Libertà condizionata: l'unica che insegnano a scuola
Lo definiscono un corso di Educazione alla Legalità. E, da quanto mi raccontano i miei alunni, a scuola funziona più o meno così. Un carabiniere, tra il minaccioso e l’affabile, scaraventa addosso ai ragazzi quintalate di foto di incidenti stradali da circo. Roba che nemmeno a mettersi lì con Photoshop riesci a rendere. Automobili fatte a pezzi, letteralmente distrutte, da non riuscire nemmeno a capire di cosa si tratti, esattamente. Poi tira in ballo la questione della responsabilità verso gli altri. E mentre alcuni sbigottiscono per la spettacolarità dell’immagine e altri si divertono ad immaginare in quale modo riuscirebbero a distruggere così fantasiosamente l’auto di papà, inesorabile cala sul ben poco intimidito uditorio la solita frase: “La mia libertà finisce quando comincia quella degli altri”. Ora dico, ma com’è possibile? Come si può continuare ad assistere a simili sciocchezze? A prescindere dal fatto che i ragazzi, ormai, con tutto quello che vedono ogni giorno, osservando quelle immagini sono istintivamente più spinti a concentrarsi sull’effetto speciale (spesso piuttosto misero, rispetto a quelli che si sciroppano nei film di oggi), che a considerare i rischi che corre chi non rispetta le regole; lasciando anche da parte la questione dell’effettiva efficacia di un atteggiamento, per altro ben poco educativo, che si limiti a spaventare, come se la legge fosse da rispettare solo per le conseguenze spiacevoli di una sanzione o di un infortunio, come se non ci fossimo accorti del fatto che più insistiamo che il fumo uccide, più glielo diciamo, glielo scriviamo a caratteri cubitali sul pacchetto di sigarette, e più la gente fuma; a prescindere da tutto questo, dico, siamo proprio arrivati al punto che chiunque debba esser considerato adatto ad educare i giovani? Chiunque, piuttosto che un insegnante?
Perché mai un carabiniere dovrebbe venir ritenuto un buon educatore, un tipo da trascinare dentro una classe, solo per il fatto che il suo compito consiste nel controllare che la gente segua le regole? Solo per il fatto che ha a che fare quotidianamente con la legge? Come dice Thoreau, la legge non ha mai migliorato nessuno. Essa si limita ad esporre, in termini razionali, una regola da seguire, ma non possiede certo la capacità di educare le persone a farlo. E per dirla con Socrate, per addestrare i cavalli ci vuole o no un cavaliere (o come si chiama, non so: un domatore, un addestratore equestre? Insomma, uno che sa come comportarsi con questo tipo di animali)... Mica può farlo chiunque, no? E com’è, allora, che per educare i giovani riteniamo possa andar bene chiunque? Anzi, meglio: chiunque tranne un insegnante, visto che siamo nell’epoca in cui ai ragazzi e alle loro famiglie vien chiesto di valutare, di giudicare l’operato dei loro docenti. Un’epoca in cui l’educando, che come tale non dovrebbe ancora conoscere i rudimenti dell’educazione, è messo in condizioni di giudicare l’educatore. Un’epoca in cui i docenti italiani sono considerati la feccia della società.
Detto questo, la storia della libertà che finisce quando comincia quella del tuo vicino la considero una delle sciocchezze più insensate, pericolose e diseducative mai sentite, per quanto affiori radiosa e insistente sulla bocca di tutti.
Perché la Libertà, miei cari ragazzi, non finisce mai. Se no, che Libertà è? Che ce ne facciamo, altrimenti, di una libertà così? La mia Libertà non si esaurisce, non si infrange di fronte ai tuoi diritti. La mia libertà non può e non deve dipendere da una concessione altrui, dal favore di qualcuno che si creda in grado di poterne disporre, stabilendone in maniera più o meno dispotica chissà quali confini. Tutt’altro! La mia Libertà si rinvigorisce, si dilata a dismisura, si potenzia infinitamente non appena si affaccia alle esigenze, ai diritti altrui. Non finisce mica. Anzi: si rafforza proprio lì. In cosa consiste, infatti, la Libertà, se non nel controllare impulsi e passioni e nel decidere, razionalmente, quale comportamento adottare di volta in volta? In cosa si traduce, se non nella facoltà di riflettere e, quindi, di scegliere deliberatamente, consapevolmente, di misurare le mie azioni, di tenere a bada il mio corpo, le mie parole, i miei sguardi, in nome di quello stesso rispetto che mi aspetto da te? Che cosa significa, se non l’essere in pugno a null’altro che a se stessi?
Allora, per favore, non crediamo più a chi pretende di educarci con la paura. Non dev’esser certo il terrore, né una serie di comandamenti, il movente delle nostre azioni. In generale, non può essere un qualsiasi sentimento a permetterci di controllare i sentimenti. Piuttosto, impariamo ad essere liberi. Fortemente liberi, completamente liberi. Impariamo ad utilizzare la nostra infinita, illimitata Libertà per scegliere razionalmente di comportarci secondo le regole, per scegliere di rispettare chi ci vive accanto. Impariamo ad usare bene questa nostra Libertà, mandando al diavolo quelli che ci vorrebbero giusti solo in nome di un’imposizione.
Dopotutto, chi cerca solo di spaventarci, chi ci insegna che la nostra Libertà abbia i metri contati, fa parte sempre del solito gruppetto. Appartiene a quella cricca di grigi, vili omettini che ogni giorno si sbattono per render sempre più grassi i loro burattinai.