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La generazione occupata

Venerdì 3 maggio, ore 8,30. Nel bel mezzo dell’ora di Filosofia.

In classe va in scena Plotino. Tento di concentrare la scarsa attenzione del mio distratto uditorio sulla reazione del pensatore del terzo secolo ad un Cristianesimo dilagante. Una reazione che è ad un tempo coraggiosa resistenza e incuriosita accoglienza.

Plotino, spiego, può esser considerato l’ultimo baluardo della grecità, soprattutto nella sua strenue difesa dell’assoluta perfezione del principio divino, talmente puro da non mischiarsi in alcun modo con le cose del mondo. Ma, allo stesso tempo, il suo è un generoso disporsi ad accogliere quel monismo ebraico cristiano, così impossibile da concepire da parte di un filosofo greco, per il quale tutto ha sempre inizio “da due”, mai da un ente solo; per il quale - dicendola con Platone - l’essere è pur sempre possibilità di relazione.

Lo sforzo sta nel far capire l’assoluta trascendenza del Dio plotiniano, così inarrivabile da non poter essere in alcun modo definito se non in negativo, se non analizzando “ciò che non è”.

Un alunno alza la mano. Di questi tempi, un atto di questo tipo fa tremare. Normalmente, infatti, il massimo che ti puoi aspettare è che chi alza la mano durante una spiegazione ti chieda il permesso di andare in bagno. Spesso la richiesta è sottolineata da un certo sogghigno, della serie: “Vedi che effetto fanno le tue parole? Ti aspettavi un intervento interessato alla tua lezione, eh? Niente da fare: eccomi qui a chiederti di farmi uscire, punto e basta”.

Questa volta, invece, le cose vanno diversamente, anche se forse avrei preferito dare il mio nulla osta alla solita passeggiata nei corridoi in orario di lezione. “Mi chiedevo perché mai tutte queste assurde riflessioni su un Dio incomprensibile, indefinibile, quando ormai è chiara a tutti la verità”. Quale verità sarebbe ormai chiara a tutti, please? “Quella insegnata dal vangelo, prof, secondo cui Dio ha mandato suo figlio sulla terra, figlio che è morto in croce e poi è risorto”. Vuoi dire che Plotino avrebbe dovuto strarsene di quanto insegnato dai primi cristiani? “Certo, sì. E come lui, tutti gli altri dopo di lui”.

Un anno di Filosofia, passato a cercare di insegnare che tutto può esser messo in discussione, che il dialogo costituisce il motore della riflessione filosofica, che la verità non può esser raggiunta, ma soltanto avvicinata, proprio attraverso uno scambio di idee democratico e razionale, scevro da qualsiasi forma di pregiudizio. Un anno letteralmente buttato via. Questa la prima cosa che mi viene in mente, mentre mi arrampico sui vetri per salvare il salvabile, per recuperare un minimo di dignità da riconsegnare alla mia adorata e incompresa Filosofia.

Mi viene in mente il “breve problem solving” che gli “esperti” di didattica consigliavano a noi giovani professori di Filosofia al Corso abilitante di tredici anni fa. “Non serve insegnare la Filosofia partendo dalle teorie complicate dei vari pensatori... Bisogna usare la “maieutica”, iniziare dalla riflessione personale dei ragazzi. Volete un esempio? Partite ponendo un problema come Dio esiste? Scrivete la domanda alla lavagna, poi fate seguire un breve problem solving. E il gioco è fatto”. Breve problem solving? Millenni di riflessioni, teorie, scontri, guerre di religione. Millenni di ricerca disperata di un Dio che gioca a nascondersi, che si sottrae ad ogni definizione... E voi, criminali cittadini dell’era delle banalità, liquidate la questione così?

