L'angelo di novembre
La domenica mattina furono celebrati i funerali.
Era il 18 novembre 1855. L’aria si era fatta umida e fredda. Søren Kierkegaard era morto esattamente una settimana prima, in quella sua stanzetta che improvvisamente era parsa a tutti l’anticamera del Paradiso, così allagata dalla luce del sole da fargli esclamare: “Ho l’impressione di star diventando un angelo.. Di metter le ali, e di volare su una nuvola..”
L’intera popolazione di Copenaghen si accalcò, stretta stretta, nell’antichissima Frauenkirche, la Cattedrale di Nostra Signora. L’imponente duomo, da poco ricostruito dopo i violenti bombardamenti inglesi che l’avevano raso al suolo soltanto trentotto anni prima, mai aveva assistito a un tale fasto. Il fratello Peder - messe da parte le ultime beghe familiari - quella mattina spese commuoventi parole in ricordo del pensatore più originale della Storia, mentre l’intera comunità cristiana della città, con tutti i suoi canti e le sue spettacolari liturgie, si affrettava furtiva a riannettersi le spoglie di un uomo che, in tutta la sua breve vita, si era violentemente scontrato con vescovi e cardinali per via di quel loro atteggiamento così esteriore, così ipocrita.. Quel modo di fare e di pensare che il grande filosofo aveva sempre considerato l'imperdonabile tradimento dell’autentico messaggio evangelico. Proprio per questo, nel bel mezzo dell’imponente cerimonia, il giovane Heinrik Lund, nipote dello scomodo pensatore, prese improvvisamente la parola. Brandendo una copia de L’Istante, la rivista filosofica fondata pochi mesi prima dallo stesso zio, aprì l’Apocalisse e lesse a tutti il passo in cui un Dio sdegnato annuncia di vomitare Laodicea. Perché insipida, perché “né fredda né fervente”.
Nessun dubbio, a riguardo. Incamminandosi lenti, mestamente incolonnati verso il cimitero, non furono certo pochi quelli che ripensarono alle parole di quel grande defunto, di quell’uomo scomparso così giovane, eppur così vecchio, ai suoi stessi occhi.. Di quel giovane-anziano filosofo spentosi a quarantadue anni, che da ragazzo si era persuaso di morir trentatreenne con tale convinzione da precipitarsi incredulo in anagrafe, il giorno del suo trentaquattresimo compleanno, a controllar se qualcuno, per caso, non avesse commesso un errore.
Sì, nessun dubbio. Anche l’amico di sempre, il giovane filosofo Hans Brøkner, dirigendosi verso la tomba della famiglia Kierkegaard ripensò sicuramente a quelle parole dei Discorsi edificanti. Lui che, un giorno ormai lontano, sentendo sostenere dall’amico che la vita di un uomo si misurasse sulla ricchezza del suo contenuto, gli aveva risposto: ”Tu Søren, allora, in base a un tale computo sei senz’altro l’uomo più vecchio della terra”. Anche lui, sì, in quell’uggiosa mattina di novembre, ripensò con dolcezza a quelle parole dell’amico Maestro, ormai perduto per sempre.
“E così, tutto è finito. E se adesso, chi si è avvicinato per primo alla tomba, […] nel suo dispiacere chiamasse il defunto per nome; se anche, nel suo dolore, si sedesse accanto alla fossa tendendo le orecchie, non verrebbe però a saperne più nulla, perché nella tomba tutto è pace e silenzio, e il morto è muto. E se anche si recasse ogni giorno al cimitero a commemorare il defunto, questi non si ricorderebbe di lui. Nella tomba infatti non c’è ricordo, nemmeno di Dio. Sì, lo sapeva bene quest’uomo […] ma proprio perché lo sapeva, si è comportato di conseguenza e quindi, fintanto che è vissuto, si è ricordato di Dio.
[…] Buon cittadino, onesto lavoratore, [..] egli aveva, però, un’altra attività, di cui si occupava con la stessa assiduità nella semplicità del suo cuore: egli si ricordava di Dio.
Si fece uomo, diventò vecchio e carico di anni, infine morì, ma continuò a ricordarsi di Dio, sempre allo stesso modo - ricordo che lo guidò in tutte le sue attività, e che avvolse di gioia e di calma la sua pia meditazione.
Sì, anche se non vi fosse proprio più nessuno ad aver nostalgia del defunto, sì, anche se adesso non fosse presso Dio, Dio avrebbe nostalgia di lui nella vita, e conoscerebbe la sua dimora, e gli farebbe visita. Il defunto, infatti, passeggiava al Suo cospetto, e Dio lo conosceva meglio di chiunque altro. Egli si ricordava di Dio, e prendeva a cuore il suo lavoro. Egli si ricordava di Dio, ed era contento del suo lavoro e della sua vita. Egli si ricordava di Dio, e viveva felice nella sua modesta casa, insieme ai suoi cari. Non ha mai dato fastidio a nessuno, mostrandosi indifferente o intempestivamente zelante verso il servizio divino. Anzi, la casa di Dio era, per lui, una seconda dimora.
Adesso, è ritornato a casa.”
1. Kierkegaard, Accanto a una tomba, 1845