Se la somma non fa il totale…
Riflessioni sulla Seconda Guerra del Golfo
Sembra piuttosto scontato, di questi tempi, affermarlo, ma è sempre più chiaro.
Lo Stato non si rispecchia più nelle opinioni e negli atteggiamenti dei suoi cittadini. In un'epoca in cui viene sbandierata ai quattro venti - soprattutto a quelli che soffiano verso Oriente - la tanto decantata democrazia occidentale sembra in realtà funzionare ad intermittenza, un po' come le luci sull'albero di Natale.
In nome della democrazia lo Stato chiama i suoi cittadini a votare quando ne è costretto, ma, subito dopo, il potere affidato nelle mani degli "Eletti" diventa quasi incontrollabile ed incondizionato.
In nome del solito ritornello "abbiamo vinto le elezioni ed ora lasciateci governare", nessuna interferenza con pensieri, parole opere ed omissioni degli Eletti sembra ammissibile.
La Democrazia intermittente sembra essersi ritirata in letargo, in attesa di future ed inevitabili consultazioni elettorali, in occasione delle quali, però, tutti noi saremo di nuovo responsabilizzati circa l'importanza di esercitare il nostro diritto di voto per il bene del Paese.
Poi tutto da capo, in un sistema politico nel quale, parafrasando Totò, la somma non fa più il totale.
Che l'attività politica di uno Stato non rispecchi più la somma delle opinioni e dei valori dei suoi abitanti, va inteso, però, in un senso molto più sottile ed inquietante.
Torna alla mente il grande capolavoro di Platone, la Repubblica. La storia della filosofia post-platonica ha criticato in tutte le salse quest'opera proprio a causa del suo utopismo.
E' vero: la politica come passione e come sete di verità e di bene che spinge chi governa a farlo esclusivamente per il bene dei propri cittadini, i governanti privati di qualsiasi proprietà e ricchezza ma felici e completamente appagati dalla loro stessa attività di governo e dal constatare che sono felici i cittadini stessi, ogni governato messo in condizione di realizzare pienamente la propria personalità al servizio della comunità…
Tutte cose che non stanno né in cielo né in terra.
Tra le tematiche che però debbono essere prese in seria considerazione da un politico che si rispetti, senza essere liquidate come utopiche, una in particolare va ricordata.
Platone insiste su quel mirabile gioco di specchi tra Stato e cittadini, tra collettività ed individualità, che rappresenta la testata d'angolo di tutto il suo sistema politico. Lo Stato, in altre parole, è dal grande filosofo ateniese concepito come un grande, colossale individuo, dotato di un corpo ma anche di un'anima, la quale possiede esattamente le identiche caratteristiche dell'anima umana, dell'anima di ogni suo cittadino.
Lo Stato è giusto esattamente nello stesso senso in base a cui si considera giusto un suo abitante. Anzi, di più: lo Stato non può essere veramente giusto se non lo sono i suoi cittadini, i quali non possono a loro volta dirsi giusti se non sono messi in condizione di operare, ognuno con le proprie peculiarità, il proprio talento, le proprie inclinazioni, in uno Stato che è giusto perché permette ad ognuno di collocarsi al proprio posto.
Al di là delle realistiche considerazioni circa i problemi occupazionali del nostro tempo, emerge in modo lampante la differenza tra questo perfetto modello di Stato ed i nostri attuali ed occidentalissimi governi democratici.
Sì, perché è davvero sconvolgente che uno Stato di diritto, come ama definirsi la stragrande maggioranza dei governi occidentali e non, faccia valere al proprio interno, nei rapporti tra i singoli cittadini, un diritto che non si sogna minimamente di osservare a livello internazionale, nell'interazione tra una nazione e l'altra.
Facciamo un esempio.
Nel 1989, a Pechino, migliaia di studenti vennero falcidiati in piazza Tien An Men dalla repressione antidemocratica di Den Xiaoping. La comunità internazionale reagì sdegnosamente isolando la Cina con pesanti sanzioni economiche. Due anni dopo gli USA, inizialmente massimi sostenitori della linea dura contro Pechino, si affrettarono a sospendere le suddette sanzioni in cambio dell'astensione della Cina nella votazione sulla risoluzione ONU che sanciva il via libera ai bombardamenti sull'Iraq. Se i rapporti tra gli Stati fossero davvero regolati dalla stessa (ed unica) giustizia che regola quelli tra i cittadini di un unico Paese, questa cosa non sarebbe mai successa.
In nessuno Stato di diritto si verrebbe a patti con un omicida condannato, poniamo, a trent'anni di carcere. Una volta riconosciuta una colpa da un tribunale, essa va scontata, punto e basta.
Non può dirsi certo giustizia quella che calcola i propri interessi, che tratta, che condona in cambio di favori o tangenti. Ma la giustizia all'interno di uno Stato di diritto sembra proprio che possa essere assolutamente calpestata nei rapporti tra un Paese e l'altro.
Lo stesso principio vale per i fatti di questi giorni.
In uno Stato di diritto non è possibile neppure pensare che un cittadino, seppur vittima di un qualsiasi crimine, possa procedere a farsi giustizia da solo scavalcando giudici e magistratura, anche ammesso che egli conosca con esattezza e precisione l'identità del suo aggressore.
Questo, eppure, è quanto è permesso e giustificato relativamente all'ennesimo attacco degli USA nei confronti dell'Iraq, la cui responsabilità circa l'attacco alle Torri Gemelle, tra l'altro, non è stata dimostrata nemmeno in modo così efficace.
Può darsi che il modello platonico di uno Stato come individuo globale, che osserva le stesse regole che pretende siano seguite al suo interno, che si sottopone ad un tribunale invece di farsi giustizia da solo, che non adotta la legge del taglione esattamente così come non la permette ai suoi cittadini, possa rappresentare, invece, un insegnamento preziosissimo per la Pace del mondo di domani, se qualcosa di questo mondo domani resterà.
Può darsi che, dando retta a Platone, gli Stati possano cominciare ad imparare dai loro cittadini, e i governanti dai loro governati. Certo è che una copia della Repubblica andrebbe senza dubbio spedita ad ogni Eletto di ogni Stato di diritto.
Così, tanto per provare a sperare che qualcuno di loro si faccia prendere dalla vera passione per la politica, che ha a che fare con il potere esattamente come con la pace hanno a che fare i rapporti di forza, le minacce, gli attentati e le bombe.