Se il cinque vale sei e lo zero resta zero

La politica è fatta di numeri.

A seconda delle indagini statistiche cambia i suoi valori, le sue regole, le sue leggi. Non fa eccezione nemmeno quella relativa alla scuola.

A due giorni dalla fine delle lezioni il Ministro Gelmini scopre che i tre quarti degli studenti dell’ultimo anno delle superiori hanno almeno un’insufficienza? E allora ecco la novità. Con un cinque non si boccia nessuno! Lo fa sapere ribadendo la sua contrarietà nei confronti del sei politico

e sottolineando come ciò sia in linea con la sua idea di una scuola più seria. Una scuola che, finalmente, da quest’anno torna a permettere l’ammissione alla maturità ai soli studenti che hanno ottenuto la piena sufficienza in tutte le materie.

Dunque ricapitoliamo. Nessun sei politico, dunque con un cinque non si boccia nessuno. Ammissione all’esame solo per chi ha tutti sei; quindi  con un cinque si può (si deve?) essere ammessi. Un ragionamento impeccabile, il cui rigore logico dà i brividi. Quasi un riferimento implicito a slogan di orwelliana memoria stile: La guerra è pace, l’amore è odio, la libertà è schiavitù.

Dietro a tutto ciò, sempre la stessa storia. Evitare di scontentare troppo i nostri clienti, perché in questo, ormai, sono stati trasformati gli studenti italiani. Per carità, non contrariamoli. Evitiamo di bocciarli soltanto perché non studiano! Mica vogliamo esporci al rischio dei loro ricorsi?!

Allora le cose vanno così.

Anche nella scuola, come in tutte le altre faccende italiane, si ricorre alla contraddizione. Ce ne sono un’infinità. Basti pensare al ritorno ai moduli orari di sessanta minuti, voluto dal Ministro per la solita questione della scuola più seria. L’abolizione delle lezioni da cinquanta minuti, che interesserà tutte le nostre scuole dal prossimo anno, da mesi turba i collegi docenti di tutt’Italia.

Per tutto l’anno gli insegnanti hanno cercato una soluzione al problema: come conciliare questa disposizione con il numero di ore settimanali previste dai vari indirizzi e con la soglia minima di giorni di scuola fissata a livello europeo? Per non parlare dell’imprescindibile esigenza della settimana corta. Chi ha il coraggio di far tornare a scuola i ragazzi anche al sabato, senza rischiare l’ira delle famiglie e la conseguente perdita di clienti?

Dopo mesi di liti e discussioni tra i docenti di ogni scuola, a fatica emerge l’unica soluzione possibile:

da settembre lezioni anche al pomeriggio. Sembra fatta. Turandosi il naso, pare a tutti di esserci riusciti, di aver salvato capra e cavoli…

Ma ecco, prontamente, la nuova esternazione ministeriale.

Dato che l’Italia è un “Paese che vive di turismo”, perché non cominciare la scuola a ottobre? E l’imperativo delle soglie minime di ore e di giorni? E tutte le riunioni passate a scervellarsi su come costruire un calendario? Meglio lasciare i ragazzi in vacanza, a incrementare il PIL, piuttosto che mandarli a scuola? La contraddizione. L’utile arma per far demagogia e scaricare responsabilità.

Il problema, quindi, secondo me è un altro. Perché non provare a porci le domande giuste?

Perché, ad esempio, non chiederci come mai, alla fine dell’anno scolastico, dopo aver costantemente ribadito che nessuno verrà ammesso con un’insufficienza, tre quarti dei nostri alunni hanno almeno un cinque? Questo, a mio parere, è il vero problema.

La mia risposta? Noi insegnanti, ormai, siamo gente da non prender più sul serio. Quello che diciamo in classe viene costantemente smentito dai fatti, dai Dirigenti, dai Ministri. Senza aver più la minima parvenza di autorevolezza.

Quando, attenendoci alla riforma di turno, minacciamo di bocciare, tutti i ragazzi già sanno che all’ultimo momento qualcuno ci scavalcherà. Il Ministro di turno calerà dal cielo qualche sua demagogica frase in loro difesa, e tutti saranno a posto. Per l’ennesima volta lo zelante professore, intento ogni giorno a trovare disperatamente una logica educativa in quello che fa, dimostrerà di non contare nulla. Ridendoci su tirerà una riga sui suoi cinque, magicamente trasformatisi in sei.

Certo solo del fatto che la propria parola e i propri sforzi, quelli sì, continueranno a valere zero.

 

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