось, что письменная история человечества начинается лишь с X-XI веков. Что происходило раньше – к сожалению, нельзя сегодня узнать на основе письменных документов.
В своих исследованиях Вы часто ссылаетесь на выдающего ученого Н. А. Морозова. Вы можете уточнить степень вклада этого ученого в Ваши теории, а также различия между подходом Морозова и Вашим?
Сомнения в правильности хронологии Скалигера возникли не сегодня. Об этом заговорили сразу же, как только она была опубликована, и ее начали силой внедрять в общественное сознание. В XVI веке против скалигеровской хронологии выступил профессор Саламанкского университета de Arcilla. Затем иезуитский историк и археолог J.Hardouin (1646-1724). Знаменитый ученый Исаак Ньютон (1642-1727). Немецкий приват-доцент R.Baldauf (публикация 1902-1903 годов). Английский историк Эдвин Джонсон (1842-1901). И другие. Но первым исследователем, по-настоящему широко и радикально поставившим вопрос о научном обосновании хронологии был замечательный русский ученый-энциклопедист Н.А.Морозов (1854-1946). Он выдвинул и частично обосновал гипотезу, что скалигеровская хронология древности искусственно удлинена по сравнению с реальностью. Он проанализировал скалигеровскую хронологию от якобы глубокой древности до VI века н.э. и указал на необходимость радикального исправления дат. Тем не менее, Морозов не продвинулся выше VI века н.э., считая, что здесь принятая сегодня хронология VI-XVII веков более или менее верна. Это его мнение оказалось глубоко ошибочным. Морозов не смог выявить какую-либо систему в хаосе возникающих передатировок. Как мы показали, на основе наших новых методов датирования, хронология Скалигера нуждается в исправлении не до VI, а вплоть до XVII века (то есть до эпохи самого Скалигера, что, кстати, не случайно). Таким образом, наши датировки отличаются от морозовских в среднем на тысячу и более лет. Мы утверждает, что только после середины XVII века принятая сегодня хронология более или менее справедлива. Ранее же XVII века истинные даты многих важных событий были искусственно сдвинуты вниз примерно на 100 лет, или на 330 лет, или на 1050 лет, или на 1800 лет. Для восстановления истинной истории, теперь следует «поднять вверх» скалигеровские датировки на указанные выше величины сдвигов.
Один из главных тезисов Вашего исследовании опирается на работу некоторых ренессанских ученых, таких как De Arcilla или Hardouin, которые в своих трудах, утверждали, что вся древняя история и литература были сочинены в разгаре Средневековья. Поистине потрясающая теория. Вы не смогли бы нам пояснить ее подробнее?
Здесь нужно сделать важное уточнение. Мы вовсе не опираемся на работы тех ученых, в которых заявлялось, будто вся древняя литература сочинена в Средине Века. Более того, мы утверждаем, что такой тезис глубоко неверен. Известная нам сегодня версия истории вовсе не была выдумана из головы. Напротив, мы утверждаем, что основные знаменитые «античные» авторы – Геродот, Тит Ливий, Гомер, Ксенофонт и т.д. описывали реальные события XII-XVII веков. Их тексты – отнюдь не выдуманные фантазии. Они искренне пытались рассказать нам о прошлом.
Но другое дело, что эти тексты были потом пропущены через тенденциозное редактирование, через цензуру XVII-XVIII веков. Цензоры эпохи Реформации отредактировали этих авторов в нужном им ключе, и в первую очередь внесли ошибочные скалигеровские даты, искусственно отодвинув описанную античными авторами реальность в глубочайшее прошлое. На самом деле античность – это эпоха XII-XVI веков. Поэтому, читая сегодня античных авторов, надо постоянно задаваться вопросом – когда и где происходили описанные события? События эти – реальные, однако, как выясняется, часто они происходили в другое время, куда более близкое к нам, и часто совсем те в тех географических регионах, как сегодня считается. Иными словами, нужно постоянно выяснять: о чем тут рассказано НА САМОМ ДЕЛЕ?
Какую роль сыграла цензура со стороны католической церкви в обнаруженном Вами искажении исторической хронологии?
Как я уже говорил, в эпоху XVI-XVIII веков была проведена цензура и тенденциозная обработка античных текстов, то есть текстов XII-XVI веков. Безусловно, роль церковных католических редакторов была велика. Как справедливо отмечал историк А.Я.Гуревич, «на протяжении веков история оставалась по преимуществу церковной историей, и ее писали, как правило, духовные лица». Однако не только католические церковные историки участвовали в искажении подлинной истории и создании скалигеровской версии. Речь идет не просто о естественных ошибках в датах, вызванных несовершенством математических и астрономических методов XVI-XVII веков, а часто о преднамеренной фальсификации, с целью создать «новую модель древнего мира», радикально изменить всю картину древности. Причины этой деятельности очень важны, их удалось вскрыть, и мы подробно разъясняем их в наших книгах. Одним из ведущих мотивов было стремление скрыть существование в эпоху XIII-XVI веков единой Империи, охватывавшей огромные территории Евразии, Европы, часть Африки и Америки, и известной нам сегодня под различными именами, например, «античная Римская Империя», «Империя Карла Великого», «Империя Карла Пятого», «Священная Римская Империя германской нации», «Арабский Халифат», «Империя Габсбургов», «Монгольская Империя» и т.д. Эта Империя раскололась в начале XVII века в результате мятежа Реформации.
Когда я читал Вашу интереснейшую книгу 400 anni di inganni (400 лет обмана), меня особенно поразили значительные различия обнаруженные Вами между историческими свидетельствами, касающимися древних затмений и теми характеристиками, которые они должны были бы иметь согласно датировкам, официально приписанным традиционной хронологией. Вы могли бы раскрыть эту тему?
Действительно, это интересный эффект. Дело в том, что хронологи и астрономы XVIII-XX веков, воспитанные уже на базе ошибочной скалигеровской хронологии, приступая к датировке того или иного «античного» затмения (или «античного» зодиака, то есть изображений с указанием расположения планет по созвездиям зодиака), уже «заранее знали», где оно примерно должно располагаться на оси времени, согласно версии Скалигера-Петавиуса, то есть якобы «в глубокой древности». Но, как мы показали в наших работах, эти «античные» лунные и солнечные затмения на самом деле происходили в эпоху XII-XVII веков. В результате, астрономы и хронологи, пытаясь найти «нужное им решение» в глубокой древности, оказывались в тупике. Подходящего «очень древнего» решения просто не было. И тогда астрономы пускались на хитрости, начинали делать натяжки, отыскивая не точное астрономическое решение, а лишь частично удовлетворяющее требованиям, описанным в старинном источнике. Другими словами, шли на подлог. Лишь бы спасти скалигеровскую ошибочную хронологию. Если же отыскивать точные астрономические решения, удовлетворяющие всем условиям, описанных в «античных» документах, то решения оказываются в интервале XII-XVII веков, а вовсе не в глубокой древности. Тем самым, астрономия вступила в серьезное противоречие со скалигеровской хронологией. А историки и некоторые астрономы пытаются сделать вид, что «все в порядке», замалчивая разительные расхождения между астрономией и скалигеровскими датировками затмений и зодиаков (гороскопов).
Скажите пожалуйста, профессор Фоменко, что значит для такого важного ученого и преподавателя как Вы, занять сугубо "контр-историческую", нетрадиционную позицию? С какими трудностями Вы столкнулись и сталкиваетесь, общаясь с Вашими коллегами и "традиционными" историками?
Наши исследования вызывают большой интерес научного сообщества и вообще широкой общественности. Наши исследования переводятся на иностранные языки. Многие ученые естественно-научных специальностей (математики, физики и т.д.) нас поддерживают. В то же время, многие историки выступают против наших исследований, громко требуя их запретить. К сожалению, содержательных возражений мы от них не слышим. Наши методы и статистические результаты никто содержательно не оспаривает. В основном, оппоненты сразу обрушиваются на наши гипотезы и реконструкцию подлинной истории, хотя мы постоянно подчеркиваем, что реконструкция пока во многом гипотетична. В то же время, мы гарантируем достоверность наших вычислений и полученных дат, тем более, что они доступны проверке и любой желающий может их повторить. Так что мы работаем в сложной атмосфере борьбы вокруг Новой Хронологии. Кстати, многие молодые историки нас поддерживают и сообщают интересные факты, но при этом просят не называть их фамилий, опасаясь отрицательной реакции некоторых своих старших коллег. Надеюсь, в недалеком будущем Новая Хронология начнет восприниматься историками более спокойно, и постоянно предлагаемое нами сотрудничество математиков и историков, наконец, состоится.
Жизненный опыт (в качестве преподавателя - Пьетро преподает историю и философию в одном лицее в г. Турине), меня, возможно, как и Вас, поставил перед выбором: принимать и продолжать преподавать своим ученикам классическую историю, со своими «истинами» часто более идеологическими, чем соответствующими документам и фактам, или же отказаться от всей этой информации, которую я считаю явно искаженной. Я выбрал этот второй путь, в основном ради своей совести и из чувства уважения к себе и своим ученикам.
А Вы, как Вы пережили и переживаете эту ситуацию? От чего Вам пришлось отказаться и что Вы выиграли, выбирая путь "против течения»?
Как и Вы, мы являемся учеными, а потому для нас на первом месте стоит поиск и достижение научной истины. Возникающие внешние трудности на этом пути, и даже личные нападки, конечно, усложняют исследования. Но мы стараемся не отклоняться от выбранного нами пути. Мы рады тому, что нам удалось создать новую науку на стыке математики, астрономии и истории, под названием Новая Хронология, которая многое проясняет в нашем понимании не только прошлого, но и настоящего. Думаю, что этот крупный выигрыш перевешивает потери, которые мы понесли на этом пути.
Я очень Вам благодарен, профессор, за то, что Вы предоставили мне возможность взять у Вас интервью.
Эксклюзивное интервью предоставлено от Анатолием Фоменко для Pietro Ratto, IN-CONTRO/STORIA, 16 июля 2014.
Все права защищены. Для получения дополнительной информации, пожалуйста, посетите chronologia.org
La rivoluzione della Nuova CronologiaIntervista ad Anatolij Fomenko
Pietro Ratto, 16 luglio 2014
(traduzione a cura di Vera Bani)
Professor Fomenko, Le farebbe piacere riassumere per i nostri lettori italiani le sue rivoluzionarie teorie in relazione alla cronologia storica cosiddetta “scaligeriana” che ritiene errata? Come Lei sa, la maggior parte delle persone utilizza correntemente la cronologia ufficiale senza nemmeno aver mai sentito parlare di Giuseppe Scaligero...
La Nuova Cronologia è un importante settore di ricerca inaugurato nel XX secolo da alcuni studiosi russi (A.T.Fomenko, G.V.Nosovskij, V.V.Kalašnikov, T.N.Fomenko). A spingerci in questa ricerca fu la scoperta che la versione della cronologia e della storia dell'antichità e del Medioevo comunemente seguita era sostanzialmente adulterata e necessitava di una revisione fondamentale che arrivasse fino al XVII secolo compreso. A quest’asserzione siamo giunti sulla base dei nuovi metodi matematici, statistici e astronomici elaborati appositamente dal nostro gruppo. I nostri risultati hanno dimostrato che quasi tutte le fonti scritte antiche giunte fino a noi parlano di eventi accaduti nell’ epoca compresa tra i secoli XI-XVII. Il fatto è che nell'epoca in cui fu creata la cronologia globale, cioè nei secoli XVI-XVII, la maggior parte di queste fonti fu datata non correttamente, ragion per cui le vicende medievali in esse descritte furono artificialmente spostate di diverse centinaia, e persino migliaia, di anni nel passato fino a creare immagini riflesse, fantasmi degli eventi accaduti nei secoli XI-XVII. Questa dimensione-fantasma fu poi chiamata "antichità". Oggi pochi sanno che la cronologia globale dell'antichità è di fatto una creazione relativamente recente, nata nei secoli XVI-XVII per opera dei cronologisti medievali G.Scaligero (1540-1609) e D. Petavius (1583-1652) e successivamente "cementata" dai seguaci della loro scuola. Nei lavori fondamentali di Scaligero e Petavius la cronologia dell’antichità viene riportata in forma di tabelle senza alcuna giustificazione scientifica. L’unica sua base è la "tradizione della chiesa", ma di fatto anche le origini di questa tradizione non risalgono a tempi anteriori al XVI secolo. La cronologia, intesa come "l'arte di calcolo delle date" è essenzialmente una branca della matematica applicata. Per questo motivo Scaligero e Petavius si consideravano dei matematici. Ma il problema è che all’epoca in cui essi vivevano, i metodi matematici e astronomici erano ancora molto grezzi e imperfetti, fatto che determinò la comparsa di errori marchiani nella versione scaligeriana della cronologia. Solo ai tempi d’oggi la matematica e l'astronomia si sono evolute al punto tale da poterci consentire di creare nuovi metodi oggettivi in grado di fornire una datazione attendibile degli eventi antichi.
Grazie ai nostri metodi, dunque, abbiamo riscontrato nella versione di Scaligero-Petavius gravi errori nelle datazioni degli eventi, spostati di centinaia e persino migliaia di anni nel lontano passato. Se si pensa che la cronologia è la spina dorsale di tutta la storia antica si capisce facilmente che la modifica di questo "scheletro" cambia radicalmente tutto l’edificio della Storia. Se si cambiano le date, tutto cambia! La nostra Nuova Cronologia cambia in modo significativo lo sguardo sulla visione del passato attualmente seguita. Sulla base della NC risulta che la storia scritta dell'umanità inizia solo a partire dai secoli X-XI. Che cosa sia successo prima, purtroppo, oggi, sulla base dei documenti scritti, non lo possiamo sapere.
Nei Suoi studi fa spesso riferimento a N. A. Morozov. Ci può chiarire la portata del contributo di questo scienziato alle Sue teorie nonché le differenze tra l’approccio di Morozov ed il Suo?
I dubbi circa l’attendibilità della cronologia di Scaligero non nascono oggi. Se ne parlò da subito, dal momento in cui essa fu pubblicata e si cominciò a diffonderla a forza nella coscienza pubblica. Nel XVI secolo contro la cronologia di Scaligero si espresse il professor de Arcilla, dell’Università di Salamanca. Poi fu la volta dello storico gesuita e archeologo J.Hardouin (1646-1724), del famoso scienziato Sir Isaac Newton (1642-1727), del professore tedesco R. Baldauf (nelle pubblicazioni degli anni 1902-1903), dello storico britannico Edwin Johnson (1842-1901) e di altri ancora. Ma il primo a sollevare in modo ampio e radicale la questione della base scientifica della cronologia fu il grande studioso-enciclopedista N.A.Morozov (1854-1946).
Egli avanzò e giustificò parzialmente l'ipotesi che la cronologia scaligeriana dell'antichità fosse artificialmente allungata rispetto alla realtà dei fatti. Analizzò la cronologia di Scaligero dai presunti tempi antichi fino al presunto VI secolo d.C., sottolineando la necessità di una revisione radicale delle date. Tuttavia, Morozov non si mosse oltre il VI secolo d. C. credendo che la cronologia oggi accettata e relativa ai secoli VI-XVII fosse più o meno fedele. Ma questa sua opinione si è rivelata profondamente sbagliata. Morozov non fu in grado di individuare un qualche sistema nel caos che derivò dalle ridatazioni. Noi, invece, sulla base dei nostri nuovi metodi di datazione, abbiamo dimostrato che la cronologia di Scaligero necessita di revisione non fino al VI secolo ma fino al XVII secolo (cioè, fino al periodo antecedente l’epoca dello stesso Scaligero, fatto che, detto per inciso, non è certo un caso). Di conseguenza le nostre datazioni differiscono da quelle di Morozov mediamente di mille e più anni.
Noi sosteniamo che solo dopo la metà del XVII secolo la cronologia adottata oggi sia più o meno giusta. Prima del XVII secolo le vere date di molti eventi importanti furono artificialmente spostate verso il basso di circa 100, 330, 1050 o 1800 anni. Per ripristinare la vera storia, ora si dovrebbero "portare in su" le datazioni di Scaligero, integrandole con le grandezze corrispondenti a detti spostamenti cronologici.
Una delle tesi centrali del Suo studio si rifà appunto ai già citati studiosi rinascimentali De Arcilla o Hardouin i quali, nei loro scritti, sostennero che tutta la storia e la letteratura antica fossero state composte in pieno Medioevo. Una teoria, questa, davvero sconcertante. Vuole spiegarcela meglio?
