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Un minuto di silenzio!

Vorrei riuscire a capire il significato preciso dei "minuti di silenzio" che si organizzano pubblicamente.

Di certo è molto difficile che tutti i coinvolti siano ben disposti, in quel preciso momento, a celebrare, commemorare, riflettere su quanto viene imposto dall'alto.

È altresì piuttosto probabile che, in quel minuto, molti nutrano altre personalissime preoccupazioni, magari anche più pressanti o dolorose del tema - seppur di altissimo valore - fissato dagli zelanti organizzatori; qualcosa a cui il pensiero irrefrenabilmente, inevitabilmente corre, rubando in men che non si dica il posto all'evento da commemorare forzatamente.

Quale significato possiede l'atto del pretendere che una moltitudine di persone si fermi un minuto a far silenzio, magari pensando ognuno ai fatti propri? Quale significato cela quel senso indotto di reciproco imbarazzo che ognuno dei coinvolti prova rispetto agli altri; quella selvaggia voglia di non farlo, di ribellarsi a pubblici pensieri coatti, quella paura di ciò che penserebbero però, a quel punto, gli altri obbedienti, pubblici “commemoratori”?

Demagogia? Sicuramente sì. Necessità, da parte del potere, di dimostrare a se stesso e agli altri la propria capacità di controllare, disciplinare, orientare la riflessione di massa su binari prestabiliti?      

Sfoggio di obbedienza da parte dei gradi inferiori, dello stesso tipo delle parate militari o di ordini esibizionistici come: “Seduto! Qua la zampa!”? Probabile.

Scelta finalizzata all’ennesimo consolidamento della tecnica del controllo e del condizionamento reciproco degli uni sugli altri, così ben sperimentata negli eserciti impegnati in eccidi di massa o, quotidianamente, nel consueto mobbing da lavoro dipendente? Perché no?

E poi quel minuto.. Quel minuto, accidenti! Qual è il fottuto motivo per cui vi basta un solo minuto? Perché la dovremmo risolvere così, ‘sta cosa? Prego, commemorare le vittime della Guerra xy in questo minuto. Non di più, eh? Ché abbiamo da fare un casino di altre cose, stamattina.

Quel minuto assomiglia troppo a quello che ti danno per dire la tua opinione, a quello che ti lasciano a disposizione in Tv per parlare del dramma della tossicodipendenza o della disoccupazione, badando bene ad interromperti appena scade per salvaguardare le successive ore e ore di pubblicità e di propaganda. Quel minuto assomiglia troppo, tradotto in termini matematicamente temporali, al peso che riveste la nostra esistenza, la vita di miliardi di individui, nei confronti di quella di chi gestisce i grandi poteri economici, politici, finanziari. Di chi può contare su un’esistenza di secoli e di millenni. Non certo di un minuto.

Quel minuto, dopotutto, sta a significare: “Sulla morte di questa persona, sul senso di un’esistenza che un attimo prima palpita e un attimo dopo si spegne, sul significato profondo di quel limite che inevitabilmente aspetta ognuno di voi, pensateci nel prossimo minuto. In quel minuto lì, deciso e amministrato da noi. In quel minuto e basta. Perché di pensarci più a lungo e per conto vostro non siete proprio in grado.

E perché, se per caso decideste anche solo di provarci, ci soffiereste via tutti, tutti quanti.

Riconquistando il significato della vostra vita e della vostra libertà in molto, molto meno di un minuto.