di Pietro Ratto Mariagrazia De Luca di Pietro Ratto Mariagrazia De Luca

Le pagine strappate

di Pietro Ratto

La storia che i professori insegnano a scuola è quella che a loro volta hanno imparato. Tutto scorre senza intoppi e senza dubbi: in pochi si chiedono se ciò che viene raccontato sia effettivamente accaduto. E le perplessità che eventualmente insorgono vengono presto soffocate.

Chi davvero cerca la verità la può trovare, ma solo a patto di stravolgere le proprie conoscenze, mantenendosi aperto a sempre nuove prove, a sempre nuovi elementi di studio.
Questo libro, ad esempio, descrive passo dopo passo l'affascinante analisi di un testo del Quattrocento sfuggito alla censura del Concilio di Trento.

Un'analisi onesta, appassionante e appassionata, che incredibilmente svela i trucchi della Chiesa per rimuovere la vicenda storica della Papessa Giovanna, restituendoci uno scorcio di realtà da tempo rimossa.

 

Novembre 2011. Mi metto in macchina in tutta fretta. Mi aspetta un lungo viaggio, prima di arrivare.

Gestisco da poco questo sito che insegue l’idea di una ricerca indipendente, libera, nei confronti degli eventi passati. E’ così che, via Internet, ho conosciuto l’Erudito. Un collezionista di incunaboli, pergamene, manoscritti antichissimi.

E’ lui che oggi sto per incontrare.

 

Quando arrivo alla sua abitazione, isolata, immersa in una natura incontaminata, non so ancora che pomeriggio da sogno mi aspetti. Una mezza giornata incredibile, a sfogliare libri di cui ho sempre e solo sentito parlare, leggendo MachiavelliMazzarinoGuicciardini e tanti altri ancora, in preziosissime, inestimabili edizioni originali. Per non parlare delle pergamene del Trecento, dei documenti longobardi...

Tra le tante meraviglie l’Erudito collezionista mi spalanca davanti agli occhi, sornione, un testo del Quattrocento. Un’opera di un illustre storico della Chiesa, in un’edizione miracolosamente sfuggita all’inesorabile censura del Concilio di Trento, che strategicamente l’anziano collezionista apre sul tavolo in un punto preciso, proprio là dove un anonimo segnalibro si nascondeva da chissà quanti anni.

La conosce la storia della Papessa Giovanna?

La conosco, la favola. Sì.

 

Storce il naso, l’Erudito. Non gli piace ch’io liquidi frettolosamente come leggenda quello che considera un evento storico a tutti gli effetti. Non aggiunge nient’altro, ma il suo sguardo beffardo è un invito alla lettura, allo studio, una volta tornato a casa.

 

Così scorrono veloci i giorni e le notti successive, in un entusiasmante viaggio dallo scetticismo all’euforia. Gli occhi bruciano a suon di leggere e rileggere. A suon di contare giorni, mesi, anni, tra l’855 ed il 1100. L'Erudito mi procura alcune edizioni successive dell’opera, quelle opportunamente rivedute e corrette dagli inquisitori, quelle che gli storici conoscono a menadito. E man mano che procedo, man mano che conto, mi accorgo del trucco. La Papessa, evidentemente, è esistita davvero, dato che la Chiesa è ricorsa ad un complesso processo di falsificazione di date e nomi di Pontefici relativi ai duecento anni successivi per occultare e rimuovere dalla storia un periodo esattamente corrispondente al lasso di tempo in cui, secondo gli storici medievali, si sarebbe verificato il suo pontificato.

Le pagine che mi trovo di fronte e radiografo per settimane ne sono la prova.

 

Le pagine strappate narra di questa mia entusiasmante ricerca, le cui tappe vengono raccontate come in un romanzo ma meticolosamente spiegate e dimostrate, come in un saggio storico.

E’ un libro che parla di un libro. Che scandaglia un’edizione mai vista di un’opera storiografica strafamosa, giunta finora nelle mani degli storici solamente nella sua versione censurata. E’ una ricerca che si trasforma in un autentico scoop, per quanto la scabrosità della scoperta abbia indotto gli "studiosi" e la stampa più o meno specializzata a non divulgarla.

 

In sintesi, grazie a questo incontro ho la fortuna di consultare un’edizione del 1552, tradotta in volgare e sfuggita alla Censura del Concilio di Trento, del Delle vite dei Pontefici di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, uno dei principali storici rinascimentali.

Comincia così la mia analisi comparata nei confronti di questa antica copia, confrontata con l’edizione in latino del 1562 e con quella in volgare del 1650, colpite invece da una progressiva censura ecclesiastica. Tutte e tre le copie sono, naturalmente, presenti nella collezione dell’anziano collezionista.