Qui è necessario fare una precisazione importante. Noi non ci basiamo affatto sui lavori di quegli scienziati, che sostengono che l'intera letteratura antica sia stata composta nel Medioevo. Non solo, ma riteniamo che tale tesi sia profondamente sbagliata. La versione della storia che ci è nota oggi non è stata inventata di sana pianta. Al contrario, riteniamo che i più famosi autori "antichi" - Erodoto, Livio, Omero, Senofonte, ecc abbiano descritto eventi reali dei secoli XII-XVII. I loro testi non sono affatto fantasie immaginarie. Essi hanno cercato veramente di raccontarci fatti del passato. Ma un'altra cosa è che questi testi siano stati poi passati attraverso un filtro tendenzioso, cioè attraverso la censura dei secoli XVII-XVIII. I censori dell’epoca della Riforma hanno modificato i testi di questi autori nella chiave che loro ritenevano giusta, introducendo in primo luogo le date scaligeriane, inesatte, e spingendo artificialmente gli eventi reali descritti dagli autori antichi in un arcano passato. In realtà la cosiddetta antichità non è che l'epoca che corrisponde ai secoli XII-XVI. Per questo, leggendo oggi le opere degli autori antichi, bisogna sempre porsi la domanda: quando e dove hanno avuto luogo gli eventi descritti nelle cronache? Gli eventi, di per sé, sono reali ma spesso, come abbiamo scoperto, sono avvenuti in un altro tempo, molto più vicino al nostro, e molto spesso non propriamente in quelle aree geografiche oggi considerate tradizionalmente teatro dei fatti. In altre parole, ci si deve costantemente chiedere: cosa ci racconta, in realtà, un determinato testo?
Che ruolo svolge allora, in questo camuffamento della cronologia storica da Lei individuato, la censura della Chiesa cattolica?
Come ho detto, nell'epoca compresa tra i secoli XVI-XVIII, si istituì un processo di censura e di revisione tendenziosa dei testi antichi, cioè dei testi dei secoli XII-XVI. Certo, il ruolo dei revisori cattolici fu notevole. Come ha giustamente sottolineato lo storico A.Ja.Gurevič "per secoli interi la storia è rimasta prevalentemente la storia della chiesa, scritta fondamentalmente da gente del clero". Tuttavia, non solo gli storici della Chiesa cattolica parteciparono alla distorsione dell’autentica storia e alla creazione della versione scaligera. Non si trattava infatti solo di errori naturali nelle date, dovuti all’imperfezione dei metodi matematici e astronomici dei secoli XVI-XVII, ma spesso di una falsificazione deliberata al fine di creare un "nuovo modello del mondo antico", di cambiare radicalmente l'intero quadro dell'antichità.
Le motivazioni alla base di quest’attività di contraffazione sono molto importanti. Siamo riusciti a scoprirle e le abbiamo spiegate nel dettaglio nei nostri libri. Uno dei motivi principali era quello di occultare l'esistenza, nei secoli XIII-XVI, di un Impero unificato che copriva vaste aree dell'Eurasia, dell’Europa, dell’Africa e dell’America, e a noi noto oggi sotto vari nomi, "l'antico Impero Romano", l’"Impero di Carlo Magno" , "L'Impero di Carlo V", "il Sacro romano Impero della Nazione Tedesca", "il Califfato arabo", "l’Impero degli Asburgo", "l'Impero Mongolo", ecc Questo Impero si frammentò nei primi anni del XVII secolo in seguito alla rivolta della Riforma.
Personalmente, leggendo il suo interessantissimo 400 anni d'inganni (Macro Edizioni), sono rimasto colpito dalle notevoli differenze che Lei ravvisa tra le testimonianze storiche relative alle eclissi antiche e le caratteristiche che esse avrebbero dovuto, invece, avere in relazione alle datazioni ufficialmente attribuite dalla cronologia tradizionale. Ce ne vuole parlare?
E’ vero, è un effetto interessante. Il fatto è che i cronologisti e gli astronomi dei secoli XVIII-XX, cresciuti già sulla base dell’errata cronologia di Scaligero, quando si occupavano di datare l’una o l’altra eclisse "antica"(o "antico" zodiaco, cioè le immagini indicanti la posizione dei pianeti secondo le costellazioni dello zodiaco) già "sapevano in anticipo" dove essa si sarebbe dovuta collocare sull'asse del tempo, in conformità alla versione Scaligero-Petavius, e cioè nei presunti "tempi antichi." Ma, come abbiamo dimostrato nei nostri studi, queste "antiche" eclissi lunari e solari si verificarono di fatto nell'epoca compresa tra i secoli XII-XVII.
Risultò che gli astronomi e i cronologisti, nel tentativo di trovare la "soluzione сhe a loro serviva” in un lontano, antico passato, finirono per ritrovarsi in un vicolo cieco. La soluzione adeguata, quella “molto antica", semplicemente non esisteva. E allora gli astronomi fecero ricorso a una serie di astuzie, ad allungamenti, cercando di individuare non la soluzione astronomica precisa ma una soluzione che soddisfacesse solo parzialmente le circostanze descritte nell’antica fonte. In altri termini, cedettero alla frode pur di salvare l’errata cronologia scaligera.
Se invece si tenta di individuare le soluzioni astronomiche precise, tali da soddisfare tutte le condizioni descritte negli "antichi" documenti, le soluzioni si trovano nell’intervallo dei secoli XII-XVII, e non certo in tempi antichi. E’ ovvio che in questo caso l'astronomia entra in grave conflitto con la versione cronologica sostenuta da Scaligero. Ma gli storici e alcuni astronomi cercano di far finta che "tutto sia a posto", sorvolano sulle eclatanti differenze tra l'astronomia e le datazioni scaligeriane delle eclissi e degli zodiaci (oroscopi).
Cosa significa, professore, per uno studioso e un docente importante come Lei assumere una posizione così “contro-storica”, così anticonvenzionale? Quali difficoltà ha incontrato, e sta tuttora incontrando, nei confronti dei Suoi colleghi e degli storici “tradizionali”?
I nostri studi sono di grande interesse per la comunità scientifica e il largo pubblico in generale, e alcuni testi sono stati tradotti in lingue straniere. Molti studiosi di discipline scientifiche (matematica, fisica, ecc) ci sostengono. Allo stesso tempo, molti storici si oppongono alla nostra ricerca, chiedendo ad alta voce di vietarne la diffusione. Purtroppo, non sentiamo da parte loro delle obiezioni costruttive. I nostri metodi e i risultati statistici non vengono contestati da nessuno in modo significativo. In genere i nostri oppositori si accaniscono contro le nostre ipotesi e la nostra ricostruzione della storia vera, anche se noi sottolineiamo in continuazione che la nostra ricostruzione è in gran parte ipotetica.
Allo stesso tempo, possiamo garantire l'attendibilità dei nostri calcoli e delle date che abbiamo ottenuto, tanto più che esse sono verificabili e chiunque le può ripetere. In generale, comunque, lavoriamo in un clima teso, in un’atmosfera di lotta contro la Nuova Cronologia. E’ vero, d’altra parte, che molti giovani storici ci sostengono e ci raccontano fatti interessanti, pregandoci di non nominarli, nel timore di guadagnarsi la reazione negativa di certi loro colleghi più anziani. Spero che nel prossimo futuro la NC venga percepita dagli storici con maggior serenità e che la cooperazione tra matematici e storici, che proponiamo da sempre, abbia finalmente luogo.
Nella mia esperienza, forse come Lei, mi sono trovato ad un certo punto ad un bivio tra il continuare ad accettare ed insegnare ai miei ragazzi un insieme di “verità” spesso più ideologiche che corrispondenti a documenti e fatti, e il buttare invece tutto all’aria rifiutandomi di continuare a trasmettere nozioni e informazioni che ritenevo evidentemente errate. Ho scelto la seconda strada, più che altro per un scrupolo di coscienza nei confronti di me stesso e dei miei studenti. Lei come ha vissuto, e come vive, questo scrupolo? A cosa ha dovuto rinunciare e cosa ha guadagnato, scegliendo la via “contro-storica”?
Noi, come Lei, siamo studiosi e per questo in prima istanza per noi c’è la ricerca e il conseguimento della verità scientifica. Le difficoltà esterne che sorgono lungo il cammino, e anche gli attacchi personali, senza dubbio sono d’ostacolo alla ricerca. Tuttavia cerchiamo di non deviare dal percorso scelto. Siamo contenti di essere riusciti a creare una nuova scienza al crocevia tra la matematica, l'astronomia e la storia, una scienza chiamata Nuova Cronologia, che fa molta chiarezza nella nostra comprensione non solo del passato ma anche del presente. Credo che questo grande premio superi le perdite che abbiamo subito in questo cammino.
Le sono molto grato, professore, per avermi concesso questa intervista.
( Intervista concessa in esclusiva dal prof. Fomenko a Pietro Ratto per In-Contro/Storia il 16 luglio 2014. Tutti i diritti riservati.
Per ulteriori approfondimenti si veda il sito NUOVA CRONOLOGIA
Solo per il Petrolio
Pietro Ratto, novembre 2012 e successivi aggiornamenti
6 novembre 1914. L'inizio¹
Le truppe inglesi, a tre mesi dall’inizio della Prima Guerra mondiale, sbarcano sulla penisola di Al- Faw, che si trova sul fiume Shatt el Arab, in pieno territorio ottomano. Due settimane dopo conquistano Bassora, città in cui, già dalla fine dell’Ottocento, possedevano il monopolio del commercio marittimo. Nel marzo del 1917 entrano a Baghdad e nell’ottobre 1918 prendono Kirkuk.
Comincia così la conquista dei territori arabi, sottomessi al dominio turco, ricchi di giacimenti di petrolio, una risorsa energetica ormai ritenuta fondamentale dall’invenzione più importante della Seconda Rivoluzione Industriale: il motore a scoppio.
Per conquistare questi territori, che coincidono con buona parte dell’antica Mesopotamia, gli inglesi si servono dell’alleanza degli arabi, che si sollevano contro gli oppressori ottomani con la promessa di un futuro di indipendenza. A tale scopo si mettono in contatto con il vecchio Sceicco della Mecca Hussein (Al Husayn), che così guida la rivoluzione araba dal 1916, partendo proprio dalla Mecca. Al suo fianco gli inglesi collocano alcuni “collaboratori”, il più importante dei quali è Lawrence d’Arabia, archeologo e spia di sua Maestà britannica. In questa rivolta si distingue particolarmente uno dei figli di Hussein, Feisal, a cui viene promesso il regno sui territori liberati dai turchi.
Gli arabo-inglesi si spingono fino a Gerusalemme, poi in Libano e in Siria. Alla fine del 1919 Feisal è re di tutti i territori conquistati, ma già nel 1920, in virtù dei vari trattati di Pace della fine della Grande Guerra, la Siria passa alla Francia e Feisal viene brutalmente deposto.
Le varie rivolte separatiste (come quella curda), scoppiate all’indomani della guerra, vengono sedate nel sangue.
Novantamila le vittime, in molti casi a causa delle armi chimiche.
Il vero intento degli inglesi è ormai sotto gli occhi di tutti. Ancora in piena guerra, nel 1917, d'altra parte, al sionista Edmond Rothschild - membro del ramo francese della potentissima dinastia di banchieri che dalla seconda metà del Settecento finanziava i grandi potenti della Terra - il Ministro degli Esteri inglese Balfour aveva promesso una massiccia presenza di ebrei in Palestina, venendo così meno alle assicurazioni britanniche nei confronti degli arabi, circa una loro indipendenza futura.
Marzo 1921, la nascita dell’Iraq
Alla fine della guerra, nel marzo ‘21, il neo ministro degli esteri inglese Winston Churchill si riunisce in un hotel del Cairo con i protagonisti della conquista dei territori ottomani e con loro decide di “inventare” un nuovo Stato, con capitale Baghdad. Si opta per una monarchia guidata dall’accantonato Feisal. Il nome scelto per questo nuovo Stato è: Iraq, la cui storia inizia ufficialmente nell’agosto dello stesso anno².
Feisal intraprende un percorso da subito molto difficile, dovendo governare su un’accozzaglia di etnie molto diverse tra loro: arabi sciiti e sunniti, ebrei, curdi, ecc. Il territorio è frammentato e controllato da un alto numero di sceicchi; per giunta i sunniti, pur in minoranza, detengono il potere sulla maggioranza sciita. A nord i curdi continuano a rivoltarsi e solo nel 1925 la zona di Mosul, particolarmente “calda” e inizialmente affidata alla Francia, viene assegnata all’Iraq britannico dalla Società delle Nazioni, in seguito all’uscita di scena dei francesi, più interessati a concentrarsi sulla rivalità coi tedeschi.
Comincia così un travagliato dominio britannico, teso allo sfruttamento delle risorse petrolifere di quelle terre e camuffato da monarchia indipendente governata da re Feisal.
Il delitto Matteotti. Un caso a sé?
Il 10 giugno 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti scompare misteriosamente, dopo aver pronunciato un duro discorso contro le violenze e le intimidazioni perpetrate dal fascismo durante la campagna elettorale appena conclusasi. Subito l’opposizione pensa ad un attentato esemplare, si realizza una forte campagna di propaganda antifascista che culmina nella famosa esperienza dell’Aventino delle coscienze e, come molti si aspettavano, Matteotti viene ritrovato senza vita il 16 agosto dello stesso anno. Seguiranno mesi di forte crisi per i seguaci del fascismo. Lo stesso Mussolini dovrà dimettersi dalla carica di Ministro degli interni (che ricopriva ad interim), e riuscirà in extremis a recuperare consensi solo col famoso discorso del 3 gennaio 1925, circostanza che molti considerano l’inizio vero e proprio della sua dittatura.
Seppure a lungo tale omicidio sia stato presentato come un vendetta contro uno dei nomi più in vista dell’antifascismo, sebbene il Duce sia stato sin da subito sospettato di essere stato il mandante di questo che fu considerato un delitto di natura esclusivamente politica, da qualche anno è ormai emersa una verità ancor più inquietante.
Il delitto Matteotti non fu un omicidio politico; ancora una volta si trattò di una delle tante vicende di corruzione, così tipiche della storia italiana. E ancora una volta, dietro a tutto, c’è il petrolio.
Matteotti, infatti, era entrato in possesso di scottanti documenti che parlavano di una cospicua tangente USA indirizzata al Duce in cambio del suo beneplacito circa la realizzazione di una joint-venture tra lo Stato italiano e la compagnia americana Sinclair Oil per lo sfruttamento esclusivo - da parte di quest‘ultima, in virtù del RDL n.677 del 4 maggio 1924 - di tutti i pozzi petroliferi eventualmente scoperti nel sottosuolo di circa una quarantina di chilometri quadrati di territorio italiano (dislocati nel Centro e nel Sud della penisola), e di quello della Libia, colonia italiana ritenuta particolarmente interessante dai petrolieri statunitensi). Su siffatto accordo - scandalosamente vantaggioso per la compagnia americana, che avrebbe riconosciuto allo Stato italiano solo il 40 per cento delle azioni di questa nuova società e soltanto un quarto degli utili derivati dallo sfruttamento del petrolio estratto - Matteotti aveva deciso di riferire in Parlamento il 12 giugno, ma due giorni prima viene rapito. I documenti di cui era in possesso il parlamentare socialista dovevano essere fatti sparire: costituivano la prova della corruzione del Duce, ma dimostravano anche il coinvolgimento del Re - detentore, a titolo privato, di molte azioni di questa nuova società - di alcuni membri della famiglia reale e di diversi parenti dello stesso Mussolini³.
A questa ipotesi, ritenuta ormai l’unica verità da molti storici, si affianca quella dell’esecuzione ordinata dalle frange più estremiste del fascismo per innescare un clima di forte tensione tra il loro partito e la Sinistra, in quanto il Duce, da qualche tempo, non faceva segreto di volersi riavvicinare a quel Partito Socialista in cui era maturata la sua originaria vocazione politica. Ciò spiegherebbe il motivo per cui il Duce, in più occasioni, inizialmente ribadisce la propria estraneità all’attentato Matteotti.
Le due ipotesi, però, potrebbero anche non escludersi. L’omicidio del politico socialista potrebbe anche essere derivato da un concorso di cause.
Fatto sta che la valigetta sottratta a Matteotti durante l‘aggressione e contenente i documenti scottanti concernenti la questione dell’accordo petrolifero tra il Duce e gli Stati Uniti, riapparirà nelle mani del quadrumviro De Bono nel 1944, in occasione del famoso Processo di Verona. Il vecchio collaboratore del Duce, ormai da questi considerato un traditore poiché firmatario del Documento del 25 Luglio, tenterà di barattare le carte segrete con la propria salvezza. Non ci riuscirà e verrà fucilato. La stessa valigetta ricomparirà tra le braccia di Mussolini in occasione della sua cattura a Dongo, nel 1945.
