Cellulari in classe. L'ennesima sconfitta
17 settembre 2017
Professor Ratto? Siii? C’è una supplenza da fare.
Uffa, no.. in che classe? Una seconda linguistico. Solita ora buttata, dunque. Nessun programma in comune con quello del triennio. Quello di cui mi occupo io, insomma. E poi, a ben pensarci, anche fosse.. Anche se si trattasse, che so, di una terza, non oserei mai entrare e spiegare, cacciando il naso nel lavoro svolto da un collega. Non piacerebbe a lui, non piacerebbe nemmeno a me.
Quindi, ora buttata. Della serie: controlli solo che non si ammazzino e tieni d’occhio l’orologio spingendo le lancette con lo sguardo impaziente verso lo squillo liberatorio della campanella.
In realtà sono brave. Bravissime. Una quindicina di ragazzine educate e silenziose. Leggono, scrivono. Qualcuna scambia qualche parolina, ma con rispetto e riservatezza. Suppongo abbiate da fare, no? (Sicuramente sì. Vuoi mica che ti diano “licenza di spiegare”, no?). Sì, infatti. Sì, hanno da fare.
A metà della faccenda però, proprio mentre esulto scorgendo la lancetta più lunga ormai irrimediabilmente conficcata nel 6, una mano, timidamente, si alza.
Scusi Prof… Posso usare lo smartphone? E’ che ho bisogno di una calcolatrice...
Certo, sì, rispondo. Tanto più che la ministra sta per permetterne di nuovo l’uso in classe! Maccome, non lo sapete? (Occhi sgranati, clima di festa stretto al guinzaglio). Massì! Entro la fine di ottobre la sua commissione di esperti emetterà il responso finale (gli "esperti", sì... cherridere! Ma dove li trovano 'sti "esperti di cellulari in classe"..? Pensa tu il curriculum!) Vabbè, dicevamo.. Lei stessa, la ministra intendo, lo ha già sostenuto più volte. Il cellulare in classe non è mica un fattore di distrazione. Macché, macché! Trattasi soltanto di ottimo strumento didattico!
La ragazzina sfodera l’ingombrante aggeggio. Non è il solo, il suo, a comparire. Qualcun’altra, con circospetta discrezione, prende a cacciarci il naso dentro con il solito sguardo improvvisamente inebetito. Un dubbio mi assale. Che il mio festoso annuncio possa rivelarsi destabilizzante. Ma no, sembra di no. La classe continua a far silenzio. Dal canto mio, non mi prendo certo la briga di rimproverare chi adesso lo sta usando. Un ottimo strumento didattico, signora ministro? Bene, allora non alzo un dito. Sono anni che lotto, anche contro 'sta cosa. Adesso son stufo.
D’altra parte, mi dico, come potrebbero continuare a mantenere in vigore quella circolare che dieci anni fa vietava l’uso in classe dei telefonini, con tutti i discorsi di cui, nel frattempo, ci hanno riempito la testa! L’uso delle nuove tecnologie a scuola: la panacea di tutti i mali! Per non parlar della caterva di interessi che hanno, tutti quelli che vengono in Tv a raccontarci ‘ste cazzate. Gli interessi che sicuramente tornano in tasca anche ai nostri ministri, con quell’inciucio che ormai impera dalle nostre parti, tra politica e imprenditoria. Un tempo lo chiamavano ancora “conflitto d’interesse”, ma si sbagliavano, dai. In un posto come il nostro, ormai, non si verifica proprio più nessun conflitto. Tutto pacifico. Tutto perfetto e regolare, insomma.
No, no. La comparsa di altri aggeggetti sui banchi non aumenta il livello di rumore. Anzi, anzi: lo azzera proprio, con quella capacità annichilente che possiede. Quella sulla quale tutti quanti i nostri boss, a Roma, contano.
E il pensiero torna indietro. Si arrampica su per la china di poco più di dieci anni…
“Prof: lo sa che lei è sul giornale?” Marzo 2007, liceo di Carignano. Un’alunna mi accoglie all’entrata sventolandomi sul naso una copia de La Stampa. Cos’ho combinato, questa volta? Ah, sì. C’è un mio articolo, lì, sopra. Me n’ero quasi dimenticato. L’avevo scritto il giorno prima e spedito alla redazione via mail, senza minimamente illudermi di vederlo pubblicato. L’avevo buttato giù di getto, nel pieno della rabbia, dopo aver sentito dell’ennesima aggressione di un padre nei confronti di un preside, “colpevole” di aver requisito il cellulare al povero figliolo.
Quell’articolo denunciava una situazione esasperata. Era il grido di dolore di un insegnante stufo di non aver più alcun mezzo per tenere il controllo di una classe. Soprattutto da quando la nuova Scuola dell’Autonomia aveva inquietantemente tolto qualsiasi efficacia all’ormai soltanto “simbolico” voto di condotta.
La cosa, nei giorni successivi, aveva preso un giro inaspettato. Il mio disperato articolo-lettera era rimbalzato su molti siti internet, ripubblicato da altri quotidiani. Era finito addirittura in una puntata di Otto e Mezzo, quando ancora a condurla era Giuliano Ferrara. Che la sera del 12 marzo aveva deciso di leggerlo all’allora ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni. Gli aveva detto qualcosa del tipo: “Ma davvero le cose stanno così? Davvero un alunno può usare il cellulare a scuola?” Come se non lo sapessero tutti! Conduttore e ministro inclusi! Ma lì, no. Lì erano entrambi caduti dalle nuvole. “Ministro - aveva demagogicamente aggiunto il voluminoso giornalista - lei s’impegna qui, davanti a tutti gli italiani, a prender seri provvedimenti rispetto a questo problema?” Aveva detto più o meno così, Ferrara. E l’altrettanto voluminoso politico, altrettanto demagogicamente l’aveva rassicurato. “Entro quindici giorni diramerò una circolare per regolamentare l’uso dei telefonini a scuola”.
E siccome per un politico se dici una cosa in Tv, c’è poi poco da scherzare, Fioroni quella promessa l’aveva mantenuta. A Ferrara, agli italiani e persino a me! Il 15 marzo 2007, veloce come un fulmine, la Circolare (Prot. n. 30) si era abbattuta sull’istruzione pubblica. Nessun uso dei telefonini in classe. Per la par condicio (vuoi mica stabilir pericolose discriminazioni, eh?), nemmeno da parte degli insegnanti. D’altro canto, diciamolo. Che un docente lasci la classe ad attendere che lui finisca di litigar con la moglie davanti agli occhi di tutti è davvero una porcata, d’accordissimo. E sul fatto che non ci arrivi lui da solo ma che debba vietarglielo un ministro, beh.. ci sarebbe da spender un fiume di amarissime parole. Dunque, meglio tacere.
Così, adesso, il Ministero cambia idea. E il cellulare (con tutte le sue inquietanti evoluzioni che lo hanno via via trasformato in una televisione da viaggio), si appresta a rientrar trionfalmente in aula. L’ennesima dimostrazione di quanto conti davvero l’educazione, ormai, nel mondo della scuola.
E di quanto poco contino quei folli insegnanti che, nonostante tutto, continuano a crederci.