Dal confronto delle tre edizioni risalgo pian piano alle ragionevoli prove dell’esistenza della Papessa ed agli evidentissimi trucchi con cui i suoi due anni di pontificato potrebbero essere stati cancellati dalla Storia, ricorrendo a complesse correzioni di date e nomi di pontefici relativi ai due secoli successivi.

 

Questi i punti fondamentali:

 

1. Intanto specifichiamo che il Platina è Direttore della Biblioteca Vaticana ed illustre umanista e che dedica la sua storia dei Papi a Sisto IV, Pontefice da cui è molto apprezzato e che gli ha conferito quell'importante ruolo. Nonostante ciò, egli riporta la vicenda della Papessa (citando il cronista medievale Martino Polono), senza smentirla o liquidarla come pura leggenda e senza venir attaccato dalla Chiesa. Secondo l’edizione del 1552, al momento della sua elezione la Papessa (di cui si raccontano particolari della vita fino al suo parto avvenuto in strada durante una processione), assume il nome di Giovanni VIII e la numerazione dei Papi omonimi continua poi per tutta la serie fino all’ultimo, il predecessore di Martino V, che viene chiamato Giovanni XXIV. Nelle altre due edizioni analizzate, che tendono a considerare la Papessa una fabulaGiovanni VIII è colui che nell’edizione del 1552 è Giovanni IX, e il diretto predecessore di Martino V compare come Giovanni XXIII, antipapa. Questa circostanza è importante. Come avrebbe potuto uno storico famoso come il Platina, infatti, sbagliare il numerale di un Papa regnante sessant’anni prima, senza venir pubblicamente smentito e deriso? Sarebbe un po’ come se uno studioso attuale chiamasse Montini "Paolo VII".

 

2. Dall’analisi delle correzioni apportate nelle edizioni del 1562, e soprattutto del 1650, si rafforza l'ipotesi che le complesse motivazioni normalmente addotte per giustificare la celebre Questio Paparum Joannum - vero e proprio rebus che ha assillato gli storici della Chiesa, in virtù della quale nel conteggio di tutti i Papi Giovanni mancherebbero due Pontefici - non avrebbero in realtà nessun fondamento, a parte l’esigenza di occultare il pontificato della Papessa da parte del revisore Onofrio Panvinio, vero e proprio braccio armato della censura ecclesiastica, in grado di risistemare il conteggio dei Giovanni con autentici “giochi di prestigio” - come quando, nell’edizione del 1650, sostiene improvvisamente di essere in possesso di non meglio precisate brevi apostoliche in virtù delle quali “i Giovanni che noi chiamiamo 21, 22 e 23 si dovrebbero chiamare 20, 21 e 22” - trucchetti, questi, smascherabili proprio grazie al confronto con l’edizione incensurata.

 

3. Tramite un complesso conteggio condotto in parallelo sulle copie del 1552 e del 1650, relativo a tutti i Pontificati a partire da quello del successore di Leone IV - che per la prima edizione è (la Papessa) Giovanni VIII mentre a dire della seconda è Benedetto III - rilevo un evidente processo di correzione di centinaia di date di elezione o di morte di Pontefici, nonché di nomi e di numerali, atto ad assottigliare progressivamente la differenza tra la versione del Platina e quella della Chiesa ufficiale, fino al definitivo riallineamento delle due cronologie, raggiunto con la consacrazione di Benedetto IX, verificatasi nel dicembre 1032.

 

Segue poi un lungo elenco di "risposte" alle obiezioni che il censore Panvinio a suo tempo mosse alla fabula della Papessa, dimostrandone la sostanziale infondatezza e evidenziando come ciò che davvero potrebbe aver spinto la Chiesa del Cinquecento a cancellare la vicenda di Giovanna, riportando invece senza alcun problema tutte le atrocità che molti altri Pontefici perpetrarono durante il proprio regno, sarebbe stato unicamente l’insopportabile scandalo di una foemina sul soglio di Pietro.

Da notare, infine, l’importante e inconfutabile prova che questo saggio fornisce relativamente alla presenza del busto di Giovanna tra quelli degli altri Pontefici, ben visibile nel duomo di Siena ancora alla fine del XVI secolo e testimoniata, paradossalmente, da un accanito detrattore dei sostenitori della storicità della Papessa. Il mio studio, infatti, rileva come in una sua opera del 1595, scritta proprio per smentire la “favola” di Giovanna, un giurista cattolico rinascimentale si lamenti a gran voce della presenza di quel busto a Siena e ne richieda l’immediata rimozione da parte della Chiesa di Roma.

