Solo una cosa... La nostra Scuola
“Solo una cosa..."
È questo l’intercalare con cui una mia alunna di quarta, nel corso di quest’anno scolastico, iniziava ogni sua richiesta di chiarimenti durante le mie spiegazioni...
Solo una cosa vorrei dire su questa scuola. Ho quarant’anni, insegno Filosofia e Storia dal 1991.
Lo so, sono capitato nel periodo peggiore. Negli ultimi quindici anni l’istruzione italiana ha conosciuto un degrado senza precedenti. Sono capitato nel periodo peggiore, sì, ma d’altra parte questo è un po’ il denominatore comune di tutto ciò che mi è capitato in questa mia vita.
Quasi sempre sono giunto nel posto giusto al momento sbagliato.
Qui, però, non si scherza. Qui si parla della scuola, quell’ambiente che io, da studente, ho frequentato per anni ed anni con il massimo rispetto, anche quando ero contrario, anche quando protestavo. Il mondo della scuola che mi vedeva coinvolto come alunno era denso di forti emozioni, di grandi tensioni ma anche di intensi affetti. Era un mondo in cui erano prioritarie le attività educative e culturali, in cui si andava ad imparare da Professori veri, circondati da un’aura di rispetto, persino di timore.. Professori in senso letterale: professionisti dell’istruzione, esperti nell’insegnamento della propria disciplina. Chi più chi meno, certo, ma tutti degni del rispetto che si deve a chi sta lì per insegnarti qualcosa.
Era un ruolo elevatissimo, che pochi di noi osavano anche solo sognare di ricoprire, un giorno. Un giorno...
Un giorno è toccato a me. Incredibilmente, indegnamente, ho cominciato ad insegnare (e solo in quel momento ho cominciato ad imparare veramente), quello che è uno dei grandi amori della mia vita: la Filosofia.
Sin dalle prime supplenze non sono mai riuscito a convincermi dell’idea di essere stato chiamato poiché lo Stato avesse bisogno di uno come me, per insegnare qualcosa di così elevato a dei giovani... Eppure mi sentivo desideroso di dare, di trasmettere, di aiutare i ragazzi a riflettere e a ragionare..
Cosa è rimasto di tutto ciò, adesso, dopo le riforme Berlinguer e Moratti?
Solo una cosa.. Nell’era dell’Autonomia la scuola è diventata un mercato.
I ministri dell’Istruzione hanno deciso di applicare le regole del liberismo al mondo dell’istruzione, e di fare dei Presidi veri e propri Manager. Il principio è semplice: la competitività migliora il servizio.
Un principio che, chissà perché, i politici degli ultimi anni hanno deciso di applicare alla suola e non alla telefonia o alla distribuzione dell’energia elettrica...
Le scuole in competizione.
Questa la grande idea che ha portato al taglio dei finanziamenti statali per lasciar posto ad un’autonoma quanto disastrosa pianificazione economica di ogni singola realtà scolastica.
Autonomia. Lo stato taglia i soldi e le scuole debbono far di tutto per meritarseli con “progetti mirati” che attirino il maggior numero di “clienti”, gli studenti appunto, trasformati in “capitale umano”, “risorsa”, tutti termini ormai in voga in questo nuovo mondo utilitaristico.
È molto semplice: più alunni accorrono ad iscriversi in un Istituto, più soldi arrivano dal Ministero.
Pochi sanno che ogni anno, in primavera, comincia il balletto delle cattedre e delle future classi. Si diffonde in giro per le aule il terrore delle prossime iscrizioni... Si elaborano statistiche, si tracciano bilanci, si azzardano previsioni.
L’arma del ricatto l’ha in pugno il CSA provinciale (Centro Servizi Amministrativi, ossia l’ex Provveditorato agli Studi: anche il nuovo appellativo di questa istituzione ha perso qualsiasi richiamo all’istruzione). Il CSA permette la formazione di classi al di sopra di una certa soglia, un certo numero minimo di alunni da raggiungere ad ogni costo, pena lo smembramento della classe stessa, ai cui componenti, in quel caso, non resterà altro destino se non di venir distribuiti nelle altre sezioni.
Ecco lo spauracchio: Meno alunni, meno cattedre, meno posti di lavoro per gli insegnanti, meno soldi per la scuola. Ed ecco l’immorale effetto di questa dissoluta politica che tutto ha di economico e nulla di educativo: bocciare il meno possibile e sottrarre il maggior numero possibile di studenti agli istituti vicini!
Non sono invenzioni.. È che se ne parla poco, anzi, non se ne parla affatto. Non si racconta delle pressioni che la maggior parte dei Presidi-Manager ormai esercitano costantemente sugli insegnanti che intendono continuare a svolgere il proprio lavoro con dignità e con rispetto nei confronti di se stessi e dei loro ragazzi, pressioni tese a costringerli ad alzare i voti, ad evitare in tutti i modi di bocciare, con la scusa del povero alunno vittima della società o dell’atmosfera familiare.