Dopodiché sparirà definitivamente.
I primi anni Trenta. Le mani dell’Italia sul petrolio iracheno
Nel frattempo, in Iraq, si susseguirono anni di ricerche tese a quantificare le effettive risorse di petrolio del paese, alla fine delle quali - nel 1930 - fu stipulato il Trattato anglo-iracheno, che vincolava l’Iraq a consultarsi coi britannici in materia di politica estera e che, tra l’altro, prevedeva una serie di basi militari inglesi sul territorio.
Quanto allo sfruttamento dei giacimenti, in modo ambiguo la compagnia inglese Iraq petroleum gestì per anni la situazione in via esclusiva, poi dovette cominciare a cedere alle pressioni USA, che recriminavano una propria partecipazione anche in virtù dell’appoggio fornito agli alleati nella Grande Guerra.
In seguito si fecero avanti anche Francia ed Italia.
Come ben spiega Benito Li Vigni (cfr. nota 1), Mussolini riuscì ad intraprendere un’ambigua politica estera che alternava dichiarazioni di amicizia agli inglesi a forti critiche nei confronti del loro colonialismo, sostenendo l’indipendenza delle popolazioni arabe. Il generale Mola, espressamente inviato dal Duce, giunse a Baghdad nel marzo 1930 e promise a Feisal il sostegno italiano per l’inserimento dell’Iraq nella Società delle Nazioni come Stato indipendente. Feisal lasciò intendere che avrebbe patrocinato volentieri la causa dell’inserimento degli interessi italiani nello sfruttamento dei giacimenti iracheni.
Nel 1931 l’Iraq firmò l’accordo con la britannica Iraq Petroleum, che avrebbe sfruttato i giacimenti nord-iracheni in cambio di una somma forfetaria.
Dopo lunghe trattative, nel maggio 1932 anche la Bod - compagnia petrolifera inizialmente inglese ma poi “partecipata” dalle compagnie di diverse nazioni europee tra le quali l’Italia, con la sua Agip (fondata nel 1926 da Mussolini) - otteneva dal governo iracheno la concessione, della durata di settantacinque anni, per lo sfruttamento di una vasta area sulla riva destra del Tigri. In virtù dell’accordo la Bod si impegnava a pagare una dead rent di cento mila sterline nel 1933, 125 mila nel ‘34, 150 mila nel ‘35, 170 mila nel ‘36 e 200 mila (circa ventisette miliardi delle vecchie lire a valore attuale), nel ‘37, anno in cui l’accordo sarebbe scaduto.
I vertici Agip esultarono. Il grande sogno italiano di poter attuare una propria politica petrolifera era iniziato. Nel frattempo, dati gli interessi in gioco, il generale Mola era stato sostituito del ministro degli esteri Grandi. Per lo stesso motivo nel luglio 1932 anche il Grandi fu costretto alle dimissioni (accusato di aver intrapreso una politica troppo filo-britannica) e la carica di Ministro degli Esteri passò al Duce, ad interim. Sullo sfondo un Hitler sempre più potente si accingeva ad egemonizzare la scena europea. E questo particolare il Duce non poteva trascurarlo. Nel 1934 l’Inghilterra cominciò a chiedere una proroga del pagamento della dead rent dichiarando di non esser momentaneamente in grado di onorare il suo impegno. Quasi sicuramente la verità non era quella. L’Inghilterra cercava di far decadere l’accordo per inadempienza, in modo da firmarne uno nuovo che tagliasse fuori altre compagnie straniere come la stessa Agip. Anche la Francia cominciò a dichiarare la propria difficoltà a versare la sua quota. L’Italia intuì il trucco e comunicò apertamente all’Iraq le difficoltà inglesi e francesi, giocando d'anticipo.
D’altra parte il Duce si era già fatto scappare un’altra occasione. Dal 1933 il sovrano della neonata Arabia Saudita, Ibn Saud, ben impressionato dall’ostentata politica filo-araba del Duce, aveva dichiarato la propria intenzione di coinvolgere la nostra nazione nello sfruttamento dei pozzi petroliferi sauditi, probabilmente al fine di controbilanciare l’ingombrante presenza dell’americana Standard Oil, compagnia californiana che minacciava di esercitare in quei territori un vero e proprio monopolio (e che di fatto si sarebbe aggiudicata di lì a poco una concessione eccezionale, sbaragliando tutta la concorrenza). In quell’occasione l’Italia non si era però dimostrata in grado di far fronte agli ingenti investimenti, indispensabili per accettare l’invito di Saud. Nel ‘35 si sarebbe limitata, infatti, a proporre al sovrano uno scambio tra dodicimila cammelli sauditi (!) da usare nell’imminente spedizione in Eritrea ed un grosso carico di armi, a cui gli arabi si erano mostrati molto interessati. Scambio che, per giunta, non sarebbe avvenuto mai!
L’occasione dello sfruttamento del petrolio iracheno, quindi, non doveva assolutamente sfuggire al Duce, che decise di contrarre un grosso prestito con una banca svizzera, riuscendo a coprire a sorpresa la quota inglese e quella francese. Di colpo la partecipazione dell’Agip al pacchetto azionario della Bod passava al 53%; l’Italia diventava azionista di maggioranza!
Quanto alle modalità di trasporto del petrolio estratto in Iraq, dopo una serie di calcoli si decise che sarebbe stato più conveniente portarlo in Italia servendosi delle ferrovie piuttosto che provvedere alla realizzazione di uno specifico oleodotto.
3 ottobre 1935. L’attacco all’Etiopia
Il clamoroso successo italiano nella gestione dei pozzi petroliferi iracheni fu fuoco di paglia. In seguito ad un incidente diplomatico verificatosi al confine con la Somalia, l’Italia cedette definitivamente alla tentazione di invadere l’Etiopia, territorio che apparteneva alla sfera di influenza italiana dalla fine della Grande Guerra. Da anni il Negus Selassié, sul trono etiopico dal 1930, aveva mostrato di non aver alcuna intenzione di comportarsi da vassallo del Duce, il quale da tempo nutriva ormai il forte desiderio di riprendersi quella che era stata una colonia italiana fino alla clamorosa disfatta di Adua (1896). L’ambizione di un’Italia “imperiale” era ormai, per Mussolini, assolutamente irresistibile.
Va detto, però, che molti erano gli uomini politici, anche di opposizione, che caldeggiavano l’impresa; persino grandi nomi dell’antifascismo come Rosselli o Labriola, persino il “Presidente della Vittoria” Vittorio Emanuele Orlando, avevano assicurato la propria personale adesione alla campagna di Etiopia.
Se però il 3 ottobre le truppe italiane entravano in territorio etiope (facendo ampio uso di armi chimiche al fine di collaudare un nuovo tipo di guerra in prospettiva di un nuovo conflitto mondiale, ormai nell‘aria), già il 7 la Società delle Nazioni condannava l’aggressione, dietro una fortissima spinta inglese. Le sanzioni economiche nei confronti dell’Italia furono durissime, ma l’embargo che venne stabilito a carico della nostra nazione, incredibilmente, non riguardò in alcun modo l’approvvigionamento di petrolio.
Se infatti la Società delle Nazioni avesse disposto anche un embargo petrolifero nei nostri confronti, la guerra in Etiopia si sarebbe immediatamente conclusa. Le operazioni militari italiane in quella terra, infatti, avevano moltiplicato il fabbisogno di carburante necessario a muovere tutti i mezzi militari utilizzati. Il petrolio iracheno di spettanza dell’Italia non era certo sufficiente per coprire il fabbisogno totale di carburante in patria e sui campi di battaglia; dunque la chiusura delle importazioni estere di petrolio nella nostra nazione avrebbe stroncato sul nascere il sogno dell’Impero. Ma l’embargo sancito dalla Società delle Nazioni non riguardò il petrolio, e il motivo fu di poter ottenere dal Duce, in cambio di questo “favore“, l’uscita di scena dell’Italia dal giro d’affari in Iraq su cui aveva appena messo le mani!
Una mattina di fine novembre 1935, quindi, Mussolini convocò il Presidente dell’Agip, Umberto Puppini, e gli diede un ordine perentorio. Abbandonare i pozzi iracheni per “il bene della Patria”.
La conquista dell’Etiopia era stata definitivamente barattata con gli interessi petroliferi italiani in Iraq.
Il Duce, da quel momento, amplificò la sua politica araba; finanziò segretamente la lotta palestinese antibritannica atteggiandosi a paladino dell’indipendenza dei popoli arabi. Il tutto fino agli accordi di Monaco, quando i rapporti italo - britannici conobbero una momentanea fase di distensione. Nel frattempo, in piena autarchia, richiamò i cittadini al sacrificio eroico del proprio benessere in cambio del prestigio dell’Impero, chiese alle donne italiane di offrire sull’Altare della Patria le loro fedi d’oro, s’inventò - con scarsissimo successo - una produzione alternativa di carburante intensificando la produzione di carrube, barbabietola, mais, da distillare per ottenere l’alcol necessario da mischiare con la benzina, importata dall’estero. La distillazione, però, necessitava di carbone, che andava comunque comprato dagli altri Paesi, comportando così una spesa complessiva persino maggiore di quella necessaria per l’acquisto di pari quantità di benzina! “Robur”, così fu pomposamente chiamato questo carburante italiano, costituito dal 52% di alcol vegetale mischiato alla benzina, tanto propagandato quanto rapidamente abbandonato.
Il tutto per far fronte a quelle sanzioni internazionali (embargo su armi e munizioni, blocco di qualsiasi prestito e credito all’Italia, divieto da parte di tutte le altre Nazioni di importare prodotti italiani e di esportare nella nostra penisola le loro merci, naturalmente carburanti a parte!), che, di fatto, non vennero applicate mai e furono revocate già dal luglio ‘36, a Campagna d’Etiopia ormai conclusa!
Un’altra guerra
Tra le molteplici cause della Seconda Guerra mondiale l’approvvigionamento di petrolio costituisce una delle motivazioni fondamentali. Dalla sua ascesa al potere Hitler aveva potenziato sempre più gli impianti di produzione di carburante sintetico, in modo tale da rendersi il più possibile autonomo dalle importazioni straniere. All’inizio del 1940 poteva infatti contare su un 46% di carburante di propria produzione; relativamente ai mezzi militari, poi, il sistema tedesco di idrogenazione copriva addirittura il 95% del fabbisogno totale. Ma il petrolio restava una priorità, per i tedeschi, che, pur impossessatisi immediatamente dei pozzi polacchi, norvegesi, francesi e belgi con l’inizio delle ostilità, consideravano obiettivo della massima importanza la conquista delle risorse petrolifere russe. Questo, in realtà, fu il principale motivo della disastrosa Operazione Barbarossa, finalizzata anche alla messa in sicurezza dei pozzi rumeni della zona di Ploesti, da cui veniva estratto il 60% del fabbisogno tedesco ed il 20% di quello italiano. L’operazione fu da Hitler ritenuta non più procrastinabile quando l’URSS, nel giugno 1940, occupò buona parte della Romania nord orientale con la scusa di poter far fronte alle forniture di carburante nei confronti della Germania, così come previsto dal patto Molotov-Von Ribbentrop, ma il Führer si insospettì e decise di avviare quanto prima l’occupazione del territorio sovietico, puntando soprattutto ai giacimenti di Baku, nel Caucaso.
Quanto all’Italia, Churchill fece di tutto per “comprare” la sua neutralità, promettendo in cambio - oltre alle province “irredente” rimaste ancora in mano nemica alla fine della Grande guerra - Nizza, la Corsica, la Tunisia settentrionale, la Savoia francese. Le lettere con cui il cancelliere inglese prometteva tutto ciò sono state scoperte da poco. E’ altresì vero, però, che alle trattative “bonarie” Churchill affiancò iniziative a dir poco minacciose, come il fin troppo sottovalutato blocco navale realizzato dalle navi inglesi dall’inizio del 1940 con l’intento di interrompere i traffici commerciali tra l’Italia e le proprie colonie. Il tutto per spingere il Duce su posizioni molto più estreme rispetto a quella semplice non belligeranza prospettata da Churchill; queste misure tendevano, in realtà, a costringere l’Italia a schierarsi decisamente contro Hitler, a fianco degli inglesi.
Mussolini, però, reagì in senso contrario e si legò definitivamente al Führer ed alla sua folle spedizione in territorio sovietico.
Anche la ritirata italo tedesca in Russia ha a che fare con il petrolio. Le riserve di carburante cominciarono a scarseggiare già al momento dell’ingresso nella periferia di Mosca. Il generale Inverno fece il resto. La svolta decisiva dell‘ingresso in guerra degli USA, poi, non potrebbe nemmeno venir adeguatamente compresa senza pensare che l’embargo petrolifero imposto dagli americani al Giappone costituì uno dei due motivi dell’attacco nipponico su Pearl Harbour. L’altro motivo, d’altra parte, fu il tentativo giapponese di neutralizzare la flotta americana così da permettere alle proprie forze militari di invadere indisturbate il Sud est asiatico e le Indie olandesi, territori - manco a dirlo - pieni di giacimenti petroliferi!
Quanto all’Iraq, l’Italia approfittò della guerra per tentare di organizzare un golpe filofascista e riprendersi, così, le proprie quote petrolifere. Il tutto facendo leva sul sentimento antibritannico iracheno, amplificato proprio dal conflitto mondiale. Hitler, dal canto suo, approvava questo tipo di manovre, che oltre tutto potevano seriamente disturbare l’Inghilterra sottraendole il carburante necessario per procedere nell’attività bellica.
L’occasione si presentò quando l’Inghilterra, facendo leva sul Trattato anglo iracheno del 1930, chiese ufficialmente al governo di Baghdad (17 aprile ‘41) di permettere lo sbarco delle proprie truppe a Bassora; il governo rispose con un netto diniego ma gli inglesi sbarcarono ugualmente dando inizio ad una serie di scontri con le forze militari irachene. Così Germania ed Italia inviarono i propri aerei (il Duce riuscì in realtà a mettere insieme una flotta quasi ridicola, composta da soli tredici velivoli), e negli ultimi giorni di maggio si scatenò la Battaglia di Baghdad, conclusasi però con una disfatta degli iracheni ed il ritiro della flotta italo tedesca. Ciano, nei suoi diari, commenterà: “Questa è la prova evidente dell’impreparazione della nostra aereonautica”.
La duplice sconfitta di El Alamein (sulla quale, tra l’altro, gravò moltissimo la carenza di carburante sofferta delle forze dell’Asse), stroncò definitivamente ogni ambizione di un Commonwealth mediterraneo, più volte vagheggiato dai due dittatori. E disintegrò anche l’ultima speranza di Hitler: riprovare a raggiungere i giacimenti petroliferi di Baku, passando per la Palestina, l’Iran e l’Iraq.
Fermare Mattei
Nel frattempo re Feisal era morto misteriosamente, a Berna, nel 1933. Sotto il debole potere del figlio, Feisal II, si verificò una serie di tentativi di golpe, come quello del 1936, ed un lungo periodo di vuoto di potere di fatto gestito da una forte presenza britannica, fino all’ascesa alla carica di primo ministro di Al Ghaliani, che portò l’Iraq su posizioni filo fasciste, rifiutando agli inglesi, come abbiamo visto, il permesso di sbarcare nel suo regno e dando il via alla Battaglia di Baghdad. Ma, come detto, gli inglesi ebbero la meglio, riuscirono a reintrodurre nel governo iracheno i loro uomini e nel 1948 stipularono con Al Ghaliani un nuovo Trattato, che di fatto prolungava il loro protettorato sulla zona di altri vent’anni.
La popolazione irachena si ribellò a lungo alla sudditanza nei confronti degli inglesi, sempre più solidale con il colonnello Nasser, che in Egitto, in nome della nazionalizzazione del Canale di Suez e della totale indipendenza del proprio Paese, nel 1952 procedeva alla rivoluzione repubblicana deponendo re Faruk e proponendosi come il nuovo leader internazionale del movimento indipendentista arabo. Così, nel 1958, i rivoltosi guidati dal generale Abdul Karim Kassem trucidarono Feisal II ed altri politici e parenti a lui vicini, inneggiando più a Nasser che allo stesso Kassem. Questi, in Iraq, inaugurò una politica fortemente anti britannica, e pretese, tra l’altro, di riprendersi il controllo delle proprie risorse petrolifere. Il nuovo leader voleva il totale controllo dell’Iraq, e per ottenerlo non esitò a far accusare di tradimento, destituire ed arrestare il primo ministro Aref, colpevole di essersi pericolosamente schierato a favore del progetto di una Repubblica Araba Unita guidata da Nasser. Una successiva sommossa pro-Aref fu sedata da Kassem grazie all’aiuto del partito comunista locale, cui poi fu riconosciuta una schiacciante maggioranza nel successivo governo.
