La questione della Laicità

Il punto di vista dell’istruzione italiana - così come quello della nostra cultura o della nostra cosiddetta “informazione” - è sempre e solo cattolico. È l’unico ad esser sempre sdoganato, nelle nostre scuole come nei nostri quotidiani discorsi, con la scusa che tanto “agli altri che fastidio dà”? Che fastidio dà “agli altri” un crocifisso appeso in un luogo pubblico? Che problemi dovrebbe avere un “non cattolico” nel dover seguire pezzi di omelia del Papa durante un Tg della Televisione di Stato?

A dirla tutta, però, la laicità non è un’alternativa all'esser cattolici, o protestanti, o musulmani. Abbiamo davvero bisogno di un mondo in cui, invece, si impari ad essere cattolici, atei o musulmani E QUINDI, in quanto tali, laici. Ossia rispettosi, attenti, sensibili alla suscettibilità ed alle convinzioni altrui, consci che la verità di ognuno valga quella degli altri, ma, contemporaneamente e proprio per questo, sia assolutamente Verità. Uomini, insomma, che non negano il valore di una verità, che non si riducono a semplici relativisti né si accontentano di definirsi semplicemente “neutri”. Non erano neutri né relativisti coloro che sono morti per la libertà, quelli sul cui sacrificio abbiamo costruito una speranza (probabilmente illusoria) di democrazia. Le loro non erano "prospettive", erano Verità, altroché! Per una prospettiva non si muore sul rogo, non si viene fucilati. Ma la verità di colui che per essa si fa fucilare non è da meno di quella di chi lo fucila. E se entrambe le parti ne fossero consapevoli, se entrambe le parti avessero imparato ad esser laiche, nessuno fucilerebbe più nessuno. Accontentarsi di esser neutrali equivale a ridurre la fiamma alla luce che proietta, smarrendone irrimediabilmente il calore. Le cattolicissime fiamme che hanno arso vivo sul rogo il laico, rispettoso e intellettualmente onesto Giordano Bruno, quelle bruciavano; bruciavano eccome! Ad arrostire su quel rogo non c’era un uomo “neutro”. Perché chi è neutro non si fa bruciare, per niente al mondo. Un laico non è neutro, non è uno che se ne frega, non è neppure un ateo. D'altra parte, nemmeno un ateo “se ne frega” ma, spesso, è un individuo che lo è diventato dopo un lungo, tortuoso percorso di riflessione personale e - dalle nostre parti - di graduale liberazione dalle incrostazioni della cultura cattolica in cui, gioco forza, è stato allevato fin dalla nascita.

In generale, non ha alcun senso che, nel Terzo millennio, nella testa della gente continui a funzionare meccanicamente l’associazione “laico = ateo”. Personalmente, conosco molti atei che sono tanto poco laici quanto la maggior parte dei cattolici o dei musulmani. Su questo occorre far chiarezza, perché laicità significa "solo" onestà intellettuale. Significa sapersi metter da parte, far spazio. E, strano a dirlo, persino un cattolico può imparare, con fatica, ad essere onesto. Anche se, probabilmente, una volta ottenuto questo risultato dovrà ammettere di essersi "ridimensionato" a puro "cristiano", ad un individuo che nutre il proprio rinnovato amore per Dio senza necessariamente avvertir l’esigenza di evangelizzare qualcun altro. No, no. Il laico non è né l’ateo né il neutro; non è assenza di carica. Tutt'altro. Laico è carica positiva. Estremamente positiva. Quella carica che vivifica e corrobora - invece che intiepidire - una convinzione, una certezza, una fede. Diventar laico è l’obiettivo che ogni uomo sensibile ed intellettualmente onesto dovrebbe porsi nella sua relazione con gli altri.

Ecco perché, nella scuola pubblica, l'unica strada per questo "far spazio" consiste nel rispettoso, onesto, laico silenzio. Consiste nel ritrarsi, nel filtrare, nello scremare. Nell'accogliere, insomma.

Riusciremo mai a capire che la laicità non dovrebbe essere mai presentata come una semplice alternativa? Riusciremo mai a capire che in una scuola non dovrebbe trascorrere nemmeno un minuto, nemmeno un istante svuotato di autentica, pura e sana laicità?

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La questione dell'insegnamento della religione nella scuola statale italiana. Il caso Invalsi

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