Un elemento molto importante, questo, dato che fino ad oggi anche questa particolare circostanza è sempre stata liquidata come l’ennesima falsità collegata alla Fabula e messa in circolazione dai soliti “eretici” protestanti.

 

Pietro Ratto, Le Pagine strappate, Elmi's World, Saint Vincent, 2014

 

 

Sguardo sul Medioevo
E’ altamente convincente, l’autore riesce quantomeno a dimostrare che la censura selvaggia della chiesa abbia davvero nascosto una presunta Papessa, pertanto può essere riduttivo bollare la storia incredibile della papessa Giovanna come una semplice bufala!

 

PoliticamenteCorretto
La cosa più allucinante è che la vicenda della Papessa venne censurata nei secoli solo perché si trattava di una donna. Una delle più “forti” motivazioni a cui si affida il censore e Revisore ecclesiastico Onofrio Panvinio, colui che in effetti purgherà la successive edizioni del libro in questione bollando la “vicenda Papessa” come pura “fabula”, consiste nell’affermare che non si possa in alcun modo credere che lo Spirito Santo si sia sbagliato al punto da far salire al soglio pontificio un essere  inferiore come una donna”.

 

Sguardo sul Medioevo
La cosiddetta “leggenda” della Papessa Giovanna potrebbe non essere una favola medievale. Da secoli e secoli il racconto di una donna salita al soglio pontificio nel IX secolo utilizzando il trucco di vestirsi da uomo viene spacciato per pura invenzione finalizzata a screditare la Chiesa.

 

Il Fondo
"[...] Più studio il Medioevo direttamente sui documenti e le cronache, più mi convinco che si fosse molto più liberi allora di adesso".

 

Apocalisse Laica
La storia che i professori insegnano a scuola è quella che a loro volta hanno imparato. Tutto scorre senza intoppi e senza dubbi: in pochi si chiedono se ciò che viene raccontato sia effettivamente accaduto.
E le perplessità che eventualmente insorgono vengono presto soffocate.

 

SoloLibri.net
Le Pagine strappate, accuratamente riposto nelle librerie virtuali di chi tutto deve incasellare ed etichettare nella sezione “saggio romanzato”, è un libro concepito e strutturato in modo diverso ed originale: ogni definizione gli va stretta e per sua natura sfugge a ogni tentativo di imbrigliarlo in una categoria.
La sua originalità sta proprio nel modo di in cui l’autore ha scelto di esporre i risultati di una ricerca storica – basata su dati verificati, su notti insonni, su confronti, calcoli, date, fonti antiche – rendendola accessibile ed invitante, senza banalizzarla ma accrescendone invece il fascino, anche per chi non mastica storia quotidianamente.

 

La Rinascita
"Nel libro arrivo a provare che il busto della Papessa si trovava effettivamente tra quelli degli altri Papi allineati nel Duomo di Siena, ancora alla fine del Seicento. Anche questa cosa è sempre stata considerata una fantasia, ma un testo del 1595 lo dimostra incontrovertibilmente".

 

La Bottega del Barbieri

Si può ragionare - e da serio storico Pietro Ratto lo fa - sulla verifica dei fatti, sulle interpretazioni, su chi ha falsificato cosa e quando… Ma se il punto di partenza è che una papessa non può esserci stata, allora come liquidare tutti gli aggiustamenti di date, i testi censurati e distrutti, le incongruenze nelle cronologie del papato?

 

Deiricchi.it

Nella vita facciamo molti incontri. Tutti portano qualcosa che può aumentare il nostro bagaglio culturale, ve ne sono però alcuni che inducono stimoli ulteriori per ampliarlo. Uno di questi incontri è il libro Le pagine strappate di Pietro Ratto. L’abbiamo acquistato e letto in poco tempo perché fin dagli inizi comprendevamo che conteneva alcuni importanti elementi in comune con la nostra ricerca.

E’ vero che gli argomenti trattati sono lontani cronologicamente dai nostri: Ratto infatti si occupa di eventi capitati nel medioevo, mentre noi ad oggi abbiamo approfondito quelli fino al V secolo della nostra èra. Eppure i metodi messi in campo da Ratto - quel non dare per scontato nulla, il verificare di persona i dati che apparentemente sembrano assodati, spiegarne le discordanze - sono paragonabili a quelli grazie ai quali noi abbiamo raggiunto le nostre scoperte.