A rivoluzione non ancora conclusa l’Iraq si precipitava a chiamare l’Italia per riprendere le trattative fermatesi all’epoca del Duce, al fine di gestire il proprio petrolio in joint venture con qualcuno che salvaguardasse i diritti dell’economia irachena molto più dei petrolieri inglesi. E non si rivolse genericamente all’Italia. Si rivolse ad Enrico Mattei. Il Presidente dell’ENI si era infatti distinto per aver appena siglato un eccezionale accordo petrolifero con l’Iran, che riconosceva molti vantaggi al Paese produttore sbaragliando così la concorrenza britannica. La sua formula, che era pronto ad offrire anche a Kassem, consisteva in un sistema chiamato “25/75”. In pratica l’ENI anticipava tutte le spese di ricerca di eventuali nuovi giacimenti; nel caso ne fossero stati trovati, il Paese produttore avrebbe allora versato la metà dei costi sostenuti diventando socio paritetico dell’ente italiano. I profitti sarebbero stati divisi al 50% ma l’ENI si sarebbe obbligato a versare al fisco del Paese produttore la metà del proprio profitto! Tale sistema, inoltre, permetteva al Paese ospitante di maturare proprie capacità imprenditoriali, partecipando in tutto e per tutto alla gestione amministrativa e strategica degli affari petroliferi sul proprio territorio. Nulla a che vedere con lo sfruttamento (tramite cifre forfetarie erogate allo Stato produttore in cambio di un utilizzo esclusivo dei pozzi e di un profitto al 100%), da decenni imposto dai britannici!
Cominciarono così i contatti italo iracheni, all’insaputa degli inglesi, proprio in contemporanea con quelli stabiliti da Mattei con l’URSS, che consistevano in uno scambio (sancito definitivamente nel 1960), di grosse proporzioni tra il petrolio sovietico e la gomma sintetica italiana unitamente ad attrezzature e macchinari petroliferi di nostra produzione. Il tutto scatenò le ire e le proteste degli USA contro Mattei, colpevole di fare affari con i comunisti, sia russi che iracheni!
Il modo “etico e solidale” di fare affari del petroliere italiano (Giorgio La Pira, sindaco DC di Firenze in quegli anni, definì quello del Presidente dell’ENI un impegno di liberazione ed emancipazione), suscitò critiche a ripetizione da parte degli inglesi e degli americani, mentre diffuse l’entusiasmo e l’interesse per una gestione italiana delle proprie riserve petrolifere in giro per i Paesi arabi (in Egitto, ove fu siglato un analogo accordo, in Marocco - il cui re Maometto V non esitò a recarsi a Firenze per parlare con Mattei addivenendo poi ad un effettivo trattato con la solita formula - ma anche in paesi come la Tunisia e l’Algeria, per i quali il nome del petroliere italiano cominciò ad essere legato ai propri progetti di indipendenza dalle potenze coloniali europee).
Cominciarono i dissidi politici interni all’Italia e il Presidente del Consiglio Fanfani prese le distanze da Mattei per salvaguardare i rapporti con gli Stati Uniti, dato che lo stesso Segretario di Stato americano Dulles considerava ormai il Presidente dell’ENI una minaccia nei confronti degli obiettivi politici americani.
In un clima di grande tensione Mattei decise di sfidare gli americani avviando contatti segreti con l’Iraq, al fine di perfezionare l’accordo. In conseguenza della sua vantaggiosa offerta, nel 1961 Baghdad decise di strappare alle compagnie petrolifere inglesi il 99,5% delle aree in concessione, determinata a consegnarle nelle mani dell‘ENI. Contemporaneamente il nuovo presidente americano Kennedy inaugurò una politica tesa a migliorare le relazioni americane con Mattei, conquistato dai valori etici, ma anche dall’enorme influenza in territorio arabo, del petroliere italiano. Venne così avviata una trattativa tra l’ENI e l’americana ESSO, patrocinata proprio dall’amministrazione Kennedy. Restava però il problema dei rapporti tra Mattei e l’URSS, rapporti che agli americani continuavano a non andar giù. Fanfani, nel settembre 1962, ordinò a Mattei di non acquistare più petrolio russo. Mattei, in tutta risposta, decise di spostare i suoi finanziamenti dalla corrente fanfaniana a quella di Aldo Moro, pienamente d’accordo con la sua linea “etica”. A fine settembre Kassem annunciava trionfalmente la nascita della compagnia petrolifera nazionale irachena (la Inoc), preannunciando l’imminente accordo con l’ENI. Contemporaneamente si prospettava un trattato tra l’ente italiano e la Libia. L'OPEC, l'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio nata due anni prima per contrastare lo sfruttamento selvaggio perpetrato dalle Sette Sorelle, stava cominciando a dare i suoi frutti. Inizialmente l'organizzazione comprendeva Iraq, Iran, Kuwait, Arabia Saudita e Venezuela, ma nel corso degli anni successivi sarebbe stata estesa ad altre otto nazioni: Libia, Katar, Indonesia (uscita nel 2009), Emirati Arabi, Nigeria, Algeria, Equador e Angola. I Paesi i cui interessi risultavano improvvisamente colpiti dalla nascita di questa organizzazione, però, non sarebbero rimasti a guardare.
Il 27 ottobre 1962 l’aereo personale di Mattei esplodeva in volo, precipitando a Bescapè, vicino a Linate. Il Presidente dell’Eni stava recandosi negli USA per essere ricevuto da Kennedy, il quale, per altro, sarebbe stato ucciso di lì a poco.
Il Giudice Vincenzo Calia ha indagato per un decennio sull’incidente aereo di Mattei, combattendo giorno dopo giorno contro il segreto di stato imposto dai servizi segreti italiani sulla vicenda. Le sue indagini hanno portato alla certezza, da parte dello stesso magistrato, circa la matrice dolosa dell’incidente. Ma il 24 gennaio 2001 l’onorevole Giovanardi ha chiesto ed ottenuto dal Ministro della Giustizia di imporre al magistrato di non perdere tempo a soddisfare la sua vocazione di romanziere sottraendosi ad indagini ben più serie.
Nel 2004 Calia ha depositato una sentenza di archiviazione, negando l‘ipotesi dell‘esplosione precedentemente da lui stesso provata.
All’indomani della morte di Mattei l’ENI ha ripreso la vecchia linea tornando indietro sui propri passi, facendo cadere i vari trattati e lasciando spazio alla vecchia politica di sfruttamento delle compagnie anglo-americane⁴.
1975. La morte di Pasolini
Negli ultimi mesi di vita, Pier Paolo Pasolini si dedicò con molto impegno al suo libro Petrolio, incentrato sugli interessi che ruotano attorno a questa risorsa e sui legami tra petrolio e strategia della tensione. Un numero sempre maggiore di studiosi e di storici sono convinti che la morte prematura, violenta, dello scrittore - avvenuta nel 1975 in circostanze in realtà ancora misteriose - potrebbe aver poco a che fare con le dinamiche omosessuali inizialmente tirate in ballo per spiegare l’omicidio. L’uccisione a sfondo sessuale sembra sempre più una copertura costruita appositamente per mascherare un’esecuzione, volta a far sparire un uomo di grande apertura mentale e di grande intelligenza, che criticava aspramente le logiche di potere di molti “intoccabili”, a livello nazionale ed internazionale. Uno dei reali motivi di questo omicidio, forse, potrebbe essere quel famoso “appunto 21” scomparso dal libro sopra citato e contenente, secondo alcuni, verità imbarazzanti per molti politici e per i vertici dell’ENI di quegli anni. Il senatore Marcello Dell’Utri, braccio destro di Silvio Berlusconi e conclamato “anello di congiunzione” tra la mafia ed il potere politico italiano, sostiene di essere in possesso del prezioso capitolo, che però non ha mai mostrato pubblicamente. E se taluni studiosi ritengono che questo appunto possa anche non essere mai esistito, altri si richiamano ad uno dei capitoli successivi di Petrolio, in cui l’autore lo cita espressamente. D’altra parte non è un segreto che la sorella di Pasolini abbia denunciato il furto di alcuni scritti del fratello, immediatamente dopo la sua morte.
1979: Saddam Hussein al potere
Kassem pagò caro il proprio nazionalismo e le proprie alleanze comuniste. Nel febbraio 1963 gli americani organizzarono ed appoggiarono un colpo di stato guidato proprio da quel colonnello nasseriano Aref - che Kassem a suo tempo aveva fatto arrestare - affiancato dall’organizzazione estremista Ba’ath, che tra i propri esponenti comprendeva anche Saddam Hussein. I successivi conflitti tra i due schieramenti arrivati al potere si risolsero con la vittoria dei nasseriani. Lo stesso Saddam finì, per un breve periodo, in carcere. Nel ‘66 Aref morì in un incidente aereo, gli succedette il fratello. Nel contempo i pozzi petroliferi erano saldamente tornati nelle mani delle compagnie anglo americane, con buona pace dell’ENI presieduta dal successore di Mattei, Eugenio Cefis.
Nel 1968 fu la volta di un colpo di stato ba’athista, con un Saddam Hussein sempre più in privilegiato dagli USA per le sue inclinazioni “filoamericane”. Negli anni a seguire si verificarono gravissime persecuzioni nei confronti delle minoranze etniche (a partire da quella curda) e dei comunisti, epurati definitivamente nel 1979 attraverso eccidi ed esili forzati. Nello stesso anno Saddam Hussein effettuò un colpo di mano collocandosi al vertice dell’Iraq ed assumendo il controllo di tutte le principali cariche politiche. Leader di un Paese che dal 1975 gli USA avevano aiutato a diventare la nazione con il più micidiale arsenale militare di tutto il Medio Oriente.
Pupillo degli americani, Saddam Hussein condusse con il loro appoggio la Guerra contro l’Iran (1980-1988), caratterizzata da enormi massacri, bombardamenti a base di armi chimiche, deportazioni ecc. Dopo aver erogato finanziamenti e fornito armamenti (secondo un programma che coinvolse massicci aiuti economici e militari all‘Iraq anche da parte delle altre nazioni occidentali, Italia inclusa), l’appoggio americano divenne diretto negli ultimi due anni, periodo nel quale il 70% degli attacchi all’Iran partirono da unità statunitensi. Anche questa guerra è da inquadrarsi nella solita febbre da petrolio. Da anni gli USA stavano cercando di mettere le mani sui pozzi iraniani, vanificando così i precedenti - odiatissimi - accordi tra l’Iran e l’ENI di Mattei. Tutti gli sforzi della CIA per collocare al comando del Paese un governo filoamericano si erano però infranti contro la rivoluzione (16 gennaio 1979) dell’ayatollah Khomeini, leader religioso che aveva rovesciato il governo dello scià, molto vicino agli USA. Il 22 settembre 1980, però, gli aerei di Saddam avevano bombardato le principali basi militari iraniane dando inizio alla lunga guerra e fornendo così agli Stati Uniti un utile strumento di conquista di quel Paese.
A guerra ultimata, un Saddam ormai troppo potente divenne improvvisamente un Satana. L’invasione del Kuwait, dettata dalle sue mire imperialistiche e dalla sua sete di egemonia in Medio Oriente, fu il pretesto ideale per permettere agli USA di invertire improvvisamente la propria politica nei confronti dell’Iraq ed avviare, nel 1991, la prima Guerra del Golfo, che terminò con il perentorio nei confronti di Saddam, da parte dell’ONU, di distruggere qualsiasi arma di distruzione di massa in suo possesso. Un argomento che gli americani avrebbero riutilizzato per giustificare i successivi attacchi all’Iraq.
La svolta. L’11 settembre
Il nome di Osama Bin Laden non è una novità del cosiddetto “attacco” alle Twin Towers. Nel 1993, all’indomani del primo attentato al World center di New York, il suo nome era stato pronunciato per la prima volta dai mass media. Sicuramente, però, figurava negli archivi della CIA dalla metà degli anni ‘80, quando il terrorista saudita era stato proficuamente utilizzato dagli americani nella guerra contro i russi, in Afghanistan.
L’attentato dell’11 settembre 2001, però, fornì un validissimo pretesto agli USA al fine di inaugurare un periodo nuovo, fatto di continue intromissioni nella privacy delle persone in nome della sicurezza e, soprattutto, di una guerra ininterrotta “contro il terrorismo”. Guerra che, naturalmente, si concretizzò in un’aggressione all’Iraq motivata con l’urgenza di eliminare Saddam Hussein - considerato, dagli Stati Uniti, in stretto collegamento con Al Qaeda - e cancellare le sue “armi di distruzione di massa”. L’imperativo di trovare assolutamente le prove del possesso, da parte del dittatore iracheno, di armi nucleari in grado di minacciare la sicurezza del pianeta trovò una valida risposta - secondo un‘inchiesta dell’agenzia giornalistica statunitense Knight Ridder - in un documento fornito da tal Rocco Martino, agente Sismi (il servizio segreto militare italiano), consegnato a metà ottobre 2001 alla CIA tramite una giornalista (ed il suo direttore Carlo Rossella), di Panorama, il settimanale del premier Silvio Berlusconi. Il dossier, finalizzato a costituire la prova della spedizione di diverse tonnellate di uranio del Niger all’Iraq, fu accuratamente studiato e poi considerato falso dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che avvisò G. W. Bush il 3 marzo 2003. Il Presidente USA, però, decise ugualmente di attaccare l’Iraq da lì a breve, il 20 marzo, ignorando l’avvertimento. Dal Niger Gate e dallo stesso Rocco Martino prese le distanze sia il capo del Sismi, Nicolò Pollari (che pure, secondo l’inchiesta del Knight Ridder, era presente alla consegna del dossier), sia lo stesso governo Berlusconi.
D’altra parte, le reali motivazioni che spinsero l’America e i suoi alleati (a cominciare dall’Italia), ad invadere l’Iraq, emergono anche soltanto dal dossier del Ministero delle attività produttive del governo Berlusconi, datato 21 febbraio 2003, che ad un certo punto afferma:
“Esiste un’elevata possibilità che entro la metà dell’anno venga rovesciato da un’azione militare guidata dagli USA il regime di Saddam Hussein […] L’Iraq ha stabilito una serie di accordi commerciali nel settore degli idrocarburi […] la contromossa americana sembra consista nel garantire il mantenimento degli accordi […] Forse anche l’Italia potrebbe giocare la stessa carta per le iniziative dell’Eni circa i giacimenti di Halfaya e Nassiria.”
Un successivo dossier del 5 aprile 2004, intitolato “La ricostruzione dell’Iraq”, ribadirà le aspettative italiane nei confronti di “considerevoli benefici economici” e sottolineerà nuovamente l’interesse della nostra nazione a cogliere tutte le opportunità della spedizione militare in Iraq.
Quanto all’invasione dell’Afghanistan, presentata al mondo come necessaria contromisura nei confronti del regime dei talebani e della loro attività terroristica, non si può non considerare, invece, come rientri perfettamente nella logica di possesso che gli americani hanno sviluppato rispetto ai giacimenti petroliferi mondiali.
Obiettivo USA fu, in realtà, quello di sostituire il regime talebano con un governo amico in grado di permettere la realizzazione di una grande rete di oleodotti prevista dalla cosiddetta Dottrina Clinton. La realizzazione, cioè, della terza direttrice di pipeline (oltre all’oleodotto inaugurato nel 2005, che collega l’Azerbaigian alla costa turca passando per la Georgia, ed a quello che porta il greggio dal Mar Nero alla Macedonia, servendo così l’Europa), in grado di trasportare petrolio da Oriente ad Occidente senza passare per la Russia e collegando, nello specifico, il Turkmenistan al Pakistan, passando proprio per l‘Afghanistan. Nella seconda metà degli anni Novanta l’America aveva sostenuto i talebani, coi quali aveva instaurato un ottimo rapporto. Questa setta integralista di studenti delle università sunnite (appoggiati dal governo pakistano), aveva preso il sopravvento dopo il ritiro delle truppe russe (entrate nel Paese nel 1979 per sostenere il governo filosovietico di Babrak Karmal e poi costrette a ritirarsi nel 1989 a causa delle continue rivolte dei guerriglieri mujaheddin), e dopo il successivo governo del presidente Rabbani (che i talebani avevano arrestato nel 1992 mutilandolo, trascinandone il corpo legato ad una gip per poi appenderlo con una corda e sparargli un colpo alla testa). Dal 1999, però, gli USA avevano cominciato a comprendere che i talebani, troppo nazionalisti, non sarebbero stati in grado di assicurare l’appoggio ai progetti statunitensi, ed avevano deciso di cambiare strategia. L’incontro a Berlino del luglio 2001 tra tre funzionari americani, il ministro degli esteri pakistano Naik e diversi capi talebani, servì a proporre a questi ultimi un governo di unità nazionale filoamericano. Il rifiuto talebano fu preso malissimo dagli americani, che - come lo stesso Naik ha poi raccontato in un‘intervista alla Bbc - minacciarono di invadere l’Afghanistan entro la metà di ottobre.
