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Intervista a me stesso

Buongiorno, Pietro, e buon anno!

Buongiorno, Pietro. Grazie e altrettanto!

Dunque, mio caro, alla luce di quanto scrivo e sostengo, ritengo che non sia azzardato considerarmi un pensatore di sinistra. Come mi trovo, in questo tipo di definizione?

Malissimo, grazie. Sono assolutamente contrario a quasi tutti i capisaldi del pensiero di sinistra, a partire dall’idea secondo cui la collettività sia da considerarsi l’unico vero soggetto, l’unico motore di ogni cambiamento. Mi trovo male, normalmente, in un gruppo.. non amo rinunciare alle mie idee né, in generale, alle mie personali prese di posizione. Negli ambienti di sinistra passo per un pericoloso individualista, un personalista orgoglioso e distaccato. Il fatto è che tengo troppo alle sfumature; a quelle piccole differenze che contraddistinguono ogni individuo e a cui, per nulla al mondo, ognuno di noi deve rinunciare. Insegno quotidianamente ai miei ragazzi a coltivare e proteggere ad ogni costo quel prezioso, unico tesoro di cui ognuno di noi dispone, costituito appunto dalle proprie, uniche, irripetibili, indelebili sfumature personali.

Chiaramente, poi, ci sono motivazioni ben più strutturali.

La sinistra o è riformista - e quindi di per sé incapace di raggiungere la piena uguaglianza dei diritti a causa dei compromessi a cui deve costantemente ricorrere - o è marxista, concepita, cioè, come forza dissolutiva, come teoria della rivoluzione e del cambiamento. Questa connotazione rivoluzionaria è quella che senza dubbio considero più preziosa, ma se ad un intento distruttivo non si associa anche un sistema di teorie costruttive, si rischia - nella migliore delle ipotesi - di non procedere di un metro oltre l’abbattimento di ciò che si intendeva contrastare. È il genetico problema della sinistra. Esser sempre anti-qualcosa (anti-fascista, anti-capitalista, anti-governativa), in generale esser forza endemicamente oppositiva, ma mai propositiva. Toglietele miti, ormai anacronistici, come quello dell'antifascismo, e la distruggerete. Ha ben chiaro contro cosa combattere, la sinistra, ma guai a sottrarle completamente il nemico, perché se le tocca vincere e, malauguratamente, addirittura governare, allora essa non sa davvero che pesci pigliare, dato che l’unico obiettivo possibile, l’unica naturale meta di qualsiasi rivoluzione in favore dell’uguaglianza e della libertà che la sinistra possa perseguire fino in fondo è, come Marx stesso indica, l’anarchia. E questo obiettivo, intimamente connesso a quello dell’abolizione della proprietà privata, è quanto di più lontano dalle mire di qualsiasi politicante che si professa, sì, comunista, ma che - sotto sotto - non ha alcuna intenzione di rinunciare ai suoi personali privilegi di parlamentare pluri-stipendiato.

Presente il solito ritornello “fate qualcosa di sinistra!” che si leva dagli elettori dopo qualche mese di governo dei loro rappresentanti? Ecco, così.

Per non parlare della questione dei valori. L’eccessivo relativismo di sinistra perde di vista una moralità che può davvero esser imparata ed insegnata come scienza, e non liquidata come puro e semplice ammasso di condizionamenti ambientali e culturali validi o meno a seconda della latitudine e della longitudine.

Dunque: valori assoluti da conservare ed apprendere allo stesso modo per tutti; individualità e qualità personali al di sopra degli interessi della collettività; critica spietata ai fondamenti del pensiero di sinistra.. Scopro inaspettatamente in me un paladino della destra..!

Niente di più sbagliato. La chiusura nei confronti di qualsiasi sfumatura appartiene alla sinistra come alla destra. L’ossessività con cui il conservatore mortifica qualunque comportamento o qualsiasi teoria “non in linea” con quelli che reputa nevroticamente gli unici valori possibili, gli unici “legittimi” o “naturali”, mi è odiosa per lo meno quanto l’atteggiamento sprezzante con cui gli uomini di sinistra chiudono la bocca a qualsiasi ragionamento che provenga da destra. Non sopporto il cameratismo mafioso, la superficialità, il razzismo, il culto per l’esteriorità, per il successo, per il denaro, per il capitalismo e il più sfrenato liberismo, così intimamente connessi alla “cultura” di destra. Non sopporto questo subordinare la moralità alla legalità così presente in quegli ambienti.. Senza dimenticare quanto siano vicine, queste due posizioni che, agli occhi della massa, vengono invece sempre presentate come diametralmente opposte. Destra e sinistra, e nelle loro manifestazioni più radicali fascismo e comunismo, nascono da una stessa costola: la filosofia hegeliana. Rimando volentieri alle fondamentali, imprescindibili riflessioni di Del Noce, a riguardo. Mi limito a sintetizzare. Il fascismo nasce da una specie di miscela tra il pensiero rivoluzionario marxista e la teoria del superuomo nietzscheana. Si configura, quindi, come una prassi della rivoluzione in favore del popolo che non rinuncia però alla figura di un capo, che la organizzi, la guidi e la amministri. Un capo che venga incontro alle esigenze della sua gente senza però rinunciare ai privilegi del comando. E che, quindi, si guarda bene dall’abolire, per esempio, la proprietà privata.

Non a caso Mussolini fu socialista, dai suoi esordi in politica alla sua Repubblica Sociale. Non a caso Hitler fondò e guidò il Partito Nazional-Socialista, no?