D’altra parte dovevo aspettarmelo. Questa stagione è ormai tutta un declino verso la totale cecità, verso la più assoluta ovvietà. Proprio nell’epoca delle grandi sfide, della globalizzazione e del contatto tra valori morali, politici e religiosi molto lontani tra loro, la reazione più diffusa si risolve nella più ferma intransigenza. “Questi sono i principi su cui si basa la nostra cultura. Se loro vengono a casa nostra non hanno che da adeguarsi”. Dal punto di vista religioso, poi, di anno in anno sta salendo nelle varie classi un’ondata di integralismo che mette sconforto. Sempre più spesso, appena accenni a modelli religiosi diversi da quello cristiano, ti ritrovi contro un manipolo di ragazzotti indottrinati pronti a manifestare il loro disprezzo verso tutto ciò che contraddice l’unica autentica verità cattolica. Certo, era brutto anche l’imbarazzo codardo con cui, quando ero giovane io, chi frequentava la parrocchia si vergognava di ammetterlo davanti ai compagni. Ma qui siamo passati all’estremo opposto, con una presunzione di verità ed uno spirito aggressivo e intransigente degni delle migliori crociate medievali.

Sono loro a doversi adattare, a dover cambiare accettando la verità. Il nostro costante rifiuto nei confronti di qualsiasi forma di adattamento (logicamente solo da parte nostra), è a dir poco inquietante. Soprattutto se si pensa che, grazie a Darwin, avremmo dovuto imparare che adattarsi equivale a crescere; e in casi estremi è l’unico modo per sopravvivere.

Ma questo, signore e signori, è il tempo della verità. Il mondo è certo di averla in tasca, senza alcun dubbio. La verità su Dio, insegnata come un’autentica scienza nelle aule di catechismo, a bambini che non sanno quasi ancora leggere e scrivere. La verità dei fatti, diffusa con zelo da telegiornali notoriamente imparziali e indipendenti... Una Tv, ecco! A ben pensarci non abbiamo bisogno di nient’altro. Una Tv che “informa”, che racconta le cose di cui il potere vuole convincerci, che ci intrattiene nel tempo “libero”, che ci evangelizza ogni giorno, infilando in ogni notiziario, in ogni rubrica, omelie del Papa e passi della Bibbia.

Perché sprecar tempo a discutere? Perché mai riflettere? L’informazione televisiva copre ormai ogni ambito, soddisfa qualsiasi bisogno, offre insistentemente il suo dolce nettare prima ancora che ci venga sete.

Così, la corretta reazione alle ingiustizie diventa l’indignazione nelle forme e nei contenuti prescritti dalla Tv, i veri ideali diventano quelli propagandati dal politico di turno, il vero Dio è quello dispensato generosamente dai ripetitori vaticani. Esattamente allo stesso modo in cui l’acqua migliore è quella che beve Miss Italia.

Di cos’altro abbiamo bisogno? A cosa serve mai continuare a cercare, quando tutta la verità si trova impacchettata a poco prezzo in una scatola di plastica?

Penso davvero che la mente della maggior parte delle persone sia ormai a tutti gli effetti “occupata”. Nell’era della comunicazione e della globalizzazione, infatti, che senso avrebbe mai occupare territori? Il vero imperialismo è quello dell’inconscio, quello di chi riesce a manipolare il pensiero di un intero pianeta. Ha davvero in mano il mondo chi, servendosi della micidiale arma della propaganda televisiva, non debba nemmeno ricorrere alle armi, per sottomettere un popolo.

Potentissimo, in realtà, è chi è riuscito a far sì che dalla gente stessa - in nome di ridicole priorità come la sicurezza, la comodità o il falso benessere - provenga la richiesta di limitare i propri diritti, la propria libertà, la propria personale riflessione, la propria intima e libera ricerca nei confronti di un Dio in cui credere oppure no.

Non saranno i governi a sopprimere la Filosofia dalle scuole. Saranno gli alunni e le loro famiglie a pretenderlo.

Affinché più nulla turbi i loro sonni giulivi, all’ombra di un’unica, comoda e incontestabile verità di regime.