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I Rothschild e gli Altri

Un testo per trasformare il mondo

Raffaele K Salinari, 8 settembre 2015

“Il denaro fa la guerra” si usa dire, e certo il vecchio proverbio viene continuamente ribadito nella sua attualità contemporanea, per cui dietro ogni conflitto, anche quelli di tipo religioso o nazionalistico, ricompare sempre e immancabilmente lo spettro del soldo, da cui non a caso deriva anche la parola “soldato”. E così, ovviamente, possiamo dire anche il contrario, cioè che è la guerra a fare il denaro, come dimostrano le plusvalenze dei venditori di armi, ed il fatto che ogni nazione, anche a fronte di problemi socialmente significativi come la fame, il sottosviluppo, le malattie, trovi sempre i finanziamenti per gli armamenti e difficilmente quelli per risolvere questi problemi. Ma, più in generale, è proprio la preponderanza dell’economia, specie di quella finanziaria, che configura la cifra portante del nostro tempo, in cui solo le compatibilità economiche sembrano in grado di stabilire le leggi su cui è possibile orientare le scelte politiche. Lo studioso della Tradizione René Guénon, in un suo celebre libro, Il regno della quantità, dedica a questa degenerazione nell’uso del denaro, oramai assurto all’unica divinità realmente immanente, un’abissale riflessione, in cui delinea quanto ci si è oramai scostati da un uso strumentale del danaro per farlo diventare il metro di ogni cosa, assimilando le qualità, anche degli esseri umani, alle loro quantità. Me se tutto questo è vero, allora chi «fa» il denaro, chi lo fa girare, chi decide come e dove investirlo, le guerre da finanziare, i Governi da sostenere o quelli da far cadere, chi, alla fine, decide il nostro stile di vita, quelli che possono e cosa possono consumare e quelli che invece sono esclusi dal supermercato globale? Il libro di Pietro RattoI Rothschild e gli Altri disegna la complessa geografia del potere economico finanziario che domina il nostro presente partendo dal passato, tutto sommato recente, di una famiglia di banchieri, e non solo, che coincide con la nascita stessa del capitalismo. Muovendo da una constatazione di ordine religioso, la possibilità negata ai cristiani ma permessa agli ebrei di dare danaro ad usura, che ha antecedenti importanti quali la riflessione di Max Weber sulle relazioni tra protestantesimo e capitale, l’autore dipana nel tempo e nello spazio, prima europeo poi globale, la storia di una dinastia ebrea e delle sue successive guerre ed alleanze familiari ed economiche, per arrivare a tracciare una mappa intricatissima di una parte consistente dei poteri economico finanziari che ancora dominano il nostro tempo. Si parte del capostipite della casata, Meyer, nato nel 1744 a Francoforte, per arrivare ai giorni nostri, risalendo il filo delle vicende storiche che sono la trama e l’ordito stesso di quegli avvenimenti che hanno portato, prima l’Europa, poi gli Stati Uniti, ad essere quelle potenze globali che si sono affermate negli ultimi due secoli. Da Napoleone ad Hitler, da Truman ad Agnelli, una galleria di personaggi noti e meno noti scorre nelle pagine documentate come in un film in costume, ricostruendo lati oscuri di avvenimenti che hanno marcato il passato del nostro presente. Un libro ricco dunque non solo di date e di dati, retroscena ed intrecci spesso poco o niente affatto studiati sul come si sono sviluppati gli interessi e gli affari della casata, cronache del tempo e profili di singoli personaggi storici componenti la famiglie e le sue relazioni, ma anche un saggio sui flussi e sull’evoluzione del capitalismo globalizzato e sulla sua finanziarizzazione, le sue logiche, i suoi arcani, i suoi ideali e pulsioni, letto attraverso una genealogia familiare tra le più emblematiche, per storia e complessità. Essere solo dalla parte di se stessi, fedeli al proprio motto, prosperare con ogni mezzo: questo sembra essere l’unico vero imperativo dei Rothschild e dei suoi simili. Non c’è nessuna contraddizione tra finanziare lo schiavismo ed al contempo far parte di una società che ne chiese l’abolizione, appoggiare la Francia contro l’Inghilterra mentre un altro ramo della famiglia è impegnata a fare il contrario, accumulare opere d’arte ed essere mecenati. Tutte queste antinomie si fondono al calore degli interessi di famiglia, nel crogiolo del denaro e della sua potenza. Forse proprio per questo tra le righe del libro emerge chiaramente anche l’opinione dell’autore, non un mero cronachista dunque, ma un critico osservatore delle vite della potente famiglia e dei suoi, di volta in volta, nemici o alleati, antagonisti o sodali, che sulla base dei dati storici non sospende il giudizio ma inserisce tra gli elementi fattuali le sue critiche e le sue interpretazioni soggettive, trasformando così un saggio storico nel quale si spiega, ad esempio, la nascita del debito pubblico, oggi tanto presente nelle nostre vite, in un piccolo trattato di economia politica, come si conviene ad un filosofo del nostro tempo, impegnato a fornire non solo dati oggettivi, seppure questi possano mai esistere, ma anche impegnato nel trasformarli in strumenti di ricerca attiva, orientata dalla necessità di dare al lettore un orientamento che lo aiuti a districarsi in quella rete di rapporti tra politica affari economia e finanza, che oggi tutti ci avvolge. E dunque un testo utile, non solo alla chiarezza storica di un fenomeno globale, quello del capitalismo e delle sue regole attraverso la storia di una famiglie e di altre genealogie che con essa hanno avuto un ruolo centrale in questa parte delle storia contemporanea, ma anche un manuale ad uso di ognuno di noi, di quanti ogni giorno cercano le ragioni per trasformare il mondo e ristabilire il giusto equilibrio tra interesse collettivo e avidità di pochi.

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