Sull’attendibilità delle testimonianze antiche

Il problema dell'oggettività storica

Mac Dèi Ricchi, 24 gennaio 2016

Una delle questioni fondamentali per la ricerca storica è l’attendibilità delle testimonianze. Queste pervengono allo studioso sotto varie forme e tramandate su vari supporti. Tanto per fare degli esempi neanche esaustivi, le parole del passato le possiamo leggere su libri, scolpite nelle pietre o anche nelle leggende delle monete.

Ma come possiamo essere certi che quelle parole sono state scritte per tramandare la verità e non una sua interpretazione o addirittura la sua parziale o completa falsificazione?

Vi sono vari criteri per valutare la verosimiglianza di un racconto. Uno di questi è, in prima battuta, la sua vicinanza temporale ai fatti che vorrebbe narrare. È infatti presumibile che un cronista che narra di un fatto sia più attendibile se era presente al fatto stesso e non magari distante da questo sia nel tempo che nello spazio. Il racconto di un testimone, magari oculare, può ottenere più credito di uno che invece riporta il fatto dopo anni magari per averlo sentito dire da altri.

Ovviamente ci sono altri fattori di cui tener conto, non ultimo quanto quel testimone abbia interesse a che i fatti vengano narrati secondo il suo punto di vista (pensiamo ad esempio ad un imputato di qualche colpa grave).

La questione è di fondamentale importanza in vari ambiti della ricerca storica. In questo breve articolo ci soffermiamo solo a presentare il caso che riguarda la storia cristiana. Sappiamo infatti che essa narra di fatti molto particolari e che sovvertono addirittura le leggi della natura (eventi miracolosi). Come è noto che questi racconti ci sono pervenuti dalle mani di uomini che si professavano credenti quindi, diciamo, che erano parte in causa della storia che narravano. Per uno storico un evangelista non è perciò un testimone super partes.

Ma gli evangelisti non sono gli unici che raccontano dei fatti che riguardano Gesù e il passato avvenuto in Giudea e a Roma. Chi è del settore sa infatti che vi sono diverse pubblicazioni che si preoccupano di collazionare le cosiddette testimonianze “extracristiane” sugli eventi del I secolo e precedenti. Normalmente la più gettonata tra queste è quella di Giuseppe Flavio, scrittore di origine ebraica vissuto nel I secolo, anche se nato (ufficialmente nel 37 d.C.) dopo che Gesù era morto.

Il fatto che fosse un ebreo, vissuto in Giudea molto a ridosso degli anni di Gesù e avesse scritto delle vicende avvenute dei Giudei fin dall’antichità, ha sempre fatto guadagnare a Giuseppe Flavio il posto d’onore tra i testimoni non cristiani. È suo infatti il cosiddetto Testimonium flavianum che descrive succintamente la vita di Gesù e dei suoi primi discepoli prima di qualsiasi altro autore. Altre testimonianze antiche e di scrittori “accreditati”, sarebbero infatti posteriori e attribuite ad esempio a Tacito (56-117 d.C.), Svetonio (70-130 d.C.) e altri autori successivi.

Il problema che però non viene di solito considerato è che proprio di questi autori possediamo copie delle loro opere che non sono coeve ai fatti raccontati. Anzi la paleografia, ovvero la datazione dei manoscritti, ci avverte che spesso le copie di questi testi sono addirittura di epoca medievale. Questo significa che gli scritti che leggiamo sono stati composti dopo i vangeli o la bibbia, ovvero dopo le testimonianze che dovrebbero suffragare.

Ad inficiare la neutralità delle testimonianze apparentemente non cristiane vi è un’ulteriore promiscuità tra, se vogliamo, imputato testimone. Infatti non possiamo dimenticare che tutti questi manoscritti sono stati ricopiati da mani cristiane, che potevano quindi apportare modifiche ai testi senza possibilità di vederne smentiti i contenuti visto che gli originali, se mai sono esistiti, non sono più a disposizione per un confronto.

Per avvalorare quelli che quantomeno sono dei dubbi sull’autenticità e quindi affidabilità delle cosiddette testimonianze “extracristiane” proponiamo ancora due elementi.

Il primo è dato da una prova concreta che proprio “Antichità Giudaiche”, il testo di Giuseppe Flavio che scrive di Gesù, è stato composto molto tempo dopo gli eventi narrati, esattamente nel III secolo, quindi molto probabilmente da mani non neutrali bensì cristiane. Questa prova si trova direttamente nelle opere attribuite allo scrittore ebreo facendo dei semplici conteggi sulle datazioni da lui riportate.

Il secondo elemento deriva da una considerazione sui contenuti in generale delle opere che ci sono giunte. Per spiegare questo elemento supponiamo per semplicità che un certo fatto venga memorizzato da un cronista. Chi volesse narrare nuovamente quell’evento potrebbe appoggiarsi solo alle informazioni di questo cronista e quindi i dettagli che riporterebbe sarebbero inferiori a quelli iniziali. Se ne aggiungesse altri allora questi potrebbero essere solo inventati o supposti tali.

Ora, con riguardo alla storia antica, se poniamo in ordine cronologico manoscritti delle opere di storia antica, scopriamo che quelli più recenti contengono molti più particolari sugli eventi accaduti di quelli più vetusti. Come non supporre che queste informazioni ulteriori siano il frutto di invenzioni o quantomeno di aggiustamenti su dati di originali persi o secretati?

A conclusione e come diretta conseguenza di questa breve disamina, ci pare evidente rimarcare che il compito dello storico non è solo quello di tramandare le informazioni pervenute ma anche di sondarne l’attendibilità perché questa trasmissione di sapere non esuli dalla fedeltà ai fatti che sono realmente accaduti.

Tito Flavio Giuseppe

(c.a 37 - c.a 100 d.C.)

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