L'Addio a Monti e i Promessi sposi che vorrei
Ore 11. La quinta dev’essere accompagnata in Auditorium ad assistere ad una rappresentazione teatrale. Titolo: Il sugo di tutta la storia. Una riduzione in poco più di un’ora dei Promessi Sposi.
Proprio nelle mie ore, mi chiedo? Sembra di sì. Ok. Anche oggi niente Storia e niente Filosofia.
Il sugo di tutta la storia. Ottimi attori, ottima sintesi, non c’è che dire. Ma, ripensando bene al messaggio della celeberrima opera così tanto sponsorizzata dai programmi ministeriali, qual è in sintesi questo sugo manzoniano? Dunque, ricapitoliamo un po’...
Un tizio vuole sposare una tizia. Sono giovani, pieni d’amore, ma poveri in canna. Su di lei ha messo gli occhi un mafioso che controlla la zona. Un prepotente bello e buono, che non esita a far minacciare il sacerdote, che si accinge a maritare i due colombi, da altrettanti brutti ceffi. Questo matrimonio non s’ha da fare. Punto e basta. Il prete obbedisce, vigliaccamente; ma i due non mollano.
Il giovane è determinato, non vuol sottomettersi. Nel suo cuore sembra quasi martellare più forte la questione di principio che l’amore per lei. La quale, un po’ perplessa, si affida all’iniziativa del suo promesso sposo, forse anche per paura di contraddirlo. Fatto sta che i due fidanzati provano ad imbrogliare il prete cercando di sposarglisi davanti, a tradimento, in quattro e quattr’otto, con due testimoni rimediati alla rinfusa. Poi scappano, vengono separati e travolti dalle tristi vicende collegate alla calata dei Lanzichenecchi nel Nord Italia - dopotutto siamo in piena Guerra dei Trent’anni - ma alla fine si rincontrano, entrambi guariti dalla peste diffusasi proprio in seguito all’invasione dei mercenari, manco a dirlo protestanti. Peste che, però, non risparmia il cattivone che aveva ostacolato il loro amore. Si chiama Provvida sventura, signore e signori.
‘Sto sugo della storia, in pratica, è tutto qui e può venir bene colto nelle parole di un frate amico dei due giovani, che all’inizio aveva tentato inutilmente di aiutarli recandosi dal mafioso e provando - senza alcun successo - a ricattarlo coi sensi di colpa. Il frate, infatti, incontrando il “promesso sposo”, gli fa capire che è inutile lottare, illudendosi che così le cose cambino. Bisogna lasciar fare alla Provvidenza. Il giovanotto ha provato, sì, a fare il duro. Si è anche messo alla testa di un’accozzaglia di ribelli al fine di far piazza pulita dei prepotenti. Ma c’è riuscito? Nemmeno per sogno!
Cercar di contrastare in qualche modo la cattiveria di questo mondo, in definitiva, è ambizione folle e vana. Meglio lasciar fare a Dio, che anche quando sembra seminar sventura, aggiusta comunque le cose. Prendiamo il prepotente, ad esempio. È morto o no? E allora! Dio ha fatto giustizia, chiuso lì. Anzi, tanto vale perdonarlo. Ed il giovane, ubbidiente, perdona.
Sul finale riappare anche il prete vigliacco. Dice che una peste ogni tanto risolverebbe le cose; riorganizza il matrimonio alla grande, dichiarando non valido quello contratto con l’inganno.
Ora, cerchiamo di essere seri. Proviamo a pensare alla celebre scena della madre che si rifiuta di consegnare al monatto il cadaverino della sua piccola Cecilia, divorata dalla peste. Andate un po’ a parlare a lei di Provvida sventura. Spiegatele un po’ che grazie all’epidemia ha perso la vita un prepotente e che, in tal modo, due piccioncini potranno finalmente sposarsi. Per non parlare dei milioni di altri morti. Certo, tra di loro qualche centinaio di mafiosi seicenteschi ci sarà anche stato, ma..
Farli cadere dalle scale rompendosi l'osso del collo non sarebbe bastato?
Lo so. So di essere un vecchio rompiballe, uno che è sempre contro tutto e tutti. Ma io, sinceramente, questa roba nelle scuole quasi quasi la proibirei! Altro che farla studiare per anni ai ragazzi! Scritta meravigliosamente, piena di idee e spunti geniali, nulla da eccepire, per carità. Ma questa cosa del doversi rassegnare ad aspettare la provvidenza, fino a quando continueremo ad insegnarla? Ma è possibile che la scuola italiana sia stata progettata solo per tirar su servi?
È possibile, in effetti. Sì. Altrimenti a chi mai servirebbe una “scuola dell’obbligo”?
Torniamo in aula, saluto i ragazzi; entro nella classe successiva. Lì va in scena Cartesio, finalmente.
E il gioco lo conduco io.