Non si racconta dei ricatti cui vengono sottoposti i docenti che attribuiscono un debito scolastico a chi l’ha effettivamente meritato. Minacce di ricorsi, assunzioni di responsabilità, continui confronti con colleghi zelanti e moderni che non bocciano mai, moduli su moduli da compilare per deresponsabilizzare colleghi e Preside dalle folli scelte di chi osa dare insufficienze, scadenze su scadenze da rispettare, lettere alle famiglie, il tutto per incastrarli in un eventuale ricorso.
Non si parla di quelle belle riunioni di fine anno, nel corso delle quali il Dirigente Scolastico (questo è il nuovo e manageriale appellativo del vecchio Preside) traccia un bilancio dei due quadrimestri mostrando a tutti i docenti il tasso dei respinti (“Quest’anno abbiamo bocciato il sei per cento degli alunni. È un dato che fa riflettere: dobbiamo lavorarci sopra, per abbassare questa media”. NOI dobbiamo lavorarci?! Noi, non loro, non gli studenti!).
Non si racconta degli scrutini in cui si cerca di premiare il tale ragazzo la cui madre ha portato dieci nuovi iscritti reclutati tra i conoscenti del suo paese. Non si parla delle riunioni in cui, subdolamente, si è costretti a contrattare con il Preside il numero dei futuri bocciati, per evitare che il dato incida troppo e la classe venga smembrata (“Non più di due, mi raccomando! ” Sì, ma quali scegliamo?).
E non si parla nemmeno troppo della vera natura, della vera utilità dei progetti, i veri e propri “piani quinquennali” del mondo dell’istruzione.
Funzionano così: tutti gli insegnanti sono tenuti (ma poi tocca spesso agli stessi), a presentare dei progetti. La scusa è persin nobile: integrare l’attività didattica con corsi alternativi (musica, teatro, danza, taglio e cucito...) o con uscite, gite in barca a vela, settimane bianche... Dare finalmente agli alunni, insomma, la possibilità di effettuare tutte quelle attività che prima si gestivano autonomamente al pomeriggio o nei fine settimana!
A cosa servono questi progetti?
Semplice: a “rubare” alunni agli altri istituti. “Andiamo ad iscriverci al Liceo X: lì ti bocciano di meno e per giunta impari ad andare in surf ! “. Reclutare per ottenere finanziamenti. Rieccoci! La finalità è sempre la stessa: i soldi.
I soldi che porteranno i nuovi iscritti attratti dalle attività extra che ormai sono diventate più necessarie di quelle “curricolari”. Assistere ad una lezione di Filosofia o di Matematica ha, ormai, lo stesso valore che imparare a cucinare in quelle stesse ore di scuola. Ma è senza dubbio più redditizio, in termini di marketing... Si è mai sentito qualcuno affermare che vuole iscriversi in quella data scuola perché fanno più latino?! Il progetto serve, dunque, a due cose: attirare nuova “utenza” ed accaparrarsi così i fondi del Ministero, che solo in questo caso decide di pagare!
Ma come è possibile? Mia madre, alla fine della scuola media, mi iscrisse nel Liceo cittadino che vantava il maggior numero di bocciati, così da garantirmi una preparazione la più solida possibile...
Come è possibile che in vent’anni il mondo si sia ribaltato così?
Ne emerge una scuola fatta di insegnanti umiliati, demotivati, spaventati (e chi si arrischia a bocciare più? Io amo scherzare, ma non troppo, sostenendo che quando ero alunno prendevo legnate dagli insegnanti e ora che sono diventato insegnante le becco dagli alunni! Che vita è?!)
Per non parlare del clima plumbeo e omertoso che si respira. Mobbing alle stelle, spiate ininterrotte, maldicenze e... Silenzio. Nessuno che si ribelli, nessuno che protesti... Al termine delle lezioni il Preside traccia il bilancio finale e si complimenta con il collegio docenti, diventato ancor più “progettuale” rispetto all’anno precedente, il che significa che molti di noi hanno inventato nuovi modi per recuperare soldi. Tutti esultanti: i docenti progettuali hanno portato soldi e nuovi alunni alla scuola (nuovi alunni che poi, regolarmente, non si sa dove mettere: se infatti la metà dei collegi viene convocata per inventare stratagemmi al fine di attirare ragazzi, l’altra metà serve per scervellarsi su dove metterli perché, sistematicamente, mancano aule e laboratori, il tetto crolla, la palestra è inagibile...). Tutti esultanti, coi complimenti del Dirigente.
Ed io che non ho fatto nessun progetto, io che ho inutilmente passato il mio tempo a spiegare banalmente Cartesio o Kant, io che mi sono limitato ad insegnare cercando di interessare un poco questi giovani, cercando di farli un po’ innamorare della cultura vera, quella che non porta nessun giovamento economico ma rende felici e fa crescere un po’...
Io, ancora una volta, non sono servito a nulla.