L’attentato dell’11 settembre, guarda caso, fornì agli USA un ottimo motivo per dar corso alla minaccia. Attentato appositamente procurato o azione preventiva di Bin Laden? Sta di fatto che l’attacco all’Afghanistan fu confezionato con tutti i crismi, visto che, come nel 2005 ha spiegato Norman Solomon nel suo War made easy. How Presidents and Pundits Keep Spinning Us to Death, il Pentagono versò ben trecentonovantasettemila dollari allo studio di pubbliche relazioni Rendon Group, per trovare il modo di promuovere nell’opinione pubblica americana l’idea dell’assoluta necessità di bombardare quelle terre.
Il Petrolio all’origine delle “rivoluzioni colorate”
Non è d’altra parte un mistero che molte delle vicende internazionali di questi anni siano da ricollegare alla solita questione del petrolio. Le elezioni presidenziali in Georgia, ad esempio, che nel 2003 avevano visto la vittoria del Presidente in carica Shevardnadze (un tempo ministro degli esteri sovietico e, dal ‘95, presidente di questo Stato), vennero contestate e considerate “truccate” dagli stessi americani, che sostenevano invece il candidato filo-americano Saakashvili. Il risultato - dopo giorni di scontri in piazza tra le opposte fazioni, in quella che è stata chiamata la Rivoluzione delle rose” - fu la ripetizione delle votazioni popolari, con conseguente vittoria di quest’ultimo. Manco a dirlo, in Georgia passa il suddetto oleodotto che convoglia in Occidente il petrolio estratto in Azerbaijan, ed un presidente georgiano amico non poteva che venir considerato dagli USA un’importante garanzia per i loro interessi petroliferi. Non a caso, all’apertura dei Giochi Olimpici Pechino 2008, tra Russia e Georgia si è alzata improvvisamente la tensione e si sono verificati forti scontri fatti passare dall’opinione pubblica occidentale come una riprovevole aggressione russa. In realtà il motivo del contendere - le tensioni autonomistiche dell’Ossezia del Sud, regione georgiana a maggioranza russa, che i russi avrebbero appoggiato per danneggiare “l’indifesa” Georgia, va compreso alla luce del fatto che a ridosso del territorio osseto passa proprio quell’oleodotto, e che l’esercito georgiano, con l’aiuto americano, nei giorni precedenti aveva dato il via ad una “pulizia etnica” nei confronti dei russi osseti, proprio per garantire agli USA l’utilizzo indisturbato di quell’importante regione
Per non parlare dell‘Ucraina e della sua recente Rivoluzione arancione. Paese di grande importanza strategica dal punto di vista energetico, dato il gigantesco gasdotto che passa nel suo territorio, visse giorni drammatici in occasione delle elezioni del 2004, contestate e ripetute così come da copione. Il candidato filoamericano Juscenko, perdente in prima battuta, ne uscì improvvisamente vittorioso (dopo una campagna elettorale violenta ed aspra finita con un avvelenamento alla diossina ai danni dello stesso Juscenko, super propagandato dagli scandalizzati media occidentali ma risultato poi falso dagli esami di laboratorio della clinica Rudolfinerhaus di Vienna ove il politico era stato ricoverato).
In tutta risposta il Primo ministro - ed ex Presidente - russo Putin, in modo piuttosto scaltro ha portato a conclusione nel 2009 la stipula di un accordo tra l’ENI ed il colosso energetico russo Gazprom per lo sfruttamento del gas e del petrolio della Siberia e per il relativo trasporto in Europa tramite il percorso detto South Stream, bypassando così l’Ucraina, ormai decisamente in mano agli USA. Si tratta dell’ultima fase di una trattativa iniziata nel novembre 2006 per la realizzazione del gigantesco Gasdotto del Mar Baltico, che collegherà Russia a Germania aggirando proprio i territori ucraini.
La Guerra tra Usa ed Europa
Gli accordi economici (e non solo di natura petrolifera), stipulati tra il nostro continente e diverse nazioni orientali, la nascita dell’Unione europea ed il suo costante allargamento, l’introduzione di una moneta unica forte come l‘euro, sono tutti fattori che hanno indebolito l’economia americana ed inasprito i rapporti tra USA ed UE.
Un esempio fra tutti la rivalità incrociata acciaio/agricoltura: la politica agricola europea - fin dagli anni Novanta tesa a sostenere gli agricoltori comunitari con sussidi tali da avvantaggiare gli stessi sui mercati internazionali - suscitò continue lamentele americane, fino ad indurre gli USA ad imporre clamorosamente, nel marzo del 2002, dazi del 30% su tutte le importazioni europee di acciaio in America. La questione finì davanti alla WTO (World Trade Organization) di Ginevra, che il 20 marzo 2003 diede ragione all’UE costringendo l’USA ad azzerare i dazi. Non era la prima volta: l’anno prima la WTO aveva condannato gli USA per la loro concorrenza sleale nei commerci internazionali, basata su una fitta rete di società offshore atta a far risparmiare alle aziende statunitensi parecchi carichi fiscali. Questa volta l’Europa fu autorizzata da Ginevra ad applicare dazi punitivi nei confronti delle importazioni americane, per un totale di 4 miliardi di dollari. Per non parlare del blocco imposto da Bruxelles al consumo di prodotti agricoli OGM, vera e propria battuta d’arresto per le importazioni americane in Europa di questo genere di merci.
Soltanto a vantaggio dell’economia americana va inteso il provvedimento adottato il 21 settembre 2003 e teso ad inaugurare l’era del dollaro debole. Gli Stati Uniti, infatti, da quel giorno hanno svalutato la loro moneta così da ottenere notevoli vantaggi nelle esportazioni. E questo anche se le prime reazioni dei mercati azionari si sono concretizzate, l’indomani, in una forte perdita di quasi tutti i titoli, a Wall Street così come nelle principali borse europee ed asiatiche.
Il petrolio, naturalmente, tra le motivazioni di tensione USA-EU non può mancare. La scelta dell’Iraq (2002), e successivamente dell’Iran, di utilizzare l’euro per regolare i propri contratti petroliferi ha alzato di molto la tensione internazionale, già alle stelle a causa dell’intenzione americane di monopolizzare (insieme alla Gran Bretagna), vaste zone petrolifere del Medio Oriente, a cominciare proprio dall‘Iraq.
Quanto al rapporto con gli altri continenti, gli USA sono determinati ad evitare che si crei un asse Europa-Asia che possa tagliarli fuori dallo sfruttamento delle risorse energetiche mondiali. In quest’ottica, forte risentimento americano è stato suscitato dagli accordi tra i Paesi europei e quelli balcanici, per la costruzione dei futuri oleodotti in grado di trasportare il greggio ed il gas dal Mar Nero all’Adriatico.
Ma la questione delle riserve di petrolio non potrà che peggiorare sempre più, nel corso degli anni, i rapporti tra i due continenti. D'altra parte, una conseguenza di questa rivalità mascherata da amicizia non potrebbe essere, ad esempio, la crisi economico finanziaria ed il crollo delle Borse europee verificatisi dall'estate 2011 ?
La fine del gioco
Le risorse mondiali di petrolio sono state stimate intorno ai mille miliardi di barili. Le attuali riserve irachene si aggirano intorno ai duecento miliardi, ma secondo L’Energy Information Agency del Dipartimento americano per l’energia nella zona sud occidentale dell’Iraq potrebbero trovarsi quantitativi pari ad altri cento miliardi. Le riserve irachene, insomma, costituirebbero il 30 per cento di quelle mondiali.
Calcolando che l’attuale consumo mondiale di petrolio si aggira circa sui cento milioni di barili al giorno, le riserve irachene potrebbero bastare per poco più di una decina di anni, forse per quindici, nell’ottica del processo di risparmio energetico innescato negli ultimi tempi. D'altra parte, l'allarme "esaurimento riserve" è stato lanciato dall'inizio degli anni Settanta, ed in linea con questo tipo di emergenza va considerato il ricatto che i Paesi aderenti all'Opec, non appena nazionalizzata la loro produzione petrolifera, attuarono nel 1973 nei confronti dell'Occidente, quadruplicando il prezzo del greggio e scaraventando anche il nostro continente in un rigido clima da Austerity.
E’ quindi evidente che la partita tra le grandi potenze mondiali interessate allo sfruttamento dei pozzi in Iraq sia di capitale importanza. Ciò ha portato ad esempio, negli ultimi tempi, ad un’accesa rivalità tra le compagnie petrolifere anglosassoni e l’Eni, che dal 2005 è diventata la prima compagnia straniera nel vicino Iran. Questo non ha fatto altro che peggiorare i rapporti con gli americani, già esasperati dalla suddetta scelta di Saddam Hussein, e successivamente dell’Iran, di regolare i propri rapporti petroliferi in euro. Scelta che ha avuto innegabilmente un forte peso sulla decisione americana di invadere l’Iraq.
D’altra parte l’intera area mediorientale, particolarmente ricca di giacimenti petroliferi, è da considerarsi di immensa importanza per il futuro dell’energia che muove il pianeta. La vittoria elettorale che ha portato alla guida dell’Iran l’ex sindaco di Teheran Ahmadinejad, noto fondamentalista islamico, ha esasperato le tensioni ed allontanato di più gli USA dall’obiettivo di accaparrarsi anche il petrolio iraniano. L’ostilità del nuovo Presidente iraniano nei confronti di Israele e i suoi più volte annunciati propositi di riprendere la conversione dell’uranio per inaugurare un nuovo processo di produzione di armamenti nucleari, hanno fatto il resto. Per quanto Israele sia la quinta potenza nucleare mondiale ed i suoi missili siano puntati su tutte le principali città del Medio Oriente, per gli americani il vero problema è rappresentato da “Paesi canaglia” come l’Iran e l’Iraq. All’indomani dell’11 settembre Israele si scatenò in una terribile serie di massacri in territorio palestinese. Nessuno osò dir nulla, sulla scia del forte risentimento anti-arabo di quei giorni. E nella questione arabo-palestinese l’Iraq ha sempre giocato un ruolo favorevole agli arabi, rifiutando costantemente qualsiasi accordo con Israele. Invadere l’Iraq ha significato anche, per gli USA, la possibilità di mettere fuori combattimento il grande rivale dell’alleato israeliano. Non è un segreto, d’altra parte, che nel corso degli anni Novanta Saddam abbia versato “compensi” di venticinquemila dollari ad ogni famiglia di un kamikaze morto in un attentato contro Israele. Né lo è la crescente ostilità dello stesso dittatore di Baghdad nei confronti di un Arafat sempre più disposto al dialogo.
La favola di Nassiriya
Dal momento in cui, in seguito all'attacco del 20 marzo 2003, l’Iraq è occupato dalle forze della Nato, all’Italia viene affidata l’area di Nassiriya, che si trova nella zona meridionale del Paese. Un’area particolarmente suggestiva, il cui territorio è disseminato di fessure dalle quali escono lingue di gas, che brucia costantemente. Quelle stesse fessure a cui gli antichi si riferivano parlando delle “fornaci ardenti” in cui il re Nabuccodonosor gettava i suoi nemici e che, secondo Plutarco, avevano così fortemente impressionato il grande Alessandro Magno, quando gli abitanti del luogo avevano pensato di spaventarlo dando fuoco ad una strada interamente cosparsa di petrolio.
In quell’area l’esercito italiano è ufficialmente impegnato in una missione di pace - denominata suggestivamente Antica Babilonia - orientata, tra l’altro, alla conservazione ed al recupero dei beni archeologici locali. Ma l’interesse della nostra nazione nei confronti di questo territorio ha origini non recenti, dato che già nel 1997 Saddam Hussein aveva stipulato un accordo con l’Eni e con la spagnola Repsol per lo sfruttamento dei giacimenti di Nassiriya. La reale motivazione della presenza italiana in quelle zone, quindi, pare proprio essere un’altra. Come ha riconosciuto il 13 maggio 2005 a Rai News 24 lo stesso senatore Ventucci, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio : “Se a Nassiriya c’è una fonte energetica importante con oleodotti e raffineria è giusto che noi tuteliamo tutto questo nell’interesse del popolo iracheno. E non è un male se poi noi possiamo fare qualche affare …”. Per non parlare della successiva gaffe del sottosegretario, che ad un certo punto afferma che il petrolio iracheno servirà per far fronte ai maggiori consumi di India e Cina (riconoscendo così l’implicita idea di poter disporre liberamente delle risorse irachene, pur tirando in ballo Paesi che in alcun modo avevano approvato la spedizione in Iraq).
Lo stesso squilibrio che si evince dal bilancio delle spese del contingente militare italiano in quelle zone (8% in operazioni di pace, 92% per finanziare azioni militari), parla chiaro. “Le imprese italiane si sono aggiudicate, a partire dall’inizio delle operazioni di ricostruzione del 2003, contratti di valore”, afferma una Relazione sulla politica informativa e sicurezza dell’Intelligence italiana, relativa al primo semestre 2005. Anche se il meglio delle occasioni toccheranno agli USA, dato che la Halliburton (società di cui è stato vicepresidente Dick Cheney), il gruppo Bechtel (vicino al Segretario di stato americano George Shultz), ed altre grandi multinazionali USA gestite da importanti politici statunitensi, si divideranno la gran parte degli appalti per ricostruire case, edificare ed amministrare scuole e ospedali, in un giro di affari stimato in una decina di miliardi di dollari all’anno per parecchi anni. Naturalmente senza fare i conti con la fonte di guadagno di gran lunga più importante: il petrolio.
Nel documento dell’11 novembre 2004 inviato alla Camera dall’allora Ministro degli Esteri Franco Frattini, scritto ad un anno dalla Strage di Nassiriya - in cui il 12 novembre 2003 erano morti diciassette militari, due civili italiani e nove iracheni a causa dell‘esplosione di due camion-bomba condotti da kamikaze - si trova scritto: “Il nostro impegno nelle missioni di pace rappresenta un solido investimento. […] Possiamo attenderci considerevoli benefici economici dalla stabilizzazione di regioni sensibili per i nostri approvvigionamenti e per le prospettive di apertura di nuovi mercati e di nuove aree di collaborazione”. A fargli eco, il 23 gennaio 2005, il Presidente della Commissione difesa della Camera, Gustavo Selva, in un’intervista sul quotidiano Libero: “Basta con l’ipocrisia dell’intervento umanitario. E’ ora di prendere atto che la natura dell’operazione “Antica Babilonia” è inadeguata alla realtà del terreno. […] Abbiamo dovuto mascherare “Antica Babilonia” come operazione umanitaria perché altrimenti dal Colle non sarebbe mai arrivato il via libera”.
La questione dei beni archeologici
Il 9 aprile 2003 la città di Baghdad cade in mano ai marines. Il 10 aprile i soldati americani entrano nella sede del Ministero del Petrolio, prendendone possesso. Circa duecento hard disk di altrettanti computer del ministero vengono trafugati dalle forze militari. Una mole impressionante di dati strategici sulla dislocazione ed il funzionamento di tutti gli impianti petroliferi del Paese, nonché di progetti relativi a nuovi oleodotti e depositi, finisce nelle mani degli USA.
Sembra l’unica cosa che conti, mentre migliaia di saccheggiatori depredano i grandi musei archeologici di quella che per millenni è stata la leggendaria Mesopotamia. Come ha rilevato il National Geographic Society in un sopralluogo effettuato da suoi autorevoli archeologi, importantissimi siti come il cimitero di Dahaila - risalente a 3700 anni fa ed ora ridotto ad un colabrodo dai tombaroli - l’Arco di Ctesifonte - che si trova a sud di Baghdad e nelle cui vicinanze l’edificio che contiene l’affresco della battaglia di Kadisiyed (scoppiata tra arabi e persiani nel VII sec.), risulta devastato dai saccheggi - il Museo archeologico di Baghdad - la cui Galleria assira è stata letteralmente depredata dei suoi inestimabili tesori - e altre mitiche località come l’antica Ninive, Hatra, Nimrud, Girsu, Babilonia, presentano gli irreparabili sfregi di un saccheggio incontrollato.
