Grigioazzurro
Quindi rientro in auto, sbattendomi la portiera a fianco. Via Po adesso è grigia, completamente grigia. Un grigio splendente, metallico, carico di elettricità. Davanti ho solo il passato. Ventidue anni, un turbinìo di musica, di interrogazioni e compiti da consegnare, di fogli squadrati e di notti stellate a dormire per terra, a naso e cuore in su. Un vortice di risate a crepapelle attorno a un fuoco, di discussioni impetuose e di canzoni appassionate. Canzoni piene di lacrime, per un sorriso che si apre, o una storia ormai chiusa.
Ventidue anni. Mio padre è già via, nemmeno so dove. Da qualche tempo la testa funziona poco.. Quindi l’esame è andato male: è da ridare, di nuovo. Ma c’è qualcosa, quest’oggi, nell’aria.
Giro la chiave dell’avviamento e accendo il temporale. Proprio in quel momento, proprio lì, comincia a tuonare. Un boato assordante, fresco, struggente, che porta via tutto, all’istante. Che spazza via i pensieri più scuri, le domande più ansiose, insieme a decine di passanti intimoriti e a brandelli di giornale svolazzanti nel cielo. Una nuova, dirompente estate sta iniziando, proprio adesso. Proprio qui, in questa antica via del centro, piena di gente che si mette a correre e di alti portici che la divorano, bui.
I nomi, i suoni, i volti di chi davvero amerò, non li conosco ancora. Nemmeno li immagino. Le mie figlie sono angeli, che danzano leggeri su queste gonfie nuvole nere, in cima alla via. In qualche posto lontano mia moglie canticchia, cullando una bambola stretta alla guancia. No, non ne so nulla, per ora. Non so niente di tutte 'ste vite, di questa mia vita di trent'anni dopo. Per adesso, in una fredda cucina lontana, c'è solo mia madre. Che piange, in silenzio.
Ed il motivo di tutto, il motivo di questo, è davvero così semplice, così terribilmente semplice. Il motivo è soltanto che ho ventidue anni. E che li ho qui, seduto in un'auto parcheggiata in via Po.
La pioggia si rovescia potente sul mio parabrezza, piegandomi quasi il tergicristallo. E il battesimo, il mio battesimo, finalmente ha inizio.
(Senza nemmeno immaginare di poterlo fare, un giorno lontano, con un pulsante) abbasso il finestrino sgangherato della mia Panda bianca, a suon di faticose giravolte di una manovella. E chiudo gli occhi. Contro quell’acqua fresca che mi sferza il viso; contro quell’aria limpida e pura che mi trascina via, intrufolandosi furtiva nella camicia a righe grigie e azzurre che impertinente gonfia, come la vela di una caravella impazzita, smarrita per sempre in mezzo a un immenso, sconfinato mare.
Appoggio il gomito sul finestrino abbassato, l’avambraccio fradicio, la manica tutta inzuppata. Ma cosa importa?
Più in là dovrò porre rimedio a una serie di cose. Dovrò risolvere parecchie questioni, riprendere in mano libri da leggere, discorsi da fare, e un po’ tutto me stesso. Più in là.
Ma adesso, in questa lunga via del centro, è scoppiata l’estate. Adesso piove, diluvia da dio. Adesso il vento cancella ogni cosa, portandomi via da ogni triste pensiero.
Per ora guido, allontanandomi piano, lungo la strada che porta al riposo. Ora galleggio leggero, con gli occhi sognanti ed il braccio inzuppato di pioggia, incontro a un’estate di tuoni impetuosi e di lampi accecanti.
L’estate dei miei ormai lontani, perduti per sempre, magnifici e unici ventidue anni.