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I messaggi segreti nel Rinascimento

La geniale crittografia di Leon Battista Alberti

Pietro Ratto, 20 ottobre 2013

I codici segreti sono sempre stati di importanza fondamentale, per la comunicazione di messaggi riservati, sin dall’antichità. Era in effetti questione della massima importanza scambiare informazioni riservate con Stati alleati senza che il nemico potesse intercettarle. Svariati codici crittografati risultano già elaborati ed ampiamente utilizzai nell'Antico Egitto e lo storico romano Svetonio, nella sua Vita dei Cesari, riporta ad esempio il seguente codice segreto, utilizzato da Giulio Cesare in persona:

Una frase come "partiremo all'alba" con questo tipo di semplice cifratura, ignorando l'apostrofo, si sarebbe tradotta :

MUOQFOBHLUGGUGVU

Quella riportata da Svetonio era un tipico esempio di crittografia mono-alfabetica (ossia ricavata su un solo alfabeto), per altro basata sullo spostamento di posizione tra le lettere del codice in chiaro e quelle del codice cifrato.

Nel Medioevo non si contano i Principi ed i Sovrani che fanno ampio uso di agenti segreti al fine di carpire informazioni preziose per poter ottenere vantaggi sui propri rivali. Spesso questo ruolo era rivestito da insospettabili cantori e musici, che avevano più di altri l'opportunità di girare il mondo e che, quindi, si prestavano volentieri a questo genere di servizio nei confronti dei potenti. Pietro II d'Aragona (1174-1213), ad esempio, aveva scelto come agente segreto il trovatore Raimon de Miraval, vissuto a cavallo tra il XII ed il XIII secolo, mentre un'importante spia di Enrico VIII d'Inghilterra (1491-1547) era nientemeno che il musicista fiammingo Pierre Alamire (1470-1536). Durante la Guerra dei Cent'anni svolse un notevole e ben retribuito lavoro lo 007 Frank de Hale di Aquitania, di professione siniscalco, incaricato dagli inglesi si racimolare più informazioni possibile sulle intenzioni e le strategie segrete dei nemici francesi.

Fondamentale, quindi, elaborare sempre nuovi e più sofisticati meccanismi di cifratura delle comunicazioni riservate. L'ambasciatore spagnolo a Londra Rodrigo de Puebla, per esempio, aveva escogitato un sistema di crittografia basato sulla sostituzione di parole con numeri. Per esempio, 136 significava "Inghilterra", 97 voleva dire "truppe" e 39 semplicemente "non". Con questo codice cifrato Isabella di Castiglia (1451-1504) scrisse una famosa lettera nel 1491¹.

 

Un importantissimo contributo all'evoluzione della crittografia fu quello del grande Leon Battista Alberti (1404-1472), architetto, urbanista, pittore, scultore, matematico e crittografo. A questo autentico genio genovese dobbiamo, tra l’altro, la messa a punto definitiva della Prospettiva. Per non parlare del suo Definitor, un incredibile sistema per codificare immagini in termini alfanumerici così da poterle traslare o ricopiare (anche a fini scultorei, per passare da un modello ad una sua fedele rappresentazione scolpita).

Il Definitor di L. B. Alberti

Un disco ed un’asta graduati, a cui era appeso un filo a piombo. Tramite questo congegno era possibile codificare ogni punto del modello attraverso coordinate polari ed assiali per poi riprodurlo, ad esempio scolpendolo nel marmo

 Un autentico assaggio della moderna digitalizzazione.

Quanto alla crittografia, Leon Battista Alberti partì dalla constatazione secondo cui ogni lingua possiede una sua particolare configurazione di lettere che si presentano più frequentemente di altre (in Italiano le prime quattro vocali). Tale caratteristica, detta statistica, si ripropone in qualsiasi frase di una certa lunghezza. Alberti capì che ciò poteva rendere piuttosto debole qualsiasi cifratura. Comprese quindi l’importanza di ricorrere a codici poli-alfabetici. Inoltre si rese conto che i  meccanismi atti a produrre messaggi in codice avevano il difetto di risultare spesso troppo statici, di non rinnovarsi, vanificando così il loro  stesso utilizzo non appena scoperti. Escogitò, allora, l’idea di progettare una crittografia poli-alfabetica e dinamica, capace di cambiare continuamente².

