Una vita da precario
Tutti gli anni, a giugno, gli stessi uffici che lo avevano reclutato con urgenza gli danno il benservito e lo rispediscono a casa. Nessuno stipendio durante l’estate, nessuna speranza per l’anno successivo e un terzo dei contributi INPS inspiegabilmente non pagato (lo Stato che non paga l‘INPS ?!). Ogni estate, strisciando sul pavimento, il precario libera in fretta il suo armadietto, quello basso e scomodo che nessun collega vuole.
Ancora una volta riempie la sua vecchia utilitaria di libri e compiti, salutando le bidelle che hanno già smesso di chiamarlo professore. Buone vacanze, signor X !
Il precario della scuola passa l’estate al computer. E quando dice alla gente di essere in vacanza, non dice una verità intera: la dice solo a metà.
Il suo vecchio PC è costantemente collegato al sito dell‘ufficio scolastico, che per giunta tenta di sfuggirgli cambiando continuamente nome. Provveditorato, CSA, USP…
Ma lui non molla, insegue ordinanze e regole ogni anno sempre più incomprensibili, lotta contro la maleducazione degli impiegati, si cerca disperatamente in graduatorie da cui inspiegabilmente sparisce una volta su due e a cui deve subito re-iscriversi, per sperare di continuare a lavorare. Passa da un ricorso all’altro. Poi scova una convocazione a sorpresa, possibilmente fissata ad agosto, quella in cui, ogni anno, centinaia di persone in attesa di cattedra si giocano il proprio futuro.
Da lì, se riesce a strappare una manciata di ore di docenza (magari su tre scuole diverse a dieci chilometri l’una dall’altra), corre dai figli a far festa. Da settembre si lavora! E intanto continua l’attesa di un’immissione in ruolo che non arriva mai.
Quando c’è un concorso (in media ogni dieci anni e sempre presentato come l‘ultimo della storia), il numero dei posti disponibili resta un mistero. Così l’impanicato aspirante prof. studia per mesi e se passa l’esame gli fanno i complimenti e lo rimandano a casa ed è di nuovo festa! Dopodiché ricominciano anni di supplenze, come se nulla fosse accaduto, e molte volte la pensione arriva prima del posto fisso..
In tempi di vacche magre, poi, quando i tagli del Ministro creano classi che scoppiano di alunni e cattedre che non bastano nemmeno per quelli di ruolo, al supplente non resta che l’ibernazione, in attesa di giorni migliori.
Il precario della scuola passa mesi di lavoro cercando di fare una buona impressione con tutti. E quando prova a convincere i suoi alunni di essere un professore come gli altri, non dice una verità intera: la dice solo a metà.
Da tanti anni, sempre lo stesso copione. A lui va l‘orario peggiore, quello che nessun altro collega di ruolo tollererebbe mai. Tutti i giorni entrata alla prima ed uscita all’ultima ora, tutti i giorni ore buche passate a girovagare per i corridoi, perché di tornare a casa non se ne parla: in media dista trenta chilometri dalla scuola in cui lavora.
Spesso rinuncia al giorno libero, o accetta quello scartato dai colleghi di ruolo, che magari hanno meno anni di servizio di lui ma lo trattano da clandestino in attesa di rimpatrio.
Per non parlare delle classi assegnategli: le più indisciplinate, le più numerose… Gran parte del suo orario è concentrata al sabato, quando i colleghi di serie A sono al mare o in montagna. Al sabato le scuole pullulano di precari, neo-immessi in ruolo o altri scarti dell’umanità docente. Si aggirano silenziosi per i corridoi.
Non fa progetti a lunga scadenza, non esprime giudizi su libri di testo, regole, dogmi. Non fa domande, il precario. Pensa solo a contrastare la gelida diffidenza che ogni anno lo circonda, piovuto come un marziano nell‘ennesima scuola sconosciuta.
In questo modo, per dieci o vent’anni, il precario della scuola conduce la sua esistenza; senza certezze, senza ambizioni. E quando dice ai suoi figli, alla moglie o al marito, di aver fiducia nel futuro, non dice una verità intera.
La dice solo a metà.