Il coro dei NO alle gite-distruzione

Collegi docenti infiammati un po’ ovunque, di questi tempi.

La parola d’ordine che serpeggia tra gli insegnanti di molte scuole italiane di ogni ordine e grado è: “No alle gite!”.

Contro i tagli che stanno deprimendo il sistema istruzione si protesta anche così. La riduzione del personale docente (che significa soprattutto lasciare a casa centinaia di migliaia di precari), si sente eccome. Aule stracolme di ragazzi, sempre meno gestibili, sempre più difficili da preparare e da valutare. Classi spesso lasciate incustodite quando un docente è malato - con conseguente riduzione del suo stipendio, così come previsto dal ministro Brunetta - e nessun altro viene nominato al suo posto. Laboratori deserti, soprattutto per mancanza di tecnici, lasciati a casa anche loro. Per risparmiare, sempre e solo per risparmiare, secondo una logica che è quella della quantità a discapito della qualità. Del portafogli che pesa sempre più rispetto al cuore.

Così, nelle riunioni di insegnanti di un po’ tutti gli istituti, sta accadendo che qualcuno si alzi e proponga di rifiutarsi di portare i ragazzi in gita. Quanto meno di evitare i viaggi di più giorni.

Le obiezioni non si fanno attendere. Chi fa notare che non si tratterebbe di un vero sciopero, perché un docente non è comunque obbligato ad accompagnare i ragazzi in gita; chi scuote la testa, della serie “Tanto non si ottiene nulla”… Per non parlare dell’obiezione più forte, che lì per lì commuove la platea: “Ma così ci rimettono solo i poveri ragazzi!”.

Già, i ragazzi. Subito, teneramente, il pensiero corre a loro… “Prof, ci accompagna in gita?”

Questa è la prima richiesta che ti becchi quando, dopo averti studiato un po’, decidono che sei simpatico. E’ quasi un onore, ammettiamolo, sentirsi i prescelti a tale compito. Ma è un onore che comporta corse notturne in pigiama, su e giù per le scale degli alberghi, nel goffo tentativo di stanare fanciulli (sempre più numerosi), che scappano da tutte le parti; notti di incursioni improvvise nelle camere per trascinare fuori decine di intrusi che inseguono la loro avventura da raccontare.

E’ un onore che si paga con responsabilità enormi e che, oltretutto, non viene assolutamente retribuito (quando fa comodo ecco pronta “la scusa lusinghiera”: insegnare è una missione, l’insegnante è sempre in servizio. Traduzione: nessun rimborso per trasferta è dovuto, a parte la miseria dei tristemente famosi 8 euro lordi al giorno).

Per non parlare delle umiliazioni come quella di constatare, ancora una volta, che le decine di ragazzoni che ti sei trascinato in lungo e in largo tra musei e cattedrali, profondendoti in elaborate e commosse spiegazioni, ad altro non pensano che ad ammucchiarsi in discoteca, subito dopo cena.

Umiliazioni anche di natura economica, come quando ci si sente negare, al ritorno, qualsiasi rimborso spese (“Avresti mangiato anche a casa, no?”).

Un viaggio, dunque, che sempre meno ha a che fare con l’istruzione e sempre più assume i contorni della gita-distruzione. Distruzione fisica e psicologica del povero docente accompagnatore.

Così dal Pasteur al Plinio di Roma, dal Copernico al Bruno di Torino, dal Newton di Chivasso al Monti di Chieri o dal Falcone al Belotti di Bergamo, in decine e decine di scuole di ogni regione d’Italia sempre più forte si leva il coro dei “No alla gita”.

Qualche Preside contiene la protesta convincendo i suoi docenti a firmare una mozione. Ad una mozione si può aderire oppure no, è una cosa soggettiva, che tira in ballo solo chi è favorevole.

In altre scuole la protesta assume ben altre dimensioni, concretizzandosi in una delibera dell’intero collegio. Non più qualche docente, allora, ma tutta la scuola prende posizione, fatta salva l’autonomia dei singoli consigli di classe. Ogni istituto con diverse sfumature.

In molte scuola il rifiuto al viaggio d’istruzione si associa, ad esempio, a quello nei confronti della disponibilità dei docenti a prestare servizio al di là dell’orario strettamente previsto, le famose diciotto ore di cattedra.

Il tutto nella speranza, da parte di chi protesta, che questo peso da cui ci si libera ricada sull’enorme giro d’affari che i viaggi d’istruzione rappresentano per agenzie turistiche, hotel, e per tutti quelli che in questo piatto, ogni anno, mangiano abbondantemente.

Soprattutto nella speranza, nutrita da buona parte dei docenti, di recuperare di fronte alle istituzioni una dignità di professionisti che troppo spesso si sentono sfruttati (oltretutto tra gli insulti di un’opinione pubblica che li ha bollati tutti come ignoranti o fannulloni), che troppe volte si sentono incapaci di reagire o di astenersi da un obbligo.

Quanto ai giovani, ai ragazzi che potrebbero trovarsi quest’anno senza la possibilità del viaggio d’istruzione.. Siamo davvero certi, si chiedono i docenti disobbedienti, che questi alunni siano tutti così superficiali da non capire che una protesta per una scuola più dignitosa possa anche comportare, di tanto in tanto, qualche sacrificio?

versione integrale dell'articolo apparso su LA STAMPA il 6 ottobre 2010

 

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