 

- Intervista-Live su Radiolibro a Pietro Ratto, 10 agosto 2014

  Salone dell'editoria La Valle dei Libri(Prima Puntata) (Seconda Puntata)

 

Pietro Ratto ai Caffè Culturali

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di Duilio Chiarle Mariagrazia De Luca di Duilio Chiarle Mariagrazia De Luca

Le figure del risorgimento senza risorgimentitori

ovvero i personaggi del risorgimento visti dai loro contemporanei

di Duilio Chiarle

Nessun periodo della storia d’Italia è tanto ricco di esagerazioni quanto il risorgimento. Alcuni utilizzano addirittura la “R” maiuscola, sorta di santificazione di tutto il periodo storico. Noi sappiamo che i primi patrioti erano decisamente isolati, come ben dimostrano le prime insurrezioni, la rivolta del 1848, l’impresa di Sapri e tante altre. Se è vero però che la storia la scrivono i vincitori, è anche vero che non tutti i vincitori vedono le cose con la medesima ottica e che non tutti quelli che scrivono di storia hanno combattuto dalla stessa parte.

Partendo da questo assioma, è iniziata una ricerca di autori che hanno scritto di personaggi del risorgimento che hanno conosciuto personalmente, le loro impressioni corredate dall’ambiente in cui questi personaggi erano accolti o rigettati a seconda del tempo e del luogo. Abbiamo quindi: Felice Orsini (fu ghigliottinato per l’attentato a Napoleone III) visto in modo inconsueto da Pellegrino Artusi, il grande gastronomo; l’incredibile episodio (praticamente ignoto) della vita di Giuseppe Garibaldi quando si trovò di fronte ad un suo veterano malato di un male ripugnante; la visione che ha di Nino Nino Bixio e dei Ministri del Regno d’Italia il primo criminologo (Lombroso). Uno dei punti più inconsueti del libro tratta di alcuni carbonari visti dal boia che ne ha eseguito la condanna che descrive anche la reazione del popolo all’avvenimento: favorevole in un luogo, rabbiosa in un altro; insomma, in alcuni momenti storici la carboneria non era vista meglio di come oggi vediamo noi Al Qaeda. Ma questa visione è cambiata rapidamente, al punto che la retorica nazionale santifica tutti indistintamente, senza distinzioni. Il punto di vista dei contemporanei fa la differenza ed a volte ci racconta di loro qualcosa che la roboante supponenza del patriottismo tenta disperatamente di nasconderci.

Nel libro(1) è inclusa anche una polemica su Giacomo Leopardi che non fu eroe del risorgimento ma che per la grandezza della sua arte fece discutere molto i contemporanei.

Come si vede chiaramente da alcuni scritti, i popoli che poi formarono il Regno d’Italia non erano sempre favorevoli ai patrioti, anzi, a volte erano decisamente ostili, come ad esempio proprio nel caso dell’impresa di Pisacane, dei fratelli Bandiera: la gente collaborò attivamente al loro massacro con grande zelo, a volte a colpi di forcone. Gli stessi popoli che furono poi sottoposti alla truffa del plebiscito, il cui esito era ovviamente scontato: chi aveva servito il monarca locale semplicemente era impedito nel voto, per non parlare di quei luoghi in cui il voto non era segreto affatto e si doveva scegliere di fronte ad un soldato armato di tutto punto (votare contro esponeva a vendette e ritorsioni oltre che esporre a bastonate, insulti e sputi).

I primi carbonari erano troppo colti, troppo intellettuali, troppo distanti dalla gente per essere compresi. Mazzini tramò tutta la vita per ottenere un’Italia unita e un’Europa unita e finè invece per essere seppellito addirittura sotto falso nome, mentre Bixio divenne generale e Crispi addirittura Presidente del Consiglio. Nievo sparì misteriosamente con una intera nave e con i documenti dell’impresa dei mille. Garibaldi fu deputato ma non riuscì a sopportare le ruberie dei politici del primo parlamento italiano e se ne andò sbattendo la porta dichiarando che tanti malfattori tutti insieme non li aveva mai visti.

Insomma, c’è tanto materiale, ancora tutto da scoprire. E, ovviamente, il lavoro è destinato a continuare ed a suscitare discussioni e polemiche.