Il Paese degli orrori
Il Presidente Bush, una volta occupato l’Iraq, nominò governatore L. Paul Bremer. Appena insediatosi, Bremer procedette allo smembramento dell’esercito iracheno. Tutti i quattrocentomila soldati vennero mandati a casa. Ad essi si aggiunsero i cinquantamila membri del partito ba’athista, quasi tutti sunniti. Un vero e proprio disastro economico per loro e le loro famiglie, per un totale di quasi tremila persone. Più di un decimo dell’intera popolazione irachena privato di qualsiasi forma di reddito.
Successivamente Bremer - da subito impegnato, tra l’altro, a fronteggiare l’inaspettata ostilità della componente sciita, a cui evidentemente non bastava l’eliminazione di Saddam, considerando comunque gli americani degli invasori da cui liberarsi - promulgò ben novantasette decreti, tutti orientati a garantire agli USA il controllo del petrolio dell’intera regione. Misure, queste, che andavano a sovrapporsi, in modo piuttosto ridondante, alla risoluzione ONU 1483, che già prevedeva che tutte le rendite petrolifere irachene venissero convogliate nel Fondo per lo Sviluppo, naturalmente gestito dagli USA attraverso il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.
In linea con quanto afferma il giornalista Massimo Fini nel suo libro Il vizio dell’Occidente (“Bin Laden non è che l’ombra dell’Occidente, è una risposta fondamentalista, integralista, totalitaria ad un sistema che nonostante si definisca, in buona fede, democratico e liberale, è fondamentalista, integralista, totalitario.”), l’America ha imposto da subito, in Iraq, le stesse misure autoritarie e liberticide attuate all’indomani dell’11 settembre e giustificate sulla base dell’emergenza sicurezza. La famosa Patriot Act dell’ottobre 2001 - che consente alla CIA di dichiarare “terroristica” qualsiasi organizzazione, nazionale o straniera, a proprio insindacabile giudizio - assomiglia a molti dei provvedimenti elaborati dalle forze di occupazione in Iraq.
Le foto scattate nelle carceri di Abu Ghraib e di Guantanamo, che mostrano le condizioni di centinaia di musulmani accusati in qualche modo di essere terroristi, parlano chiaro. Maltrattamenti, offese gravissime alla dignità dei reclusi, scene al limite del sadomaso e dell’horror. Prigionieri denudati e trascinati sul pavimento da soldatesse che li tengono al guinzaglio, o picchiati a sangue, assaliti da cani feroci, costretti ad assistere ad atteggiamenti oltraggiosi nei confronti del Corano … Inoltre da più parti si sono levate dure critiche nei confronti della CIA, accusata di essersi avvalsa anche di carceri dell’Europa dell’Est, presso le quale i suoi aerei hanno più volte fatto scalo scaricando prigionieri destinati ad un vero e proprio “tour” di torture prima in Polonia, poi in Romania, ecc …
Ignominia e vergogna nei confronti degli americani che si sono macchiati anche di rappresaglie degne della peggiore repressione nazista, come nel caso della reazione dell’esercito USA al linciaggio di quattro suoi soldati avvenuto su una strada di Falluja il 31 marzo 2004.
Il massacro di Falluja
1500 marines, uno sproposito di elicotteri (Cobra e Apache), con contorno di Tank, F15 e carri armati, hanno scatenato quel giorno un bombardamento di una violenza assoluta con bombe ad alta pressione, facendo saltare in aria sei minareti ed una moschea (in cui sono morte quaranta persone), uccidendo centinaia di persone che cercavano di attraversare a nuoto l’Eufrate e causando la fuga di altre duecentomila rimaste senz’acqua e senza cibo. L’azione militare, condannata poi dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, non è stata però l’unica, in quella zona.
Nel novembre dello stesso anno, è stata la volta del Fosforo bianco, un agente chimico di estrema pericolosità “sperimentato” proprio sui cittadini di quella città. La tecnica scelta era incredibilmente subdola. Un iracheno intervistato dalla giornalista de Il Manifesto Giuliana Sgrena ha raccontato che due sue vicine di casa, a Falluja, avevano ricevuto l’ordine dagli americani, di “disinfettare le loro case prima di abbandonarle. I soldati avevano procurato loro alcuni bidoni di “polvere bianca” con cui lavare i pavimenti, e le avevano costrette ad intraprendere subito l’opera, allontanandosi rapidamente. Le donne avevano cominciato il lavoro ma, appena versata la polvere dai bidoni, avevano cominciato a sanguinare ovunque, accusando dolori terribili. (Naturalmente non era stato l’unico modo adottato. La presenza sospetta di giganteschi nuvoloni bianchi sollevatisi sulla zona durante i bombardamenti notturni, ad esempio, era stata spiegata dagli americani come una particolare tecnica militare finalizzata ad illuminare la zona o a nascondere le proprie azioni militari, ma la vera natura di quella polvere bianca non era sfuggita a nessuno). Relativamente alla testimonianza raccolta, la giornalista aveva deciso di intervistare le due donne su cui gli americani avevano “sperimentato“ il fosforo bianco, ma il 4 febbraio 2005 era stata improvvisamente rapita; l’atto era stato ufficialmente rivendicato da una organizzazione appartenente alla resistenza irachena antiamericana.
Durante la prigionia, Giuliana Sgrena si era chiesta molte volte il motivo del suo rapimento, data la sua manifesta contrarietà nei confronti di quella guerra. A distanza di qualche tempo dalla sua liberazione, infatti, le organizzazioni della resistenza le avrebbero fatto sapere di non aver avuto nulla a che fare con l‘accaduto, e di condannare decisamente l’episodio atto soltanto a screditare la loro stessa attività.
La sera del 4 marzo 2005 la giornalista venne liberata grazie all’intervento del dirigente del SISMI Nicola Calipari, che la prelevò e la fece salire in auto per portarla all’aeroporto di Baghdad e metterla su un aereo per l’Italia. A meno di un chilometro dall’aeroporto una raffica di mitragliatrice partì dal posto di blocco USA n° 541, raggiungendo la loro automobile. Nicola Calipari si precipitò addosso alla Sgrena, facendole istintivamente scudo col proprio corpo e rimanendo ucciso sul colpo dai proiettili americani. La giornalista venne ferita, ma si salvò. Il governo italiano pretese chiarimenti, domandando più volte una commissione di inchiesta comune USA - Italia. L’indagine venne però condotta esclusivamente dagli USA, rivelandosi a tutti gli effetti un colpo di spugna. La parallela inchiesta condotta dalla Procura di Roma non ottenne per altro alcuna collaborazione americana.
E la questione fu chiusa così.
Negli anni successivi Giuliana Sgrena avrebbe denunciato un grave aumento di leucemie e tumori tra gli abitanti della zona colpita dai bombardamenti chimici. Nel 2011, all’interno del suo sito web, la giornalista del Manifesto - poi entrata anche in politica - ha spiegato ad esempio come, nei cinque anni precedenti, si siano verificati in quella stessa area quasi seimila casi di malattie sconosciute, la metà dei quali a carico di bambini.
La strage di Falluja (8-12 novembre 2004), nel corso della la quale gli americani hanno anche fatto largo uso, oltre che del famigerato fosforo bianco, di Napalm MK77 (un gas in grado di provocare incendi davvero apocalittici), rientrava nell’obiettivo di punire quella che era ritenuta la base dei guerriglieri sunniti impegnati a sabotare gli oleodotti. Se il nome di questo gas evoca un inquietante passato, va chiarito che anche il fosforo bianco fu impiegato in Vietnam. Lo utilizzò anche lo stesso Saddam Hussein negli anni Ottanta contro i curdi. Il suo effetto consiste nel penetrare all’interno della carne e bruciare da dentro l’ossigeno contenuto negli organi e nei tessuti, sciogliendoli fino alle ossa. Ossigeno di cui, naturalmente, sono invece privi gli abiti; il pregio del fosforo bianco sta infatti nel non intaccare i vestiti, nascondendo così i devastanti effetti che procura internamente. Il suo raggio d’azione, per giunta, è di circa 150 metri. “Una pioggia di fuoco è scesa sulla città - ha ricordato il biologo Mohamad Tareq al-Deraji, fondatore del “Centro studi sui i diritti umani” di Falluja, in un’inchiesta realizzata il 18 novembre 2004 per Rai News 24 da Sigfrido Ranucci - la gente colpita da queste sostanze ha cominciato a bruciare. Abbiamo trovato persone morte con strane ferite, i corpi bruciati ed i vestiti intatti”.
In quel novembre 2004 il Napalm e il Fosforo bianco furono largamente impiegati dagli americani anche sui civili, su donne e bambini. L’intera Falluja fu considerata “obiettivo militare”. Pino Arlacchi, ex vicesegretario dell’ONU, in quella stessa inchiesta di Rai News 24 ha sostenuto che questa strage abbia messo in discussione “ogni autorità morale dell’Occidente […] fornendo al terrorismo internazionale una sorta di legittimazione.”
Falluja, però, non è soltanto la città più importante del “triangolo sunnita” fedele a Saddam. La violenza spropositata con cui è stata attaccata va ben al di là dell’intento di reprimere le sacche di resistenza ostili agli americani, in quelle zone soprannominati “gli Alì Babà”, in riferimento alle loro ruberie all’interno delle abitazioni, ai loro maltrattamenti nei confronti degli abitanti, alle loro molestie sessuali o perquisizioni immotivate ai danni della popolazione. Falluja si trova, in realtà, in una zona molto strategica, attraversata com’è dall’oleodotto che porta da Kirkuk a Bassora, passando per Baghdad. Un condotto che taglia da nord a sud tutto il Paese. Su quella zona, che include i gangli vitali del sistema energetico centro-settentrionale dell’Iraq, gli americani avevano posato gli occhi da tempo. Su di essa avevano deciso di investire miliardi di dollari e di stabilire un controllo assoluto, a tutti gli effetti ostacolato da un‘inarrestabile guerriglia sunnita. L’uccisione dei quattro soldati USA linciati per strada e poi appesi ad un ponte dai ribelli sunniti il 31 marzo 2004 fornì l’utile pretesto per l’assedio di tutta la zona. Ma l’episodio non poteva certo motivare, da solo, una presa definitiva dell’intera area sunnita, soprattutto in fase di elezioni presidenziali in America, nel corso della cui campagna elettorale il Presidente in carica stava faticando non poco contro la crescente delusione dei suoi cittadini circa l’andamento del conflitto. La rielezione di George W. Bush, avvenuta il 2 novembre 2004, sciolse però ogni riserva. Sei giorni dopo partì l’attacco finale di una battaglia considerata da tutti la più feroce mai condotta dagli USA in un centro urbano, dopo quella del 1968 ad Hue, in Vietnam.
Una Guerra a tutto gas. Perché l'ISIS?
Dall'inizio del Terzo millennio lo scenario è progressivamente cambiato a causa del ricorso a nuovi tipi di "giacimenti". A fronte dei circa 30 milioni di barili di petrolio prodotti quotidianamente dai Paesi dell'Opec, gli USA hanno iniziato a diminuire sempre più radicalmente le loro importazioni prelevando greggio e gas in modo autonomo dai terreni rocciosi in argilla che in abbondanza si ritrovano in America. La cosiddetta Shale revolution sta così riportando gli Stati Uniti in vetta alla lista dei Paesi produttori di combustibile, dato che nel 2013 gli USA sono riusciti a raggiungere la soglia dei 7 milioni di barili al giorno. Solo in Nord Dakota si estraggono quotidianamente 860 mila barili di petrolio. Per non parlare del Canada che, grazie a questo nuovo sistema di estrazione, ogni giorno supera ampiamente quota un milione di barili. Il tutto, però, senza considerare l'altissimo rischio ambientale, in termini di inquinamento delle falde acquifere e di sismicità, a cui quelle zone - con i loro abitanti - sono esposte.
L'Opec, in questo momento, sta perdendo decisamente terreno. Il risultato più evidente di questa situazione è la fortissima flessione del prezzo dei carburanti verificatasi in Europa a partire dalla seconda metà del 2014.
Ciò nonostante, il rischio di non riuscire a far completo affidamento sulle risorse interne, in America è ancora considerato molto alto. Inoltre, come visto sopra, i gravissimi "effetti collaterali" sull'ambiente (e sulle decine di migliaia di famiglie che stanno subendo gli effetti devastanti dell'inquinamento delle falde acquifere e dell'aria nelle zone in cui abitano, così come ben spiegato nel celebre film-documentario Gasland di Josh Fox), incluse le gravissime ripercussioni di tipo sismico che tali pratiche sembrano comportare (e che anche in Italia, da quando si sono diffuse, sembrano essersi verificate per lo meno dal terremoto in Emilia del 2012 in poi), non incoraggiano a pensare che la Shale revolution e il cosiddetto Fracking (Fratturazione) siano da ritenere l'effettiva soluzione al problema delle risorse energetiche occidentali. Per non parlare delle numerose cause civili e penali, che negli ultimi tempi i cittadini americani colpiti da tali effetti collaterali hanno vinto contro le grandi multinazionali.
Il risultato di questa situazione è la guerra senza confine che, dal secondo decennio del Terzo millennio, si è sviluppata in Medio Oriente soprattutto per mettere le mani proprio sulla fonte di energia che sembra comunque sfruttabile per lungo tempo e che è ancora possibile gestire a livello più o meno monopolistico: il gas naturale.
Da sempre l'Europa dipende dalle enormi riserve di gas dei giacimenti russi e di quelli nord africani. Questo, naturalmente, costituisce un punto di forza di nazioni come la Russia o la Libia nei rapporti con l'Occidente e, di conseguenza, anche una fortissima fonte di preoccupazione per gli USA.
Ed ecco i fatti.
Con un atteggiamento "destabilizzante" paragonabile a quello assunto nell'estate 2001 dall'Afghanistan, nel 2007 Svizzera e Iran cominciano a turbare questo equilibrio firmando un contratto di venticinque anni per la realizzazione di un gasdotto (Persian Pipeline), atto ad esportare dal Golfo Persico alla Confederazione elvetica oltre 5 miliardi di metri cubi all'anno di gas. Su pressione USA, però, il contratto viene abbandonato definitivamente nell’ottobre 2010.
Il 25 luglio 2011 Iran, Iraq, Siria e Libano annunciano un accordo per la realizzazione di un gigantesco gasdotto (l'Islamic Pipeline), che passerà sotto il Mediterraneo per approvvigionare l’Europa. Tale gasdotto si rivela evidentemente in netta concorrenza con il progetto del Nabucco Pipeline (nato nel 2009) che prevede di portare il gas dalla solita Baku (Azeirbaijan) alla Germania, passando per la Turchia e i Paesi dell’Europa dell’Est. Un progetto, quest'ultimo, che gli Stati Uniti avevano fin da subito appoggiato fortemente proprio per allentare la dipendenza europea della risorse di gas russo. L’Islamic Pipeline sarebbe in grado di provvedere al soddisfacimento del completo fabbisogno di gas naturale della Siria, dell’Iraq e del Libano. Gli Stati Uniti, quindi, si sentono di nuovo presi in contropiede; ma un boicottaggio del progetto, questa volta, non appare facile da realizzarsi. Se l’Iraq, in seguito all'occupazione ONU, per qualche tempo era rimasta sotto l'influenza USA, ora la situazione sta cominciando a sfuggire al controllo americano; per non parlare della ribelle e “canaglia” Siria.
Così, nella primavera 2011 proprio in Siria scoppia la guerra civile tra i sostenitori e gli oppositori del leader Assad. Dall’estate, poi, l'opinione pubblica occidentale viene messa al corrente di efferati crimini commessi dall’esercito siriano sulla popolazione e, soprattutto, suoi bambini. Tale polemica subisce una forte escalation tra il 2012 ed il 2013, quando l’Occidente viene informato del massiccio uso di armi chimiche da parte delle truppe regolari siriane. Tali eccidi autorizzerebbero, quindi, un quanto mai necessario intervento degli USA e dell’ONU per rovesciare il "regime" di Assad.
Dal luglio del 2014, infine, l’Occidente viene informato che un terzo della Siria è controllato dall’organizzazione terroristica ISIS⁵, considerata molto più pericolosa di Al-Qaida e le cui esecuzioni nei confronti di giornalisti americani e britannici - filmate e diffuse dalle tv occidentali e su Internet - scatenano l’ira dell’opinione pubblica, costituendo un ulteriore motivo di intervento militare degli USA. L'ISIS avrebbe anche iniziato ad occupare vaste zone dell'Iraq.