Quanto alle cosiddette destre-moderate attuali.. siamo daccapo. Hanno un tremendo bisogno dello spauracchio della sinistra, del comunismo, per poter contare su un nemico contro cui mostrarsi impegnate. Togli al conservatore il fantasma del comunista scansafatiche e senza-dio, che complotta per rubare la casa a chi se l’è comprata con il lavoro e i risparmi di tutta una vita, e non gli lasci più un solo argomento per la sua campagna elettorale. Tutta demagogia per il solo obiettivo di governare, di accaparrarsi il potere. A destra come a sinistra.

Non resta che una soluzione. Il mio equidistare da destra e da sinistra mi colloca, inevitabilmente, al centro!

Per carità.. i moderati! Al centro si annida tutto il nulla che non ha il coraggio di commettere gli errori delle due estremità. E di conseguenza prospera sulle spalle dei cittadini. L’uomo di centro non trova di meglio che aggrapparsi alla questione religiosa, come se ciò avesse qualcosa a che fare con le scelte politiche di un Paese. Il centro per così dire “virtuoso” è, aristotelicamente, solo quello dell’equilibrio tra le parti, non del compromesso sistematico e dell’inciucio con la Santa Sede e con le sue potenti dinamiche di ingerenza nel nostro ordinamento politico e nella nostra legislazione. E d’altra parte, quale equilibrio sarebbe mai possibile tra sinistra e destra, sia nel senso del loro essere diametralmente opposte, sia nel senso - più autentico - della loro sostanziale identità?

Destra sinistra, centro.. Soltanto direzioni - ammesso che oggi significhino ancora qualcosa - da prendere di volta in volta, a seconda delle necessità, per raggiungere un'unica meta: la felicità di tutti quanti i cittadini. Direzioni, tutto qui.. Non certo da far valere ossessivamente, ad ogni costo, girando nevroticamente su se stessi senza andar da nessuna parte.

Ovvio, quindi, che l'unica forma di governo che reputo giusta e in grado di consegnare ad ogni cittadino piena felicità, sia la democrazia diretta, il libero e totale accesso alla gestione della cosa pubblica da parte di tutti.

Niente da fare, quindi. Da un punto di vista politico, definire la mia posizione sembra impossibile. Una cosa però è certa. I miei costanti attacchi alla Chiesa, le mie battaglie a favore della laicità, non lasciano dubbi sul mio ateismo.

Sbagliatissimo. Esser laici significa rispettare le differenze. Significa adottare un costante atteggiamento di onestà intellettuale, che miri a non favorire la propria posizione o le proprie idee religiose o irreligiose facendole valere sugli altri. Sono convinto che in uno Stato non confessionale come il nostro, in un’epoca di grandi contatti e confronti con culture molto differenti tra loro, l’unico atteggiamento possibile sia quello del lasciar spazio, dello sgomberare ogni contesto pubblico dagli aspetti religiosi e da tutte quelle credenze che, in generale, possiedono valenza culturale, relativa a una certa tradizione o ad un sistema educativo piuttosto che un altro. Tutto ciò che è soggettivo deve restare fuori dal dominio collettivo. Va protetto, custodito. Non certo proibito piuttosto che propagandato o addirittura imposto. Il mio profondo credere in Dio mi induce a non farne una bandiera, tanto meno uno strumento per acquisire vantaggi o poteri. Come insegnante ed educatore, il mio primo dovere a riguardo consiste nel tenere le mie convinzioni per me, permettendo ad ogni mio alunno di maturare le proprie in piena libertà. Il mio compito sta, semmai, nel fornire gli strumenti per una ricerca personale. Insegnare a riflettere, a non dar nessuna conoscenza e nessun valore per scontati. Aiutare i ragazzi a prendere coscienza del problema non significa certo fornire loro una soluzione dello stesso. Laicità significa questo. Spesso la si associa all’ateismo, ma conosco molti atei che non sanno essere laici e non rispettano la fede di chi, in cuor suo, crede in Dio. Mi incuriosisce, in generale, questo bisogno di far gruppo, che spinge i credenti a costituirsi in Chiese e gli atei a mettere su Associazioni.. Dà l’idea del non esser granché convinti di quelle stesse idee che invece si pretende di imporre agli altri. Se credi che Dio esista così come se credi che non esista, a cosa ti serve cercarti altri che la pensino come te, se non perché non ne sei così convinto? Un ultimo accenno a quelli che invece interpretano la laicità come dovere di informazione, della serie: comportiamoci in modo laico, portiamo a scuola i rappresentanti di tutte le religioni. Come se ciò fosse davvero realizzabile; soprattutto, come se ogni sfumatura possibile del credere o del non credere potesse venir passata in rassegna. E a che scopo, poi? Qualora un giovane decidesse di sposarsi, per esempio, che senso avrebbe fargli prima conoscere tutte le ragazze disponibili al mondo, così da dargli la possibilità di scegliere? Un innamorato non ha bisogno di valutare altre alternative. Ha già scelto chi sposare, senza aver conosciuto nessun’altra opzione. La stessa cosa accade a chi sceglie il proprio rapporto con Dio o la propria convinta adesione all’ateismo. Ma le chiese e le varie associazioni, purtroppo, non hanno proprio nulla a che fare con l’innamorarsi di Dio o di una qualsiasi dottrina. Cercano solo nuovi piccoli ingranaggi per far funzionare le loro gigantesche strutture di potere.

Quindi, non di destra, né di sinistra; tanto meno di centro. Laico ma non ateo. Religioso, ma in modo assolutamente impenetrabile. Esiste, a questo punto, una definizione possibile per la mia posizione?

In due parole, sì. Si chiama: Pietro Ratto.

 

Grazie, Pietro.

Prego, Pietro.