L'invidia dei grandi

I potenti mi invidiano, perché non posso nulla.

Perché non ho altro potere se non quello della fiducia di chi mi sta accanto, tutte le volte in cui riesco a meritarla.

Non sopportano di pensare che le persone che si accompagnano a me possano farlo per amore, per amicizia o per stima, e non per il mio cognome, i miei soldi o le mie conoscenze. Come vorrebbero, anche loro, essere amati per quello che sono, senza svegliarsi ogni notte di soprassalto, chiedendosi il vero motivo che spinge chi li circonda a stare con loro.

Non servono le leggi che promulgano a loro favore, né le tasse palesi o mascherate che impongono ai poveracci.

Non valgono i trucchi cui ricorrono per restare sui loro troni, i trabocchetti al limite del legale, le bustarelle e i ricatti. Nulla potranno mai contro la mia sacrosanta, libera e consapevole impotenza, che mi permette di godere degli aspetti più genuini di questa vita.

Che sappiano che so, che capisco i loro miseri imbrogli, che non sono stupido. Di proposito lascio correre, mi fingo sprovveduto. Di proposito, perché l’ultima cosa che vorrei sarebbe finire al loro posto, fare la loro triste vita. Questa pochezza di cui così avidamente si fregiano non mi interessa, la lascio volentieri alla loro psicotica brama di cariche, di denaro, di onori.

Tutti quei loro telegiornali che li esaltano, o che insabbiano le loro malefatte, tutti quei diversivi inventati su misura per depistare, per spostare l‘attenzione su ciò che attira la morbosità della gente sciocca… E’ tutto molto chiaro, molto evidente, nella mente snella, agile, di chi si è mantenuto libero.

Che sappiano che so!

Troppe volte la loro bramosia assume gli evidenti contorni di una patologia senza speranza.

Il terrore di stare soli, che li spinge a circondarsi di una moltitudine di leccapiedi; l’assoluta mancanza di fiducia in se stessi, che li costringe a cercare sempre, disperatamente, qualcuno che creda in loro. Costruiscono artificialmente, giorno e notte, i loro successi - tanto eclatanti quanto falsi - fatti di compromessi, di compravendite, di scambi di favore.

Così facendo sono sempre sotto scacco, sempre ricattabili da chi, come li ha aiutati a salire rapidamente, con la stessa rapidità può distruggerli. Non riescono ad accettare che io - e come me ogni persona che voglia vivere in modo autentico - ottenga pochissimi, piccolissimi, semplicissimi risultati, ma comunque genuini, ma comunque mai inventati, costruiti ad hoc. Ma comunque mai pagati a qualcun altro.

Le celebrità mi odiano, perché sono sconosciuto.

Mi odiano perché posso contare sul silenzio e la riservatezza di chi davvero è importante, nella mia esistenza. Perché posso camminare con le mani in tasca su qualsiasi strada del mondo, respirando il vento d’estate, nella lenta quiete dei miei pensieri. Perché posso isolarmi, o tuffarmi tra la folla, nella certezza di non confondere i pochi che mi conoscono con i molti che per me non significano nulla.

Ridicolo, per me, il loro sprezzante esibizionismo; pacchiano il loro sdegnoso snobismo.

Girano pateticamente con le luci di cortesia accese, illuminando a giorno la loro scintillante vettura, guidata da ancor più luccicanti autisti, affinché tutti li notino, mentre fermi al semaforo fingono di non accorgersi del mondo che li osserva.

La disperazione più nera li aggredisce se non vengono subito riconosciuti per strada. Una gabbia di panico li paralizza se il loro telefono tace per troppi minuti, se non piovono subito richieste di autografi o fotografie.

Non riescono a credere che il mio cellulare squilli solo per annunciare la voce di chi amo, silenzioso per tutto il resto del tempo, perché nessun altro possiede il mio numero.

Perché nessun’altra voce mi interessa udire di più.

I ricchi sono gelosi delle mie modeste economie, perché esse mi lasciano libero.

Non sopportano davvero di vedermi felice anche senza piscine, cavalli da corsa, auto di lusso o ville imperiali. Non capiscono quale sia il segreto della vivacità del mio esistere, del mio guardarmi intorno, che non dipende dalle cose, che non viene minacciata nemmeno dai tanti problemi di ogni giorno, che è felicità ed amore per la vita anche nei momenti più tristi.

Non lo sopportano perché intuiscono di non avere alcun potere sulla mia esistenza, nemmeno ricorrendo alla violenza o alla denigrazione; nemmeno sottraendomi il poco che ho.

Perché nulla possediamo davvero mai: né loro né io.

Nulla hanno capito della felicità, che in nient’altro si concretizza che nella pura autenticità del proprio esistere e nella corrispondenza del proprio agire con il proprio esser se stessi.

Così infelici, costantemente travolti dal peso delle innumerevoli preoccupazioni legate alle molte cose che possiedono, inevitabilmente attanagliati dalla paura di farsi sottrarre qualche ricchezza, di perdere qualche risorsa, paiono cani ringhiosi, rabbiosamente aggrappati ad un osso insanguinato.

Questo insano bisogno di sovrastare gli altri, questa ossessiva brama di star sulla bocca di tutti, questa spasmodica avidità che li rende schiavi del loro denaro al punto da non averne mai abbastanza, tutto ciò li rende così piccoli, così servili, così facilmente comprabili!

Tutto ciò tradisce una contagiosa sorta di disperata malattia, così lontana dal sano equilibrio di chi non avverte alcun bisogno di prevaricare, di apparire ad ogni costo, di riempirsi di cose.

Davvero l’uomo assomiglia a un dio, quando si disfa di tutti gli affanni che assordano, da dentro, il suo animo.

Davvero respira il divino, quando riesce a liberarsi dal tumore soffocante del possedere ogni cosa, ad ogni costo.

Indietro
Indietro

L'invenzione della Privacy e il furto della Morale

Avanti
Avanti

Kant, la regola e la passione. Il ruolo dell'Immaginazione nella Critica del Giudizio