L'industria della scuola e i suoi premi-produzione

Nella scuola degli alunni-clienti, dei presidi-manager e delle bidelle-receptionist, ci mancavano solo i “premi-produzione” ai professori.

La nuova decisione del Ministro Gelmini sancisce l’ingresso della meritocrazia nel mondo dell’istruzione, ma le perplessità che scaturiscono da questa presa di posizione non vanno trascurate.

L’idea di premiare gli insegnanti più validi con una specie di quattordicesima rischia, infatti, di rivelarsi l’ennesimo, micidiale, strumento di mobbing, in un periodo in cui lavorare a scuola costituisce un’esperienza sempre più umiliante. Nell’era dell’Autonomia scolastica, infatti, la logica aziendale che impera tra i banchi spinge nella direzione della promozione facile, dei “saperi minimi” e del lassismo di ogni tipo, al fine di assicurare al proprio istituto il maggior numero possibile di iscrizioni, ed il massimo dei finanziamenti da Roma.

Nell’ottica del “più si promuove e più si guadagna”, cosa ci si può aspettare, dunque, da un comitato di valutazione di alunni e genitori, o da una commissione presieduta dal Dirigente scolastico di ogni singola scuola? Come non attendersi che il “premio” vada puntualmente appioppato ai soliti baroni, agli asso-prendi tutto che in ogni scuola guidano tutte le commissioni, accumulano incarichi a mo‘ di politici navigati, hanno il sabato libero ed il parcheggio riservato?

Oppure ai docenti dispensatori di otto e nove a raffica che spingono alle stelle l’indice di gradimento di mamme e fanciulli e contribuiscono all‘incremento delle iscrizioni?

Come non aspettarsi che la prospettiva dell’ambìto premio scateni ulteriori rivalità tra docenti ormai sempre più assetati di potere e prestigio, sempre più desiderosi di ben figurare davanti al Dirigente,

per potersi accaparrare gli incarichi più redditizi, le cattedre meno pesanti, il giorno libero più comodo, ecc. Il mobbing che molti presidi hanno saputo instaurare nei loro istituti, finalizzato a rendere sempre più zelanti e servili i docenti, disposti così a scannarsi tra loro per entrare nelle sue grazie, non può che risultare ulteriormente potenziato da misure come queste.

Da un punto di vista morale, poi, la questione è ancora più grave.

Come si può non guardare con diffidenza ad un provvedimento teso a spingere gli insegnanti a migliorare la propria professionalità ed il proprio rapporto con i ragazzi solo in cambio di soldi? Anche considerando antiquata l’idea della “missione educativa e formativa” dell’insegnante (ma è davvero poi così sorpassata?), come non chiedersi che tipo di educazione e che genere di passione possa trasferire nei giovani un docente concentrato ad ottenere il massimo della valutazione del suo Preside per portarsi a casa una quattordicesima?

Davvero la meritocrazia, specie se applicata al pubblico insegnamento, può dirsi la panacea di tutti i mali?1 Perché non cominciare, invece, a restituire ai professori libertà d’insegnamento, fiducia nel proprio lavoro, autorevolezza nell'agire? Non potrebbe esser davvero questa la soluzione, per ritrovare insegnanti motivati e soddisfatti?

Ma in una scuola che tende a riconoscere premi in denaro ai ragazzi con i voti più alti, così come più volte teorizzato da un Ministero evidentemente incapace di attribuire alla cultura un valore autonomo, i docenti a caccia del premio-produzione non sono che il degno coronamento dello sfacelo di ogni pedagogia.

 

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