Docenti refrattari all’Invalsi? Si becchino la formazione obbligatoria!

Dev’essere ottobre il mese che porta sfortuna agli insegnanti statali italiani. Dev’essere senz’altro così. L’anno scorso, a quest’epoca, i prof della scuola pubblica si trovavano sulle barricate in seguito alle dichiarazioni dell’allora ministro Profumo, fortemente intenzionato ad aumentare di sei ore il loro orario settimanale senza aggiungere un centesimo al loro stipendio. Il muro di proteste sollevatosi immediatamente aveva tarpato le ali al demagogico intento e la cosa sembrava esser morta così. Quest’anno, forse un po’ più addomesticati dalla propaganda e un po’ più distratti dal gossip politico di sistema, i docenti statali si stanno invece facendo passare sulla testa decreti ammazza-contratto o decisamente a favore delle scuole private, apparentemente senza batter ciglio.

E così, mentre la nuova Legge di Stabilità con una mano mantiene il blocco degli stipendi statali fino al 2015 per ragioni di “mancanza di copertura” e con l’altra elargisce altri 220 milioni di euro alle scuole private, il Decreto Legge 104/2013, passato a fine mese alla Camera e in attesa di approvazione al Senato, all'articolo 16 prevede la FORMAZIONE OBBLIGATORIA rivolta ai docenti che lavorano in regioni o in scuole in cui gli esiti delle prove INValSI (di cui abbiamo già ampiamente parlato: vedi ad esempio i miei Il Vaticano, il caso Invalsi e quelle relazioni pericolose e Santa Romana Scuola), siano risultati inferiori alla media nazionale.

Stringi stringi, se l’alunno non studia (o non “crocetta” secondo i dettami del gesuitico Boston College, da cui tutto il sistema internazionale di valutazione scolastica - INValSI inclusa - dipende), a tornare tra i banchi sarà l’insegnante.

Un colpaccio non indifferente, no? La formazione obbligatoria (di cui non v’è attualmente alcuna traccia sui CCNL) non viene infatti prevista dal suddetto Decreto solo per prof che lavorano in Scuole risultate "inferiori alle aspettative INValSi" (cosa che di per sé già sarebbe piuttosto grave), bensì per tutti quelli che lavorano in REGIONI - vale la pensa sottolinearlo bene - classificatesi sotto la media delle graduatorie stilate dal nostro amato Istituto Nazionale per la Valutazione Scolastica.

Gli italiani, docenti o no, sono un po’ tutti fatti così: cambia il nome alle tasse o a qualsiasi decisione impopolare ed ecco che tutti smettono di contestare e si allineano. Con questa tattica stile “imposta sui rifiuti”, le ventiquattro ore al mese in più richieste a titolo gratuito e apparentemente finite nel dimenticatoio un anno fa, vengono così ri-propinate ai docenti pubblici anche sottoforma di formazione pro-INValSI. E diciamo “anche” perché a rinfoltire le ore dei corsi obbligatori stanno arrivando anche quelle dedicate all’aggiornamento sui BES, i cosiddetti “alunni con Bisogni Educativi Speciali” di cui abbiamo già trattato e della cui presenza, improvvisamente, il MIUR si rende conto solo ora. Una novità che comporta un notevole aggravio di carichi psicologici e impegni materiali da parte di docenti sempre più responsabilizzati e sempre meno valorizzati. Con contorno di corsi di formazione che - secondo una tattica ministeriale già collaudata con i test INValSI - sono stati introdotti a titolo “sperimentale” ma che, magicamente, si sono trasformati nella classica “offerta che non si può rifiutare”.

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