 


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di Pietro Ratto Mariagrazia De Luca di Pietro Ratto Mariagrazia De Luca

Il Gioco dell'Oca

Brani scelti

 

di Pietro Ratto

"Per prima cosa, fammelo dire. Sono letteralmente allibito! Se sei arrivato fin qui e proprio in questo preciso momento stai cominciando a leggere queste mie stesse parole, significa che ho fallito; vuol dire che quel diavolo di un ratto è riuscito di nuovo a farsi pubblicare da qualche pazzo. E questo non va! Non va affatto bene! Di come realmente andarono le cose, in quel lontano 1415; di come quel vecchio impenitente di Hus fu turlupinato, umiliato e messo al rogo, mai avremmo voluto che qualcuno di voi venisse a sapere, nei dettagli. Per non parlar dei crimini di Giovanni XXIII, dell’assassinio di Alessandro V... Abbiamo lavorato duro, per nasconderne le tracce. E cosa credi, tu? Pensi che il nostro lavoro sia davvero così semplice?
No. Non sono per nulla contento che tu ti trovi in mano questo libraccio. Posso solo prometterti, però, che farò tutto il possibile affinché di gente come il ratto, e come te, ce ne sia sempre di meno.

 

Il tuo affezionatissimo Inquisitore".

 

"Il 18 maggio 1415 il Vescovo di Narni, Donadio, sostiene davanti all’Inquisitore che molti accusassero il Papa non soltanto a proposito delle monache, ma anche del peccato di sodomia con molti ragazzini, e che questo lo si dicesse comunemente a Firenze. Cinque giorni dopo tocca al Vescovo di Cefalù, Antonio Acciaiuoli - per altro poi passato nella lista degli pseudo-vescovi proprio in quanto nominato dal Pontefice incriminato - che dichiara di aver sentito da un militare napoletano di nome Nicola Macrone, che lo stesso signor papa Giovanni, mentre era legato pontificio di Bologna, avrebbe avuto un rapporto sessuale contro natura con un giovane che mirava ad una certa abbazia nel bolognese, ed egli gli avrebbe promesso di dargliela in modo che acconsentisse [...]"

 

"Lo obbligarono a calcarsi sul capo una corona di carta, su cui eran stati disegnati tre diavoli che litigavano, contendendosi un dannato. La corona recava, beffarda, la scritta: “Hic est Heresiarcha”.
Quando uscì, scortato dai suoi numerosi carnefici, si trovò immerso in una soffocante nube di fumo, proveniente dal vicino cimitero. I suoi libri, accatastati in quel luogo, stavano già bruciando, inesorabilmente.
Il patibolo - costruito su un prato dell’antico quartiere Paradies, vicino alle mura del Castello in cui era rimasto recluso per mesi - lo attendeva spettrale e inquietante.
Hus avanzò verso la catasta di legna, continuando a pregare. Gli cadde la corona di carta, si affrettarono malignamente a rimettergliela. Hus osservò pacatamente che a Cristo ne era toccata una ben più grave. Tolta la tunica, lo legarono al palo. Si accorsero di averlo erroneamente orientato verso est, la direzione in cui, in quei secoli, con serenità ogni moribondo volgeva i suoi occhi in attesa della morte, confidando nel perdono di Dio. Dunque, lo girarono immediatamente in direzione opposta. Negatagli la confessione, gli fu intimato per l’ultima volta di abiurare. Secondo la prassi quell’ultima offerta, se accolta, gli avrebbe evitato la morte, “misericordiosamente” rimpiazzata con la prigione a vita. “Sono pronto a morire con gioia”, rispose solenne l’eretico, fissando dritto negli occhi il Maresciallo De Pappenheim, a cui era toccata quell’ultima incombenza. C’è chi racconta che, a quel punto, un’anziana contadina, in un eccesso di zelo, si fosse spinta fin sotto il patibolo, per portare due fascine di legna da ardere. Il Maestro, a quella vista, avrebbe sorriso mormorando: “Oh, santa semplicità!
Quando rialzò il suo sguardo severo, vide alcuni uomini chinarsi ad accostare le loro torce alle fascine, ammucchiate ai suoi piedi […]"

 


 P. Ratto, Il Gioco dell'Oca, Prospettiva editrice, 2015

Cfr. anche il video di presentazione dell'opera al Salone del Libro 2016

 

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di Angelo Paratico Mariagrazia De Luca di Angelo Paratico Mariagrazia De Luca

Leonardo da Vinci

Un intellettuale  cinese  nel Rinascimento italiano

Il nuovo libro di Angelo Paratico

 

Dopo anni di indagine storica, Angelo Paratico svela il mistero della vita di Leonardo.

Grazie a nuovi elementi di prova emersi dagli archivi di Stato di Firenze,

porta alla luce ciò che è sempre stato davanti ai nostri occhi.

 

 

C’è un ritratto a olio di Leonardo alla National Gallery di Washington, conosciuto come Ginevra de’ Benci, nel quale, per una serie di ragioni, la cupa signora che fissa sofferente l’osservatore non può essere la diciottenne Ginevra, imminente sposa e conosciuta in tutta Firenze per la sua rinomata bellezza. I conoscitori di Leonardo sanno che i tratti del viso di questa donna sono molto simili a quelli dell’unico autoritratto conosciuto dell’autore, visibile nella Adorazione dei Magi.