Gli aerei americani, di conseguenza, cominciano a bombardare i due Paesi interessati nel settembre successivo.
Una serie di incontri piuttosto sospetti, verificatisi a partire dal febbraio 2011 tra il senatore repubblicano USA John McCain ed importanti membri di Al-Qaida ed Isis, primo fra tutti il "famigerato" Ibrahim al-Badri - meglio conosciuto come Abu Bakr, fondatore del cosiddetto Stato Islamico - sono stati evidenziati dal periodico di informazione Voltairenet.org in un dettagliato articolo di Thierry Meyssan.
Parecchie le vicende che proiettano ulteriori ombre sulla questione. Non ultima, quella relativa alla giornalista americano-libanese Serena Shim (1985-2014), che il 17 ottobre 2014, dopo esser stata accusata dai servizi segreti turchi di essere una spia siriana, denunciò in diretta, durante un telegiornale dell'emittente iraniana Press TV per cui lavorava, di aver riconosciuto diversi terroristi dell'ISIS mentre venivano fatti oltrepassare il confine turco in prossimità della città di Suruç, venendo così introdotti in Siria grazie a diversi camion della WFO, nientemeno che la World Food Organization.
Due giorni dopo, il 19 ottobre, l'automobile su cui viaggiavano Serena Shim e la sua cameraman Judy Irish venne travolta da un camion. L'incidente causò la morte immediata della scomoda giornalista. Gli USA non richiesero in alcun modo chiarimenti né predisposero ulteriori indagini sull'accaduto. Judy Irish, a dire della la giustizia turca, risultò la sola colpevole dell'incidente e anche il camionista - Şükrü Salan, lì per lì fuggito subito dopo l'impatto mortale - fu completamente scagionato.
(1) Molto del contenuto di questo articolo lo si deve al bellissimo libro di Benito Li Vigni, autentico braccio destro di Mattei, In nome del Petrolio, Editori Riuniti UP, 2006.
(2) Cfr. anche C. Catherwood, La follia di Churchill. L'invenzione dell'Iraq, Corbaccio, Milano, 2005
(3) Come ha affermato lo storico Mauro Canali (convinto tra l'altro che il silenzio della vedova Matteotti fu "comprato" dal Duce), in un'intervista rilasciata al periodico Oggi 2000 (num, 51),"I familiari di Matteotti hanno sempre sospettato che il mandante dell'omicidio fosse re Vittorio Emanuele, secondo loro proprietario di quote della Sinclair. Invece, io sono giunto alla conclusione che fu proprio Mussolini, che aveva intascato tangenti direttamente da questa operazione, a ordinare l'eliminazione del suo avversario politico.".
(4) Cfr. anche la conferenza tenuta nel 2008 da Benito Li Vigni a questo indirizzo
(5) Sull'origine dell'ISIS si vedano ad esempio le clamorose dichiarazioni dell'ex agente NSA Edward Snowden, secondo cui si tratterebbe di una messa in scena ideata dai servizi segreti britannici, americani ed israeliani (Cfr. Global Research, 16.07.2014).
Omero nel Baltico
Felice Vinci, 18 novembre 2011
Sin dai tempi antichi la geografia omerica ha dato adito a problemi e perplessità: la coincidenza tra le città, le regioni, le isole descritte, spesso con dovizia di dettagli, nell'Iliade e nell'Odissea ed i luoghi reali del mondo mediterraneo, con cui una tradizione millenaria le ha sempre identificate, è spesso parziale, approssimativa e problematica, quando non dà luogo ad evidenti contraddizioni: ne troviamo vari esempi in Strabone, il quale tra l'altro si domanda perché mai l'isola di Faro, ubicata proprio davanti al porto di Alessandria, da Omero venga invece inspiegabilmente collocata ad una giornata di navigazione dall'Egitto. Così l'ubicazione di Itaca, data dall'Odissea in termini molto puntuali – secondo Omero è la più occidentale di un arcipelago che comprende tre isole maggiori: Dulichio, Same e Zacinto – non trova alcuna corrispondenza nella realtà geografica dell'omonima isola nel mar Ionio, ubicata a nord di Zacinto, ad est di Cefalonia e a sud di Leucade. E che dire del Peloponneso, descritto come una pianura in entrambi i poemi?
Una possibile chiave per penetrare finalmente in questa singolare realtà geografica ce la fornisce Plutarco, il quale in una sua opera, il De facie quae in orbe lunae apparet, fa un'affermazione sorprendente: l'isola Ogigia, dove la dea Calipso trattenne a lungo Ulisse prima di consentirgli il ritorno ad Itaca, è situata nell'Atlantico del nord, "a cinque giorni di navigazione dalla Britannia". Partendo da tale indicazione e seguendo la rotta verso est, indicata nel V libro dell'Odissea, percorsa da Ulisse dopo la sua partenza dall'isola (identificabile con una delle Faroer, tra le quali si riscontra un nome curiosamente "grecheggiante": Mykines), si riesce subito a localizzare la terra dei Feaci, la Scheria, sulla costa meridionale della Norvegia, in un'area in cui abbondano i reperti dell'età del bronzo (ed anche graffiti rupestri raffiguranti navi: in effetti Omero chiama i Feaci “famosi navigatori”, ma di essi non è stata mai trovata nessuna traccia nel Mediterraneo). Qui, al momento dell’approdo di Ulisse, si verifica un fatto apparentemente incomprensibile: il fiume (dove il giorno successivo il nostro eroe incontrerà Nausicaa) ad un certo punto inverte il senso della corrente ed accoglie il naufrago all’interno della sua foce. Tale fenomeno, rarissimo nel Mediterraneo, è invece comune nel mondo atlantico, dove l’alta marea produce la periodica inversione del flusso negli estuari. Riguardo poi al nome stesso della Scheria, osserviamo che nell'antica lingua nordica "skerja" significava "scoglio".
Da qui, con un viaggio relativamente breve il nostro eroe fu poi accompagnato ad Itaca, situata, secondo Omero, all'estremità occidentale di un arcipelago su cui il poeta ci fornisce molti particolari, estremamente coerenti fra loro ma totalmente incongruenti con le Isole Ionie: ora, una serie di precisi riscontri consente di individuare nel Baltico meridionale un gruppo di isole danesi, l’arcipelago del Sud Fionia, che vi corrisponde in ogni dettaglio. Le principali infatti sono proprio tre: Langeland (l'"Isola Lunga": ecco svelato l'enigma della misteriosa Dulichio), Ærø (la Same omerica, anch'essa collocata esattamente secondo le indicazioni dell'Odissea) e Tåsinge (l'antica Zacinto). L'ultima isola dell'arcipelago verso occidente, "là, verso la notte", ora chiamata Lyø, è proprio l'Itaca di Ulisse: essa coincide in modo stupefacente con le indicazioni del poeta, non solo per la posizione, ma anche per le caratteristiche topografiche e morfologiche (invece l’Itaca greca non ha nulla a che vedere con le indicazioni dell’Odissea). E nel gruppo si ritrova persino l'isoletta, "nello stretto fra Itaca e Same", dove i pretendenti si appostarono per tendere l'agguato a Telemaco.
Inoltre, ad oriente di Itaca e davanti a Dulichio giaceva una delle regioni del Peloponneso, che a questo punto si identifica facilmente con la grande isola danese di Sjælland (dove adesso sorge Copenaghen): ecco la vera "Isola di Pelope", nell'autentico significato del termine. Il Peloponneso greco invece, situato in posizione corrispondente nell'Egeo, malgrado la sua denominazione non è un'isola: questa contraddizione, inspiegabile se non si ammette una trasposizione di nomi, è molto significativa. Ma c'è di più: sia i particolari, riportati dall'Odissea, del rapido viaggio in cocchio di Telemaco da Pilo a Lacedemone lungo una "pianura ferace di grano", sia gli sviluppi della guerricciola tra Pili ed Epei raccontata da Nestore nell'XI libro dell'Iliade, da sempre considerati incongruenti con la tormentata orografia della Grecia, si inseriscono perfettamente nella realtà della pianeggiante isola danese.
Va notato che in tutto il mondo non esiste un gruppo di isole che corrisponda alle indicazioni omeriche altrettanto bene quanto queste isole della Danimarca (e men che meno nel Mediterraneo).
Cerchiamo ora la regione di Troia. L'Iliade la situa lungo l'Ellesponto, sistematicamente descritto come un mare "largo" o addirittura "sconfinato"; è pertanto da escludere che possa trattarsi dello Stretto dei Dardanelli, davanti a cui si trova la collina di Hissarlik con la città trovata nell’Ottocento da Schliemann, la cui identificazione con la Troia omerica continua a suscitare fortissime perplessità (pensiamo alla critica che ne ha fatto Moses Finley nel suo Il mondo di Odisseo). Inoltre, una serie di indagini geologiche recentemente condotte nella pianura ai piedi della collina ha mostrato che nel II millennio a.C. essa era ricoperta da un vasto braccio di mare, del tutto inconciliabile con le descrizioni omeriche.
Ora, lo storico medioevale danese Saxo Grammaticus nelle sue Gesta Danorum menziona in più occasioni un singolare popolo di "Ellespontini", nemici dei Danesi, e un "Ellesponto" curiosamente situato nell'area del Baltico orientale: che si tratti dell'Ellesponto omerico? Esso potrebbe identificarsi con il Golfo di Finlandia, il corrispondente geografico dei Dardanelli; poiché d'altra parte Troia, secondo l'Iliade, era ubicata a nord-est del mare (altro punto a sfavore del sito di Schliemann), per la nostra ricerca è ragionevole orientarci verso un'area della Finlandia meridionale, là dove il Golfo di Finlandia sbocca nel Baltico. E proprio qui, in una zona circoscritta ad occidente di Helsinki, s'incontrano numerosissime località i cui nomi ricordano in modo impressionante quelli dell'Iliade, ed in particolare gli alleati dei Troiani: Askainen (Ascanio), Reso (Reso), Karjaa (Carii), Nästi (Naste, capo dei Carii), Lyökki (Lici), Tenala (Tenedo), Kiila (Cilla), Kiikoinen (Ciconi) e tanti altri. Vi è anche una Padva, che richiama la nostra Padova, la quale secondo la tradizione venne fondata dal troiano Antenore (i Veneti, chiamati “Enetoi” nell’Iliade ed enumerati fra gli alleati dei Troiani, nella Germania di Tacito sono menzionati accanto ai Finni,); inoltre, nella stessa area della Finlandia meridionale, i toponimi Tanttala e Sipilä – sul monte Sipilo fu sepolto il mitico Tantalo, famoso per il celebre supplizio nonché re della Lidia, una regione confinante con la Troade – indicano che il discorso non è circoscritto alla sola geografia omerica, ma sembra estendersi all'intero mondo della mitologia greca.
E Troia? Proprio al centro della zona così individuata, in una località, a mezza strada fra Helsinki e Turku, le cui caratteristiche corrispondono esattamente a quelle tramandateci da Omero – l'area collinosa che domina la vallata con i due fiumi, la pianura che scende verso la costa, le alture alle spalle – scopriamo che la città di Priamo è sopravvissuta al saccheggio e all'incendio da parte degli Achei ed ha conservato il proprio nome quasi invariato sino ai nostri giorni: Toija, così si chiama attualmente, è ora un pacifico villaggio finlandese, rimasto per millenni ignaro del proprio glorioso e tragico passato. Varie visite in loco, a partire dall'11 luglio 1992, hanno confermato le straordinarie corrispondenze delle descrizioni dell'Iliade con il territorio attorno a Toija, dove per di più si riscontrano molti tumuli preistorici ed altre notevoli tracce dell'età del bronzo. E’ poi stupefacente che, in direzione del mare, il nome della località di Aijala ricordi tuttora la "spiaggia" ("aigialòs") dove gli Achei avevano tratto in secca le loro navi (Il. XIV, 34).
Le corrispondenze geografiche si estendono anche alle aree adiacenti: sulla costa svedese antistante, 70 chilometri a nord di Stoccolma, si affaccia la baia di Norrtälje, lunga e relativamente stretta, le cui caratteristiche rimandano alla Aulide omerica, da dove mosse la flotta achea diretta a Troia; attualmente dalla sua estremità partono i traghetti per la Finlandia, ricalcando la stessa rotta: essi transitano davanti all'isola Lemland, il cui nome ricorda l'antica Lemno, dove gli Achei fecero tappa e abbandonarono l'eroe Filottete; a sua volta, la vicina Åland, la maggiore dell'omonimo arcipelago, probabilmente coincide con Samotracia, mitica sede dei misteri della metallurgia. L'attiguo Golfo di Botnia a questo punto è facilmente identificabile con l'omerico Mar Tracio; e, riguardo alla Tracia, che il poeta colloca al di là del mare rispetto a Troia, in direzione nord-ovest, essa giaceva lungo la costa della Svezia centro-settentrionale e nel suo entroterra (ed è singolare che nei miti nordici il dio Thor sia il signore di una regione chiamata “Trakja”). Più a sud, oltre il Golfo di Finlandia, la posizione dell'isola Hiiumaa, situata dirimpetto alla costa dell'Estonia, corrisponde esattamente a quella dell'omerica Chio, che l'Odissea pone sulla rotta del rientro in patria della flotta achea dopo la guerra.
Insomma, oltre alle caratteristiche morfologiche del territorio, anche la collocazione geografica di questa Troade finnica "calza a pennello" con le indicazioni della mitologia; e così si spiega finalmente perché sui combattenti nella pianura di Troia cali spesso una "fitta nebbia" ed il mare di Ulisse non sia mai quello splendente delle isole greche, ma appaia sempre "livido" e "brumoso": nel mondo cantato da Omero si avvertono le asprezze tipiche dei climi nordici. Dovunque vi si riscontra una meteorologia tutt'altro che mediterranea, con nebbia, vento, freddo, pioggia, neve – quest'ultima anche in pianura e perfino sul mare – mentre il sole, e soprattutto il caldo, sono quasi sempre assenti: in quello che, secondo la tradizione, dovrebbe essere un torrido bassopiano dell'Anatolia, il tempo è quasi sempre inclemente, al punto che i combattenti, ricoperti di bronzo, arrivano ad invocare il sereno durante la battaglia! Addirittura, nel rievocare un episodio della guerra di Troia, Ulisse racconta che sotto le mura della città "la notte era scesa cattiva, ché Borea soffiava/ e gelata. Poi sopraggiunse la neve, come una brina spessa,/ gelida: intorno agli scudi s'incrostava il ghiaccio" (Od. XIV, 475-477). Ma anche nell’Itaca omerica il tempo è freddo e perturbato e non splende mai il sole: eppure le vicende dell’Odissea sono ambientate durante la stagione della navigazione. D'altronde, a tale contesto è perfettamente adeguato l'abbigliamento dei personaggi omerici, tunica e "folto mantello", che non lasciano mai, neppure durante i banchetti: esso trova un preciso riscontro nei resti di abiti ritrovati nelle antiche tombe danesi.
Questa collocazione così settentrionale consente altresì di spiegare la macroscopica anomalia della grande battaglia che occupa i libri centrali dell'Iliade, con due mezzogiorni (XI, 86; XVI, 777) intercalati da una “notte funesta” (XVI, 567), la quale però non interrompe i combattimenti. La prosecuzione notturna della battaglia è incomprensibile nel mondo mediterraneo, mentre si spiega subito con la localizzazione nordica: è infatti il chiarore notturno, tipico delle alte latitudini nei giorni attorno al solstizio estivo, che consente alle truppe fresche guidate da Patroclo di continuare a combattere ininterrottamente fino al giorno dopo. A ciò si aggiunge la concomitanza dell’ondata di piena dei due fiumi di Troia, lo Scamandro e il Simoenta, nella battaglia del giorno successivo, in cui lo stesso Achille rischia di annegare: ciò è in accordo con i regimi stagionali dei fiumi nordici, le cui piene primaverili, susseguenti al disgelo, avvengono tra maggio e giugno, ossia proprio quando si verificano le notti bianche.
Questa chiave di lettura consente finalmente di ricostruire tutto lo svolgimento della battaglia durata due giorni in modo perfettamente logico e coerente, senza le perplessità e le forzature delle attuali interpretazioni, che in nome della “pregiudiziale mediterranea” sono costrette a comprimerla in un giorno soltanto. Addirittura, da un passo dell'Iliade si riesce persino a evincere il nome greco, “amphilyke nyx”, del fenomeno delle notti bianche, tipiche delle regioni situate a ridosso del Circolo polare: è un vero e proprio "fossile linguistico" che l'epos omerico ha fatto sopravvivere allo spostamento degli Achei nel sud dell'Europa, dove le notti bianche ovviamente non si verificano.
