La prenotazione del Signor Pietro

Tiro su il telefono e chiamo il CUP dell’ASL.

Non è uno scioglilingua, è l’unico modo per prenotare una visita. Per l’appunto, necessito di una visita. Una visita oculistica.

Dunque chiamo, e mi becco la solita musichetta ossessionante, con contorno di voce suadente che mi invita ad aspettare un po’ in tutte le lingue.

Guarda caso, tutti gli operatori sono momentaneamente occupati.

Per farla breve (in realtà ben poco), qualcuno risponde, scocciato.

Tempo mezza frase e la voce infastidita mi interrompe, ora anche rancorosa: il numero che ho fatto è proprio sbagliato! Oso chiedere quello giusto e scopro che Aristotele aveva torto, o quanto meno è ormai da considerarsi obsoleto: di questi tempi, infatti, pare proprio che la temerarietà non sia più un vizio.

Lo dimostra il fatto che la tipa mi rovescia addosso una serie di cifre, prima di sbattermi il telefono sul naso.

Ringrazio il nulla e mi riaccingo a ri-smanettare sul telefono.

Ri-musichetta, ri-ossessione (‘ste cavolo di melodie, spesso vere e proprie storpiature del povero Vivaldi, mi restano poi appiccicate alla parete interna del cranio per giorni e giorni). Poi, nuova vociaccia. Sono Giuliana; in cosa posso esserle utile? Ecco, sì Giuliana, vorrei prenotare una visita oculistica. La risposta mi congela. Periodo di attesa: 5 mesi.

Faccio presente che ho tempo di diventar cieco; non sembra impietosirsi granché, la nostra Giuliana.

Rilancia con la visita intra moenia. In pratica: stesso ambulatorio, stesse attrezzature, stesso medico, ma a pagamento. Sta scivolando tutta in questa direzione, la nostra tanto lodata sanità pubblica.

Semplicemente, sta diventando “non-pubblica”. Il principio non mi piace per nulla, ma mi affaccio timidamente alla possibilità di pagare e oso chiedere quanto.

Dai 65 ai 100 euro, ma a quanto pare lo saprò solo a visita ultimata.

Visto che si stra-paga, quella visita è disponibile subito.

Il dottore mi aspetta a braccia aperte.

Si, ma tutti 'sti soldi, accidenti.. D'accordo, ci penso. Grazie.

E a quel punto crollo, letteralmente, mentre la tipa mi saluta educatamente.

Buona giornata, Signor Pietro!

Così, curvo sul tavolo della cucina, tento un bilancio della chiamata; ma in qualunque modo la giri, la faccenda mi pare decisamente deprimente.

Poi decido di non darmi per vinto e provo a contattare il CUP di un’altra ASL, pur sapendo che il risultato sarà lo stesso.

Nel frattempo mi consolo con la solita musichetta ammazza-cervello.

La suadente signorina elettronica mi suggerisce ancora di attendere.

Vorrei chiederle il perché di tutte le tasse che pago e perché, tra l’altro, aumentano continuamente.

Vorrei capire a che titolo le pago, a che titolo una parte del mio stipendio va tutti i mesi nelle tasche di uno Stato che in cambio mi tratta così.

Già che ci sono vorrei cominciare a diffidare tutta ‘sta gente dal chiamarmi Signor Pietro.

Quanto odio ‘sto accidenti di appellativo, subdola via di mezzo tra il tenermi a distanza e il farmi sentire tutta la loro finta complicità.

Preso dallo sconforto, dopo un quarto d’ora di attesa sono quasi tentato di mettere giù; ma mi trattengo e resto incollato al telefono...

Non vorrei mai perdere la priorità acquisita.

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Un minuto di silenzio!