La Ginevra de’ Benci del quadro non può che essere Caterina, la madre cinese di Leonardo, l’unica donna che egli abbia mai amato. La vita di Leonardo da Vinci rimane un enigma, nonostante i documenti emersi dagli archivi antichi e le migliaia di pagine dei suoi quaderni personali. Egli nacque fuori dal matrimonio, e non voluto, frutto di un incontro casuale tra un notaio della Repubblica fiorentina, Ser Piero da Vinci, e una schiava domestica cinese, la quale serviva in casa di un cliente del padre di Leonardo, un tale Ser Vanni.

Il notaio fece subito allontanare Caterina da Firenze, e la portò a partorire a Vinci, quindi la diede in sposa a un suo umile tuttofare, detto l’Accattabriga. Caterina era solo una bambina quando fu catturata dai predoni mongoli e poi venduta in un mercato di schiavi a Venezia.

A quel tempo, gli schiavi orientali erano del tutto comuni in Toscana, al contrario di quanto si ritiene oggi.

Ginevra Datini, la figlia del mercante per eccellenza del Rinascimento Francesco Datini, nacque anch’essa da una schiava tartara, di nome Lucia, che lavorava nella casa del ricco mercante. Questo fatto sorprendente non sarebbe mai venuto alla luce senza il ritrovamento fortuito, nel 19° secolo, di un vero e proprio tesoro di lettere e libri contabili nascosti in una partizione segreta nel suo palazzo di Prato.

Ma vi sono decine di altri indizi e di prove che confermano le radici orientali di Leonardo. Egli era mancino, aveva l’abitudine di iniziare i suoi quaderni dall’ultima pagina, era un vegetariano, aveva una visione quasi buddista del mondo; i suoi dipinti mostrano paesaggi che sono chiaramente derivati da pittori cinesi vissuti secoli prima. Quello alle spalle della Gioconda è tipicamente cinese, e Mona Lisa non ha le sopracciglia, proprio come le schiave cinesi descritte in Italia all’epoca.

 


 Angelo ParaticoLeonardo da Vinci. Un intellettuale cinese nel Rinascimento italiano, Gingko Edizioni, 2017

 

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di Giancarlo Chiariglione Mariagrazia De Luca di Giancarlo Chiariglione Mariagrazia De Luca

Le forme informi della frontiera

Lo sguardo del cinema western sulla storia americana

di Giancarlo Chiariglione

Durante il Novecento, in modo ciclico, studiosi, scrittori e registi cinematografici, hanno levato canti funebri sul mito del western. Considerandolo molto spesso solo un genere della settima arte destinato all’obsolescenza o a mutare forma attraversando altre frontiere inter-filmiche. A livello metaforico, invece, le  cinéma américain par excellence, come lo definì lo studioso André  Bazin, è arrivato in (relativa) buona salute sino ai primi anni ’70 raccontando eventi dall’incredibile impatto che hanno stravolto la vita statunitense. Tanto che i registi dell’ultima, grande stagione del genere come Arthur Penn, Abraham Polonsky, Robert Altman e soprattutto Sam Peckinpah, hanno rappresentato in modo appropriato lo sterminio degli indiani e il brutale ridimensionamento dei pionieri bianchi del West, come un’allegoria della sempre più disperata condizione dell’homo americanus contemporaneo (ormai globalizzato). Il quale è tiranneggiato da un sistema che celandosi dietro a nomi impenetrabili quali mercati finanziari, condizioni globali di scambio, competitività, offerta e domanda, rende servi di una logica mostruosa gli individui (intralciandone in vari modi lo sviluppo culturale, morale e spirituale) e decide l’agenda di funzionari e politici. Un sistema che compie quello che Marx chiama «un genocidio delle culture viventi».

