Per una sana maleducazione ambientale
Non so se è girata la voce, ma da qualche tempo, in ogni classe delle nostre scuole, è approdata la figura del “Referente ambientale”. Niente paura, però. Al titolo altisonante corrisponde solo un alunno, più o meno sfigato, che si prende la gatta da pelare di occuparsi del corretto smaltimento dei rifiuti del resto del gruppo, che “sensibilizza” i compagni sulle problematiche ecologiche, invitandoli a utilizzare i fogli su entrambi i lati, a “valorizzare il rifiuto”, e ad altre retoricissime amenità di questo tipo. L’ennesimo esempio della dilagante e burocratizzante demagogia che individua e registra nomi e cognomi di poveri diavoli a cui, d’improvviso, poter chiedere minacciosamente conto, non appena le cose smettono di andare come dovrebbero.
L’iniziativa è a dir poco ipocrita. Si chiama Progetto 4R: Riusa, Ricicla, Ripara, Riduci. La circolare ministeriale che, trionfale, ha inaugurato l’iniziativa, si riferiva ad un concetto di educazione ambientale che sicuramente ci può e ci deve stare, in un contesto come quello scolastico. Resta il fatto, però, che l’insieme suona falso. E alquanto stonato.
Sì, perché nell’era del “Tutto a 9 euro e 90”, quella in cui la roba si butta alla velocità della luce, in cui se provi a farti aggiustare il phon che - guarda caso - ti si è rotto esattamente il giorno dopo la data di scadenza della garanzia, ti senti dire che ti costerebbe dieci volte quanto l’hai pagato; nell’era in cui il rifiuto viene, sì, talmente “valorizzato” da essere gelosamente conservato in cassonetti muniti di serratura, proprio perché costituisce un autentico tesoro per i Comuni (che ci speculano su, costringendo i cittadini ad imposte sempre più insostenibili e ad incredibili multe, tutte le volte in cui lo smaltimento non avviene correttamente); per le aziende produttrici (che ti rivendono infinite volte la stessa cosa che hai comprato, poi smaltito pagandoci su la tassa sui rifiuti e infine ricomprato, tenendoti imprigionato in un loop senza uscita che dura un’eternità. Della serie: ma quando mi vendete una Punto, almeno il finestrino che mi sono pagato e ripagato con le innumerevoli bottiglie che ho riciclato, me lo regalate?); per le società di smaltimento (che lucrano su tutta la filiera non esitando poi a incenerire o magari ad abbandonare al Polo Nord, in modo assolutamente indifferenziato, tutto quanto è stato da noi scrupolosamente differenziato, ma che non interessa a chi sul riciclaggio deve assolutamente far profitti); per le industrie farmaceutiche (che su tutto questo cancerogenissimo incenerimento d’immondizia costruiscono i loro giganteschi imperi finanziari)... Ecco, dicevo, in questa ipocrita e bugiarda fase della storia dell’umanità, progettini di questo tipo dovrebbero soprattutto far saltare i nervi alla gente per bene, quella che vive quotidianamente sotto scacco di un sempre più evidente e potente connubio tra interessi privati e pubblici provvedimenti. A tutta quella gente sprofondata nell’era in cui, coloro che proclamano con entusiasmo e commozione le Giornate degli Alberi invitando i ragazzi a piantarne nel cortile della loro scuola, sono gli stessi che ne fanno fuori a decine a pochi metri di distanza, davanti al cimitero, sulla strada comunale, nel giardino pubblico dietro l’angolo, solo perché costa troppo accudirli o perché conviene appaltare nuove costosissime piantumazioni ai soliti noti, quelli che hanno sempre necessità di fare incassi. Far arrabbiare tutti noi, invischiati in un mondo in cui si propaganda a spron battuto qualsiasi attività di volontariato solo perché serve a colmare le lacune di uno Stato sempre più assente. Un’epoca in cui si assoldano studenti volontari per ripulire i cortili della loro scuola, quegli stessi cortili di cui dovrebbero occuparsi decine di “operatori” che non si capisce a che titolo abbiano smesso di farlo, continuando per altro a venir retribuiti nella stessa misura di prima. L’era in cui, siccome “la coperta del Governo è corta” e “l’Europa ce lo chiede”, si impongono sacrifici economici immani a milioni di persone che non hanno nemmeno più i soldi per comprarsi da mangiare, ma che, evidentemente, a differenza dei loro facoltosi governanti possono contare su “coperte molto più lunghe”. L’era della Sanità pubblica sempre meno pubblica, sempre meno sana e sempre più “intra-moenia” o addirittura spudoratamente privata.
Lo Stato latita? Non riesce più a garantire nemmeno i servizi minimi, alla sua gente? Ebbene, non solo non se ne preoccupa richiedendo al cittadino sempre nuovi sacrifici o impegni extra a titolo completamente gratuito, ma addirittura, invece che allentare per lo meno la pressione fiscale, inasprisce sempre più le sue odiose gabelle. E noi? Tutti di ramazza, cornuti e mazziati!
In questo inquietante quadro rientra, quindi, anche la suddetta, rasserenante educazione ambientale, alle cui sollecitazioni sicuramente fan bene a risponder con entusiasmo i nostri ragazzi, per carità. Ma che, forse, bisognerebbe cominciare ad associare ad una sana “diseducazione all’ambiente”. L’ambiente politico, quello economico, quello “sociale” marcio e corrotto. Un’opportuna, urgente maleducazione. Capace di andar ben oltre la solita, retorica ed insignificante “indignazione”, che continua a lasciare il tempo che trova e serve solo a far parole inutili e a non cambiar mai nulla. Bisognerebbe associare l’educazione all’ambiente, insomma, ad un’altra parallela educazione: quella che - con buona pace di zio Darwin - insegnasse ai ragazzi a non adattarsi più all’ambiente ipocrita che li circonda e che li costringe a studiare decine di anni, pulendosi pure la scuola per cui i loro genitori pagano fior fiore di tasse e di “contributi volontari”, per poi abbandonarli nella notte della malasanità, o nella più nera disoccupazione, in qualche call-center a lavorare anche di domenica, a tre euro all’ora.
Bisognerebbe, insomma, insegnare ai nostri giovani ad arrabbiarsi davvero. Per sentirsi veramente educatori e portatori di autentica libertà, invece che complici di un dilagante schiavismo. Per sentirsi veri uomini, in grado di contribuire a spezzare quella orripilante catena di sfacciate ipocrisie e di criminali ingiustizie che invece ogni mattina, nelle nostre scuole, insegniamo a subire, ad appoggiare e a perpetrare.