Lettera aperta al Presidente Fico
Ill.mo Presidente della Camera, onorevole Roberto Fico, scrivo a Lei perché, per quanto mi riguarda, rappresenta una delle più aperte, coerenti e intelligenti personalità politiche di questa concitata legislatura.
Leggo con molta partecipazione la Sua recente dichiarazione, le Sue parole commosse circa l'urgenza, da tutti noi condivisa, di restituir dignità e qualità di vita alle persone che hanno subìto irrecuperabili perdite umane, indicibile sofferenza, insopportabile privazione, dal terremoto abbattutosi su L'Aquila esattamente dieci anni fa.
Leggo e penso, ché di rifletter mai riesco a fare a meno.
In questi giorni son molti ad augurarsi che il calvario abbia termine, che tutto quanto ancora non funziona venga ripristinato. Che gli edifici feriti o abbattuti vengan restaurati, che le case crollate siano riedificate, che a quel terrificante scenario di morte e distruzione si sovrapponga presto quello di una rinata, rinnovata e meravigliosa città.
Si è parlato molto, in questi giorni, di questo problema.
Delle difficoltà incontrate, dei fondi che mancano.
Si è perfino insistito sulla rapidità e l'efficienza degli enti privati impegnati in ricostruzioni e restauri, a confronto della solita inefficienza degli interventi pubblici. Un tema attuale, tristemente attuale. Che spesso vien trattato con superficialità, scambiando cause ed effetti, col solo intento di continuare a convincer la gente che “privato è meglio”. Come se non fossero quegli stessi così efficienti “privati”, così demagogicamente rapidi a restaurar chiese, a tener in scacco da tempo le nostre pubbliche risorse.
Si è parlato e si è detto molto, dicevo. Quel che non si è detto, però, è che in questi lunghi dieci anni, se in favore della ricostruzione di quelle martoriate e dimenticate zone si fosse soltanto “dirottato” quanto nel frattempo devoluto a uno Stato straniero, oggi L'Aquila splenderebbe, smagliante e radiosa, ancor più bella di un tempo.
È dal 2010, infatti, che il perverso (e, nei suoi dettagli, ben poco noto) meccanismo del gettito dell'8 per mille alla Chiesa Cattolica ha superato ampiamente quota 1 miliardo.
Un miliardo, sì, onorevole Fico. Di cui ben 750 milioni utilizzati dalla Città del Vaticano solo per retribuire i suoi molti “operai”.
Per assicurare quei 150 mila euro annui (esenti da qualsiasi imposizione fiscale) che, proprio al momento del terremoto, grazie ai nostri gettiti centinaia di cardinali sparsi per il pianeta percepivano. O quei 39 mila euro all'anno (sempre esentasse) che i nostri vescovi, sempre in quello stesso 2009, dalle nostre travagliate finanze incassavano.
O per gli stipendi delle decine e decine di migliaia di sacerdoti presenti nella nostra penisola.
Mi riferisco, come vede, a un dato di dieci anni fa. Senza contare, quindi, i successivi “adeguamenti di stipendio” di cui, senz'altro, gli innumerevoli “servi di Cristo” debbono aver goduto.
Ci vuole poco, allora, Presidente per capire che se, proprio in virtù di un'emergenza come quella costituita da un terremoto, lo Stato italiano avesse interrotto questo incomprensibile finanziamento nei confronti di uno Stato straniero e di una confessione religiosa che nulla dovrebbe vedersi riconosciuto da un Paese come il nostro - un Paese che, in base alla sua stessa Costituzione, si dichiara laico - e avesse, invece, “spostato” il gettito nella ricostruzione della città de L'Aquila, oggi non saremmo qui a piangerci addosso. Soprattutto, non sarebbero ancora lì, a piangere sulle loro macerie, gli aquilani.
Proprio oggi il Presidente della Repubblica ha definito questa ricostruzione “una sfida nazionale".
Ecco, illustrissimo Presidente, glielo dica Lei.
Gli faccia sapere, La prego, che nessuna “sfida” ci aspetta, che alle parole, ogni tanto, anche in Italia potrebbero davvero seguire i fatti.
Lo dica Lei, La prego, a Mattarella. Gliela dia Lei, questa buona notizia.
I soldi ci sono, Presidente.
I soldi, ci sono.
Buona giornata e buon lavoro.