Cerco di attualizzarlo, lo stiracchio un po’, ma la questione del non saltare i passaggi, dell’evidenza del metodo scientifico da applicare alla nostra vita è troppo stimolante. Volete cercare la verità? Resettate tutte le convinzioni che appartengono agli altri, alla tradizione, a parenti e genitori, ai vostri insegnanti. Cercate un punto fisso, che ritenete fondamentale, irrinunciabile. Da lì procedete. Con chiarezza e distinzione, senza saltar passaggi. Senza barare! Come faccio a dirmi fascista, ad esempio, se non saltando “passaggi” inquietanti come quelli della soppressione della libertà, dei campi di concentramento, delle leggi fascistissime? Come faccio a dirmi comunista saltando “passaggi” come quello della Dittatura alimentare, delle requisizioni forzate di grano? Dei gulag e delle deportazioni in Siberia? Coerenza, signori. Coerenza ed onestà intellettuale.
Bene. Seguono disquisizioni sui fascismi, vecchi e nuovi. State attenti ragazzi. Imparate a pensare con la vostra testa. I tempi non sono buoni, dalle nostre parti. La discussione prende una brutta piega. “Prof, non dobbiamo preoccuparci troppo”… Prego? In che senso? “No, è che può anche darsi che si viva in un tempo di libertà solo apparente, di propaganda velata e di controllo più o meno occulto…” Ebbene? “Ma sa… Anche fosse, noi non potremmo farci proprio niente. Meglio rassegnarci”.
Ecco qualcuno che ripropina il solito sugo, bell’e pronto! “Tutto sommato meglio affidarsi a Dio. Se le cose stanno andando così, prof, un motivo ci sarà”. Accidenti, mi dico. Oggi ‘sta storia della provvidenza mi perseguita. Se non altro, anni fa si diceva ancora: Aiutati che Dio t’aiuta…
Ma di cosa stiamo parlando, giovani? Allora doveva andare così anche con l’Olocausto?
Con i grandi dittatori del passato? “Che ne sappiamo, Prof? Magari sì”. Maccome! (rivolgendomi all’ala dei credenti) Dio potrebbe volere per i suoi figli un regime liberticida? Voi stessi, scegliereste di vivere in una democrazia o sotto una dittatura? “Non lo so, non ho mai provato” risponde qualcuno.. “Magari il dittatore è una persona per bene, capace di guidarci, di risolvere la crisi”.
No, non ci credo. L’invenzione dell’Economia complicata, che nessuno capisce, che necessita di Professori della Bocconi e di luminari, ha fatto centro. Sappiamo di vivere una crisi tremenda, ma non abbiamo capito nulla di cosa significhi o di come si possa risolvere. Dobbiamo affidarci per forza a “qualcuno che sa”. E ciò anche nel caso si tratti di un dittatore. Quel che è peggio è che sembrano d’accordo in molti, in classe. “Che ne sappiamo se sia meglio la libertà o la schiavitù?”
Non c’è che dire. Ottimo lavoro, signora Televisione!
E poi, rassegnazione o no, anche ‘sta cosa di adeguarsi alla provvidenza invece che lottare, che senso ha? Com’è che ci siamo arrivati? Gesù, da come lo descrivono, non sembrava uno molto sottomesso.
Era uno che agiva, che non faceva compromessi, che non esitava a scontrarsi, per la verità o per la giustizia. Mica aspettava sempre e solo Dio. Mi si obietterà: ma ERA Dio! Già, già. In lui le due cose coincidevano, almeno per chi ci crede. Ma non si è sempre posto come modello da imitare? Non ha sempre chiesto all’uomo di seguire il suo esempio? E i Padri della Chiesa? Il buon Sant’Agostino, che prescrive al bravo cristiano di combattere contro le ingiustizie? Sembra proprio che la sottomissione ai soprusi, il Cristianesimo abbia iniziato a predicarla col tempo, nel corso dei secoli successivi… Non certo subito! Più o meno da quando ha cominciato a saldarsi col potere politico. O a sostituirvisi direttamente. Ma insomma! Bisogna lottare contro una malattia terminale, figuriamoci nei confronti dei soprusi e delle ingiustizie! Silenzio di tomba... Non pervenuto.
Il sugo di tutta la storia, insomma, è che ormai i nostri giovani sono più rassegnati e disillusi di noi.
E ciò anche grazie alla scuola e ai suoi insegnamenti. Una generazione che ha sotterrato l’ascia. A differenza del sottoscritto, però, che in un romanzo parallelo immagina ancora un Renzo che sconfigge Don Rodrigo, assicurandolo alla giustizia. Che lascia cuocer nel loro brodo codardi come Don Abbondio. Altroché tornare a riverire chi lo ha tradito, accettando persino di ripetere un matrimonio ritenuto inefficace per i soliti cavilli. Un Renzo che, insieme alla sua Lucia, non si lascia calpestare o ridurre in schiavitù da nessuno. E che, proiettato nel mondo di oggi, non esita a combattere contro un sistema malato e corrotto, che si ostina a farsi passare per democrazia ma che puzza, tremendamente puzza, di dittatura. Un Renzo, cittadino di un’Italia del terzo millennio, che non fugge ma, piuttosto, prepara con la sua donna - e con quanti hanno ancora a cuore la propria dignità - l’Addio a Monti.
A lui e a tutta la casta di prepotenti che, da sempre, ostacolano la nostra preziosa, inestimabile, inalienabile libertà.