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Vogliamo ancora parlare di democrazia?

Dunque, riassumendo: il Governo filoamericano nato in Ucraina nel dicembre 2014, al termine di un vero e proprio colpo di Stato che rovesciò il presidente filorusso Janukovyč, fu varato in seguito a una specifica scelta operata da sue grandi società private di selezione del personale. La Pedersen & Partners e la Korn Ferry, che per l’occasione scelsero, in una rosa di 185 candidati, 24 profili adatti a diventar ministri o funzionari del nuovo esecutivo.

Tra questi, vennero individuati il Ministro delle Finanze, la statunitense Natalia Jaresko - di origine ucraina, già Amministratore Delegato di un fondo di investimenti del Gruppo Horizon Capital - il Ministro dell’Economia Aivaras Abromavicius - banchiere lituano partner della società d’investimenti East Capital - e il Ministro della Sanità, che già aveva rivestito lo stesso ruolo in Georgia, Alexander Kvitashvili.

Il Sole 24 ore, che il 2 dicembre 2014 aveva dato la notizia definendola una "cosa curiosa”, il giorno successivo dovette specificar meglio. Perché, in effetti, la domanda più spontanea a quell’annuncio non poteva che essere: “Chi ha pagato le due società di private?”. E la risposta arrivò dallo stesso quotidiano, il giorno successivo. A sostener tutta l’operazione, scrisse, era stata la "Fondazione Renaissence, network di consulenza politica" fondato a Kiev nel 1990 e al soldo di George Soros. Un’emanazione di Open Society, insomma.

Quindi Soros, nel 2014, selezionò il governo filo occidentale ucraino. Naturalmente subito approvato dal relativo Parlamento con 288 voti favorevoli contro 62 contrari, e dal presidente della Repubblica (da notare bene quel “pubblica”, incluso nell’abusato sostantivo), Poroshenko; manco a dirlo, filo americano e implacabile oppositore delle istanze autonomistiche in Donbass.

Nel 2019, poi, Poroshenko dovette cedere il posto all’ex attore Zelensky, mito del nostro tempo, che stravinse alle presidenziali con un "sorprendente" 73,22% dei voti. E, a quel punto, Soros tornò a presentare il conto attraverso la suddetta fondazione, che nel 1994 risultava il più grande donatore internazionale dell’Ucraina. Più precisamente, attraverso una sua partner: la UCMC: "Ukraine Crisis Media Center", connessa a fondazioni americane come la National Endownment for Democracy e in stretto collegamento con Victoria Nuland, attuale vice Segretario di Stato, in tandem con l’onnipresente John McCain. Il senatore repubblicano americano che nel febbraio 2011, tanto per intenderci, organizzava la primavera araba coordinando svariate riunioni con membri di al-Qaida e ISIS*.

La UCMC, a pochi giorni dall’ascesa di Zelensky, gli fece recapitare un decalogo di regole da rispettare assolutamente, intitolato “Dichiarazione congiunta dei rappresentanti della società civile sui primi passi politici del presidente Volodymyr Zelensky”. Regole, definite “linee rosse da non oltrepassare” che di fatto intimavano al neo eletto di non coinvolgere nella sua politica personaggi non desiderati come lo stesso Janukovyč, non consultare mai il popolo in merito alle negoziazioni con la Russia (da avviare sempre previa consultazione con partner occidentali), non cedere mai sul Donbass, sull’adesione alla NATO, sulla Crimea, e via di seguito.

Il 22 dicembre 2020, in un’intervista al periodico tedesco Cicero, Soros ammetteva orgogliosamente di aver preso parte al colpo di Stato del 2014, dichiarando contestualmente: “Abbiamo bisogno dell’Ucraina come siluro nella guerra contro la Russia. Il destino di questi cittadini non ci riguarda affatto”.

Ecco. Alla luce di tutto ciò, vogliamo davvero continuare a parlar di democrazia?

Pietro Ratto, 21 maggio 2022, BoscoCeduo.it

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* Cfr. P. Ratto "Da Berlino a Kabul. La lunga scia di sangue dell'11 settembre", pagg. 89-90.