 

Su commissione di Papa Pio II (1405-1464) nel 1466 l'Alberti costruì una macchina in legno dotata di due ruote concentriche. In quella più esterna incise le lettere in chiaro, disposte in 23 caselle, aggiungendo i primi quattro numeri nelle ultime quattro caselle e tralasciando due lettere poco frequenti, la h e la q. Nella ruota più interna dispose l’alfabeto cifrato, inserendo 23 lettere ma omettendo la V, equiparata alla U.

 Resa graficamente, il meccanismo si presentava così:

L’idea geniale di Alberti, però, consisteva nell'utilizzo di una permutazione del codice cifrato e di una "coppia di azzeramento" costituita da un carattere del codice in chiaro ed uno del codice cifrato, entrambe precedentemente concordate tra mittente e destinatario.

Ecco un esempio: 

Supponendo che mittente e ricevente avessero concordato la seguente permutazione:

 CDABEFGHKILMNZOPQRSUTYX

 e la seguente coppia di azzeramento:

(a, L)

 che comportava un'iniziale traslazione della suddetta permutazione, partendo dalla L collocata sotto la a.

La macchina di Alberti, quindi, cominciava a lavorare sulle seguenti accoppiate:

Posta la stringa considerata sopra a titolo di esempio (“partiremoallalba”), vi venivano inseriti a caso qua e là uno o più numeri da 1 a 4, per esempio:

part2irem4oall3alb2a

Poi si iniziava a codificare tutte le lettere fino al primo numero, incluso (2):

XLCAH

successivamente si spostava la lettera di azzeramento L sotto il 2 in modo da variare la corrispondenza dei codici in questo modo:

La nuova coppia di azzeramento era a quel punto (a, Z). Continuando a cifrare, fino al secondo numero incluso, si aveva:

... TBRXN

poi, si eseguiva nuovamente l’azzeramento, questa volta con la Z sotto il numero 4, così come indicato

La nuova coppia di azzeramento era (a, O). Si procedeva con la cifratura:

 ... AOXXN

 poi, il nuovo azzeramento, questa volta con la O sotto il numero 3, così come indicato

Nuova coppia di azzeramento: (a, Q). Poi, ancora la cifratura:

 ... QDRM

 e il nuovo azzeramento, questa volta con la Q sotto il numero 2, così come indicato

in modo da codificare l'ultima lettera, la a, che diventava:

 ... U

La sequenza crittografata completa era quindi:

 XLCAHTBRXNAOXXNQDRMU

Il ricevente, a quel punto, decodificava questa stringa partendo dall’azzeramento inizialmente convenuto (a, L) e risalendo in tal modo al messaggio originale, opportunamente “scremato” dei numeri³.

 Un sistema, quello dell'Alberti, in grado di proteggere efficacemente la segretezza del messaggio riservato, dato che, non conoscendo permutazione e coppia di azzeramento concordati da mittente e destinatario, il malcapitato decriptatore si trovava a dover affrontare un numero di tentativi pari a 23! x 23

 


(1) Si veda a tal proposito E. J. Valero, Spie delatori e agenti segreti nel Medioevo, in Storica, Edizioni RBA Italia, Num. 53, luglio 2013

 

(2) Cfr. L. B. Alberti, Opuscoli morali, Libro VI: La Cifra, Cosimo Bartoli Editore, Venezia, 1568, Archivi Vaticani. Cfr. anche F. Eugeni e D. Eugeni, Il codice di Leon Battista Alberti, in Ratio Mathematica, Eiris, Num. 7, 1994, pag. 179

 

(3) Cfr. anche D. Vecchioni, Spie. Storie degli 007 dall'antichità all'era moderna, Olimpia, 2007 e S. Singh, Codici & Segreti. La storia affascinante dei messaggi cifrati dall'antico Egitto a Internet, Rizzoli, 2001

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