Notiamo ancora che, in base alle descrizioni di Omero, le mura di Troia appaiono alla stregua di una rustica palizzata di tronchi e pietre; insomma, più che le poderose fortificazioni micenee, esse ricordano gli arcaici recinti in legno degli insediamenti nordici (tali furono ad esempio le mura del Cremlino fino al XV secolo).
Prendiamo adesso in esame il cosiddetto Catalogo delle navi del II libro dell'Iliade, che riporta l'elenco delle 29 flotte achee partecipanti alla guerra di Troia con i loro comandanti e le località di provenienza: si può verificare che esso si snoda seguendo punto per punto la geografia delle coste baltiche in senso antiorario, a partire dalla Svezia centrale fino alla Finlandia (mentre la stessa sequenza, se la si applica al contesto mediterraneo, diventa confusa e problematica); in tal modo, utilizzando anche le altre notizie fornite dai due poemi, è possibile ricostruire integralmente il mondo degli Achei attorno al mar Baltico, dove, come ci attesta l'archeologia, nel secondo millennio a.C. fioriva una splendida età del bronzo.
Ecco dunque la ragione delle anomalie, geografiche e non, contenute nei poemi omerici: il teatro della guerra di Troia e delle altre vicende della mitologia greca non fu il Mediterraneo, ma il mar Baltico, sede primitiva dei biondi "lunghichiomati" Achei, riguardo ai quali esiste già la tendenza a considerarli provenienti dal settentrione, sulla base di una serie di testimonianze archeologiche raccolte sui siti micenei in Grecia. A tale riguardo il prof. Martin P. Nilsson, eminente studioso ed archeologo svedese, nel suo famoso Homer and Mycenae riporta numerose, e significative, prove che attestano l'origine nordica di quel popolo: ad esempio la presenza, nelle più antiche tombe micenee in Grecia, di grandi quantità di ambra (che invece scarseggia sia nelle sepolture più recenti, sia in quelle minoiche a Creta); l'impronta prettamente nordica della loro architettura (il megaron miceneo "è identico alla sala degli antichi re scandinavi"); la "impressionante somiglianza" di alcune lastre di pietra provenienti da una tomba di Dendra "con i menhir conosciuti dall'età del bronzo dell'Europa centrale"; i crani di tipo nordico trovati nella necropoli di Kalkani e così via. D'altro canto, in certi reperti dell'archeologia scandinava, ed in particolare nelle figure incise sulle lastre del grande tumulo di Kivik, in Svezia, sono state riscontrate rimarchevoli affinità con i modelli dell'arte egea, al punto da indurre qualche studioso del passato ad ipotizzare che quel monumento fosse opera dei Fenici. Inoltre, un significativo indizio della presenza degli Achei nel nord dell'Europa è costituito da un graffito miceneo ritrovato nel complesso megalitico di Stonehenge, in Inghilterra meridionale, insieme con altre tracce, riscontrate dagli archeologi sempre nella stessa area ("cultura del Wessex"), di epoca precedente all'inizio della civiltà micenea in Grecia.
Quanto a Ulisse, di cui Omero ricorda “i biondi capelli” – d’altronde anche Pindaro nella IX ode Nemea menziona i “biondi Danai” – vi sono singolari convergenze tra la sua figura e quella di Ull, guerriero ed arciere della mitologia nordica; inoltre, lungo le coste e le isole del mar di Norvegia troviamo molti suggestivi riscontri alle sue celebri peregrinazioni, che iniziano allorché il nostro eroe, al suo ritorno dalla guerra di Troia, quando sta ormai per arrivare ad Itaca s’imbatte in una tempesta che lo trascina via dal suo mondo abituale. Così egli si ritrova in un “altrove” dove viene coinvolto in una serie di fantastiche avventure, fin quando non raggiunge l’isola Ogigia, che l’indicazione del De facie di Plutarco ci ha consentito di identificare con una delle Faroer, nell’Atlantico settentrionale. Queste avventure, presumibilmente nate da racconti di marinai, rappresentano l’ultimo ricordo di rotte seguite dagli antichi navigatori dell’età del bronzo nordica al di fuori del bacino baltico, nell’Oceano Atlantico (dove scorre il “Fiume Oceano”, ossia la Corrente del Golfo), poi diventate irriconoscibili dopo la trasposizione nel mondo mediterraneo.
Ad esempio, l’isola Eolia, dove regna il “signore dei venti” Eolo Ippotade (“Ippotade” significa “figlio del cavaliere”), è una delle Shetland (forse Yell), dove soffiano venti fortissimi e tuttora vive una pregiata razza di pony; i Ciclopi abitavano sulla costa della Norvegia settentrionale, presso il Tosenfjorden (non a caso, essi ricordano i mitici troll del folklore norvegese); anche i Lestrigoni vivevano sulla costa norvegese, ma ancora più a nord (proprio dove li colloca il Prof. Robert Graves, basandosi sul fatto che, come dice Omero, nella loro terra le giornate estive sono lunghissime); l’isola della maga Circe, dove si riscontrano tipici fenomeni artici, quali il sole di mezzanotte (Od. X, 190-192) e le “danze dell’Aurora” (Od. XII, 3-4), si trovava oltre il circolo polare, verso le isole Lofoten (dunque le magie di Circe, chiamata da Omero “polypharmakos”, “quella dalle molte pozioni”, sono in realtà manifestazioni di un arcaico sciamanismo lappone); Cariddi è il famigerato gorgo chiamato Maelstrom (la descrizione omerica è straordinariamente simile a quella di Edgar Allan Poe nel noto racconto La discesa nel Maelstrom) e, subito dopo, Ulisse sbarca nell’isola Trinachia, che significa “Tridente”: in effetti, davanti al Maelstrom vi è Mosken, un’isola dalla caratteristica silhouette che ricorda un cappello a tre punte. Quanto alle Sirene, si tratta di micidiali scogli e bassifondi che infestano il mare davanti alle Lofoten, pericolosissimi per i naviganti anche a causa della nebbia e delle correnti di marea: se costoro infatti, attratti dall’ingannevole rumore della risacca (“il canto delle sirene”), si avvicinano pensando di trovarsi vicini alla terraferma, rischiano di naufragare sugli scogli (pertanto l’espressione “canto delle sirene” si rivela in realtà una kenning, ossia una sorta di metafora, tipica della poesia nordica). Addio Grecia, addio mare Mediterraneo!
Notiamo che all'epoca in cui sono ambientati i poemi omerici doveva essere ormai prossimo al tracollo un periodo caratterizzato da un clima eccezionalmente caldo, durato per millenni: è accertato infatti che il cosiddetto "optimum climatico post-glaciale", con temperature che nell'Europa del nord furono molto superiori a quelle attuali, raggiunse l'acme verso il 2500 a.C. (fase “atlantica” dell’Olocene) e iniziò a declinare attorno al 2000 (quando comincia la fase “sub-boreale”), fino ad esaurirsi completamente qualche secolo dopo. Fu probabilmente questo il motivo che ad un certo punto indusse gli Achei a trasferirsi nel Mediterraneo (scendendo, forse, per il fiume Dnepr verso il mar Nero, come molti secoli dopo avrebbero fatto i Vichinghi, la cui cultura presenta singolari affinità con quella achea): qui essi diedero origine alla civiltà micenea, notoriamente non autoctona della Grecia, la quale fiorì a partire dal XVI secolo a.C., in buon accordo quindi con le indicazioni climatiche.
I migratori portarono con sé epopee e geografia: attribuirono infatti alle varie località in cui si insediarono gli stessi nomi che avevano lasciato nella patria perduta, di cui perpetuarono il retaggio nei poemi omerici e nella mitologia greca (la quale, se da un lato presenta molti punti di contatto con quella nordica, dall'altro, forse in seguito al crollo della civiltà micenea, avvenuto attorno al XII secolo a.C., ha perso il ricordo della grande migrazione dal settentrione); inoltre ribattezzarono con i corrispondenti nomi baltici anche le altre regioni dell'area mediterranea, quali la Libia, Creta e l'Egitto, generando in tal modo un colossale equivoco geografico che ha spiazzato per millenni tutti gli studiosi. Queste trasposizioni vennero agevolate – anzi, forse, suggerite – da una certa analogia tra la configurazione geografica del Baltico e quella dell'Egeo: basti pensare alla corrispondenza tra Öland ed Eubea, o tra Sjælland e Peloponneso (dove peraltro, come abbiamo visto, dovettero forzare il concetto di "isola"); il fenomeno venne poi consolidato, nel corso dei secoli, dal progressivo affermarsi dei popoli di lingua greca nel bacino del Mediterraneo, a partire dalla civiltà micenea fino all'epoca ellenistico-romana.
Con tale quadro è coerente una perentoria affermazione di un eminente studioso: “La nobiltà degli esametri [di Omero] non dovrebbe trarci in inganno inducendoci a pensare che l’Iliade e l’Odissea siano qualcosa di diverso dai poemi di un’Europa in gran parte barbarica dell’Età del Bronzo o della prima Età del Ferro. Non c'è sangue minoico o asiatico nelle vene delle muse greche: esse si collocano lontano dal mondo cretese-miceneo e a contatto con gli elementi europei di cultura e di lingua greche (…) Alle spalle della Grecia micenea si stende l'Europa" (Stuart Piggott, Europa Antica).
Una straordinaria, recente, conferma archeologica ci viene dal cosiddetto "disco di Nebra" (un villaggio situato 50 km ad ovest di Lipsia, nella Germania orientale) e delle spade, di tipo miceneo, ritrovate nello stesso sito. Il disco di Nebra è un manufatto in bronzo datato al 1600 a.C., circolare (diametro circa 30 cm) con riportati sole, luna e stelle (tra cui si distinguono le sette Pleiadi). Esso è il perfetto pendant dei versi del XVIII libro dell'Iliade in cui Omero illustra le decorazioni astronomiche fatte dal dio fabbro Efesto sullo strato in bronzo posto al centro dello scudo di Achille: "Vi fece la terra, il cielo e il mare,/ l'infaticabile sole e la luna piena,/ e tutti i segni che incoronano il cielo,/ le Pleiadi, le Iadi...". I reperti di Nebra mostrano lo stretto rapporto, per così dire "triangolare", che, attraverso l'archeologia, si può stabilire tra il mondo nordico della prima età del bronzo, quello miceneo (le spade) e quello omerico (lo scudo), a conferma dell’affermazione del Prof. Piggott, grande archeologo e accademico inglese, citata in precedenza.
In conclusione, il reale scenario dell'Iliade e dell'Odissea è identificabile non nel mar Mediterraneo, dove dà adito a innumerevoli incongruenze (il clima sistematicamente freddo e perturbato, le battaglie che proseguono durante la notte, i fiumi che invertono il loro corso, il Peloponneso pianeggiante, eroi biondi intabarrati in pesanti mantelli di lana, isole e popoli introvabili...), ma nel nord dell'Europa. Le saghe che hanno dato origine ai due poemi provengono dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva l'età del bronzo e dove sono tuttora identificabili molti luoghi omerici, fra cui Troia e Itaca; le portarono in Grecia, in seguito al tracollo dell'"optimum climatico", i biondi Achei che nel XVI secolo a.C. fondarono la civiltà micenea: essi ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte la guerra di Troia e le altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di generazione in generazione, trasmettendolo poi alle epoche successive, il ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro antenati nella patria perduta. La messa per iscritto di questa antichissima tradizione orale, avvenuta in seguito all'introduzione della scrittura alfabetica in Grecia, attorno all'VIII secolo a.C., ha poi portato alla stesura dei due poemi nella forma attuale.
Il volume "Omero nel Baltico. Le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade" (Editore Palombi, V edizione, Roma 2008) nell'edizione italiana è presentato dalla Prof. Rosa Calzecchi Onesti, nota studiosa e traduttrice dei poemi omerici. Negli ultimi anni l'autore è stato più volte invitato a presentare la tesi ivi esposta in varie Università italiane, quali ad esempio Pavia (cinque volte) e Padova; in particolare, nell'aprile 2005 ha svolto un seminario in due lezioni presso il Dipartimento di Geografia della Facoltà di Lettere dell'Università "La Sapienza" di Roma, nell'ambito di un corso, intitolato "Il mare: mito e letteratura", tenuto dal Prof. Gianfranco Bussoletti, dove "Omero nel Baltico" era indicato fra i testi d'esame. Il 19 aprile 2007 ha presentato la sua teoria presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Roma 3.
Nel 2003 il Prof. Edoardo Sanguineti ha scritto un positivo articolo sulla pagina culturale de "L'Unità"; un articolo è uscito sul "Manifesto" del 7 maggio 2005; il 28 gennaio 2007 il supplemento culturale del Sole 24 Ore ha dedicato un ampio articolo alla questione, con la firma del Prof. Piero Boitani, Direttore del Dipartimento di Letterature Comparate dell'Università di Roma "La Sapienza"; un articolo di Massimo Morello è uscito il 19 gennaio 2008 su "Repubblica". Nel giugno 2008 è uscito su LIMES, Rivista italiana di geopolitica, un articolo di tre pagine dedicato all'argomento: si tratta dell'articolo conclusivo, intitolato "Il vero viaggio dell'uom di multiforme ingegno", del Quaderno Speciale di LIMES "Partita al Polo". In precedenza, una positiva recensione era uscita sull'accademico "Bollettino della Società Geografica Italiana" a firma del Prof. Claudio Cerreti, Ordinario di Geografia presso l'Università di Roma.
Nel 2002 l'autore ha presentato la sua tesi nell'ambito di un convegno internazionale dell'Università di Vancouver, e, successivamente, in un convegno tenutosi nel novembre 2005 presso il Dipartimento di Filologia Classica dell'Università di Riga, in Lettonia. Inoltre, i professori del Dipartimento di Filologia Classica dell'Università russa di Saransk hanno integralmente tradotto il libro e nel 2004 lo hanno pubblicato in Russia, diffondendolo presso le Università ed i circoli accademici e culturali. In seguito a ciò, nel dicembre 2004 l'autore è stato invitato a presentare la sua teoria nonchè l'edizione russa del libro all'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, davanti ad un folto gruppo di eminenti studiosi. In particolare, la prof. Tatyana Devyatkina, titolare di Filologia Classica all'Università di Saransk, ha scritto: "The results of his research can be considered among the greatest discoveries of the 20th -21st centuries".
Il libro è stato tradotto anche in inglese e pubblicato nel 2006 in USA da una casa editrice americana con il titolo "The Baltic Origins of Homer's Epic Tales. The Iliad, the Odyssey, and the Migration of Myth".
Al riguardo, nel Bard College di New York, nell'ambito di un corso di alti studi su Omero, nel 2007 sono state tenute varie lezioni basate sull'edizione inglese del libro, adottato come testo per gli studenti. Il Prof. William Mullen, del Department of Classics del Bard College, ha scritto: "It is hard to overstate the impact, both scholarly and imaginative, of Vinci's compellingly argued thesis.... Scholars will be rethinking Indo-European studies from the ground up and readers of Homer's epics will enter fresh realms of delight as they look anew at the world in which Homer's heroes first breathed and moved". Sempre il Prof. Mullen, con alcuni suoi allievi, nel mese di giugno 2006 aveva effettuato un viaggio in barca a vela nel Baltico (v. sito http://vteam06.googlepages.com/ ), seguendo le rotte indicate nel libro, con il finanziamento del SEA, importante Istituto oceanografico americano. Così pure, "ARION. A Journal of Humanities and the Classics" dell'Università di Boston nel suo numero di primavera/estate 2007 ha dedicato un articolo di 35 pagine a questo argomento. Tra le recensioni in USA, vedasi ad esempio il sito The Barnes Review
Nell'agosto 2007 in Finlandia ha avuto luogo un seminario scientifico internazionale sull'argomento, i cui Atti sono stati pubblicati a cura del prof. Giacomo Tripodi dell'Università di Messina.Un secondo convegno ha avuto luogo, sempre in Finlandia, nel luglio 2011.
Inoltre, l'autore è stato invitato a presentare la sua tesi alla International Conference on Mediterranean Studies, promossa dallo Athens Institute for Education and Research, tenutasi ad Atene il 20-23 marzo 2008.
Infine, tra il 2008 ed il 2009 il libro è stato pubblicato anche in Estonia e in Svezia (sul sito Lumio ) dove è stato presentato alla Fiera del Libro, "Bokmassan", di Goteborg. L’edizione danese è uscita nel 2011; quella tedesca nella primavera 2012.