Questi cineasti, se svelano la natura finzionale del western (alcuni critici hanno definito Tombstone, la città della sfida all’O.K. Corral, come «un parco a tema»), e ci dicono che dopo essersi inaugurato con The Great Train Robbery (1903), di Edwin S. Porter, il quale gira il suo film quando  la memoria della frontiera è ancora fresca, il noto genere, massimo propagatore di quell’epica del "Wild West", di quel manifest destiny cantati, tra gli altri, da politici e storici come Theodore Roosevelt e Frederick J. Turner, si è estinto perché ha consumato, attraverso una visione più realistica del periodo storico, la mitologia su cui si ergeva, ci rammentano pure che la Nuova Frontiera del paese considerato da Baudrillard la «versione originale della modernità», una volta che sono franate le utopie di  David Thoreau, di Ralph Waldo Emerson e di Josiah Royce (a partire dagli inizi del secolo scorso lo spazio terrestre è stato via via cartografato, recensito, indagato in ogni dettaglio e la wilderness, terra incolta, "selva oscura" dantesca eletta a simbolo di amoralità e disordine è stata domata) è, sostanzialmente, la "carne elettronica" di quegli esseri umani che, per usare le parole del professore di mediologia O’Blivion di Videodrome (1983) di Cronenberg, si comportano oramai come se «la televisione fosse diventata più che la vita». Oppure è, come metto in evidenza nel penultimo paragrafo del mio libro, l’Uomo meccanico, il Cyborg del Transumanesimo ben rappresentato sullo schermo cinematografico proprio dagli (anti) eroi del regista e scrittore canadese.


 Cfr. G. Chiariglione, Le forme informi della frontiera. Lo sguardo del cinema western sulla soria americana, Petite Plaisance, 2018

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di Mikos Tarsis Mariagrazia De Luca di Mikos Tarsis Mariagrazia De Luca

Amo Giovanni

(Collana Distorica, Bibliotheka Edizioni, 2018)

Amo Giovanni precisa meglio la tesi del Cristo ateo e sovversivo affrontando estesamente il quarto vangelo, il più manipolato di tutti, proprio perché, originariamente, il più lontano dalla impostazione mistica del protovangelo marciano, che ha determinato la configurazione principale degli altri due sinottici. Il misticismo stava nel fatto che di fronte alla tomba vuota Pietro elaborò l'interpretazione della “resurrezione”, quando al massimo si sarebbe dovuto parlare di “strana scomparsa di un cadavere”, visto che l'unica cosa che avevano in mano era la sindone (che io considero autentica, in quanto le analisi scientifiche compiute sono troppo precise per ritenerla un falso medievale).

Il vangelo originario di Giovanni si può solo intravedere nell'attuale vangelo canonico, ma gli indizi sono sufficienti per capire che il Cristo non solo non aveva nulla di “religioso”, ma doveva anche essere un personaggio politicamente pericoloso per i poteri costituiti, in particolare per quello romano (che gli comminò non solo l'esecuzione capitale ma anche una pesantissima flagellazione, unitamente a varie torture) e per quello sadduceo, che gestiva il Tempio di Gerusalemme e che non poteva certo tollerare un intellettuale estraneo ai dogmi della fede.

Se l'impostazione cronologica di Giovanni è esatta, e noi pensiamo che lo sia, i tentativi insurrezionali del Cristo furono due: uno contro il Tempio, all'inizio della sua carriera politica, quando cercava l'appoggio degli esseni o dei seguaci del Battista, senza disdegnare quello dei farisei; l'altro nel corso dell'ingresso messianico, quando il tentativo insurrezionale era principalmente rivolto contro i romani e indirettamente contro i sadducei.

In entrambi i casi non si riuscì a realizzare nulla, per mancanza di coraggio decisionale nel momento cruciale della rivolta. Il Battista non ebbe il coraggio di occupare il Tempio pur tuonando contro i sacerdoti corrotti; il fariseo Nicodemo apprezzò il tentativo del Cristo, ma temeva la perdita dell'identità nazionale, che per i farisei era legata a tradizioni religiose consolidate; Giuda lo tradì probabilmente perché riteneva prematura la rivoluzione senza l'appoggio dei farisei.

Di particolare in Amo Giovanni è la convinzione che il Cristo non fosse affatto uno zelota, altrimenti avrebbe cercato di fare la rivoluzione quando i cinquemila galilei gliela chiesero sul monte Tabor. L'insurrezione doveva essere “nazionale”, basata su un'intesa tra giudei, galilei e samaritani, e non doveva avere riferimenti specifici alla religiosità, come si evince dal dialogo di Gesù con la samaritana, in cui per la prima volta si parla di “libertà di coscienza”. Cioè la rivoluzione popolare doveva andare al di là delle differenze di atteggiamento nei confronti delle idee religiose. Quindi viene esclusa a priori l'idea ch'egli volesse realizzare una sorta di “regno di dio”, di cui egli dovesse far la parte del monarca assoluto. Quando lo definivano il “messia”, chiedeva di non avvalorare questa convinzione, poiché nell'immaginario popolare voleva dire ritornare al passato “regno davidico”, tanto glorioso quanto dittatoriale.

Il suo obiettivo era quello di liberare la Palestina dall'occupante romano, che in quel periodo si trovava in gravi difficoltà, essendo appena avvenuto il passaggio dalla repubblica all'impero, e di liberarla dalla corruzione dei sacerdoti che gestivano il Tempio, il cui discredito era cosa nota, tant'è che il sommo sacerdote era una carica decisa da Roma.

L'idea era quella di tornare a una sorta di “comunismo primitivo”, in cui vigesse la democrazia e l'uguaglianza sociale. Oggi parleremmo di “democrazia diretta”, ma dovremmo escludere il parlamentarismo nazionale, in quanto una democrazia autentica può essere soltanto gestita da piccole comunità autonome, che cooperano tra loro liberamente, senza dover dipendere da alcuna entità esterna.



M. Tarsis, Amo Giovanni, Bibliotheka Edizioni, 2018

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di Mac Dei Ricchi Mariagrazia De Luca di Mac Dei Ricchi Mariagrazia De Luca

Le immagini del Mistero

(collana Distorica, Bibliotheka Edizioni, 2018)

di Mac Dei Ricchi

Cosa c’entrano tra di loro Maria Maddalena e Caligola?

E che cosa hanno a che spartire insieme Vespasiano e S. Giovanni Battista?

Apparentemente nulla, perché la Storia ci dice che non si conobbero mai. Ma è davvero stato così oppure esiste una via che ci porta a ricerche che non avremmo mai immaginato, come fa l’ultimo libro di Mac Dèi Ricchi "Le immagini del mistero", aprendo molti e nuovi percorsi che si addentrano in campi finora inesplorati della storia cristiana?

 L’Autore ci conduce in un viaggio affascinante che riscrive letteralmente la Storia cristiana come ci è finora pervenuta. Tutto è sempre stato sotto i nostri occhi, in quelle immagini (dipinti, affreschi, monete, iscrizioni) che sono giunte fino a noi celando misteri che non sapevamo leggere.

Se non l'abbiamo mai fatto prima, capiremo ora che porre al centro di questa storia un unico personaggio, il noto Gesù di Nazareth, ci è insufficiente per comprenderla. Egli non fu affatto l’unico protagonista della scena. Vi furono altre figure, soprattutto femminili: Maria Maddalena, Salome, Berenice. E sopra tutti Giovanni, il Battista e l'evangelista, di cui il libro svela per la prima volta i “reali” genitori.

Le sorprese però non finiscono qui. In questo libro infatti, Mac Dèi Ricchi propone una lettura degli eventi cristiani del tutto nuova e sconvolgente: Caligola, Nerone, Vespasiano, anzi tutti gli imperatori romani e i loro famigliari ebbero un ruolo fondamentale che nei Vangeli non risulta affatto, perché tutto sarebbe stato occultato.

Ma come è stato possibile capire tutto questo e perché ora e non prima?

L’Autore propone una chiave di lettura assolutamente innovativa: saper leggere l'arte cristiana non solo come espressione artistica, ma anche come veicolo di propaganda storica.

Questo è uno strumento vincente, che apre le porte di molti misteri. Una distesa di opere d'arte, dipinti e altre raffigurazioni religiose, si offre per spiegare il linguaggio con cui una "storia", non la verità, è stata imposta alle popolazioni convertite al cristianesimo.

A convalidarlo, secondo l’Autore, una miriade di prove, documenti forniti dalla Chiesa stessa, che ha commissionato nei secoli le opere d'arte, ora disseminate in chiese e musei.

Il viaggio affascinante non si ferma qui: il libro "Immagini del mistero" vi accompagnerà anche all’interno degli uffici che hanno ideato e perpetrato la propaganda cristiana, in modo da rendere redditizia questa operazione: condonare i peccati personali a mezzo del pagamento di cospicue somme, indottrinare le masse per accumulare etc.

In tutti gli aspetti del comportamento ecclesiastico che il libro analizza, balza all'occhio costantemente il tentativo della Chiesa di dissimulare le sue intenzioni, di cancellare le testimonianze contro il suo operato. È questa la parte che arriva fino ai nostri giorni, perché il libro ancora una volta non si ferma ma offre al lettore un esempio di come la verità venga tuttora occultata in maniera persistente.

Questo libro non è ideologico: non è pervaso dall'apologetica religiosa, né dall'anticlericalismo fine a se stesso. Si tratta di uno strumento di ricerca storica che mette in luce elementi finora sconosciuti, con i quali gli avvenimenti del passato risultano più reali e meno soggetti a ricostruzioni di moda. Il libro si fonda su prove che fino a oggi mancavano agli studiosi, perché intenti a guardare oltre quello che già era sotto i loro occhi.


M. Dei Ricchi, Le immagini del Mistero, Bibliotheka Edizioni, 2018

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